Giovanni ‘Giangi’ Natalini aka Co-Pilot

La musica come un mantra, come urgenza di comunicare qualcosa

Ed è proprio quando sei stanco dell’ammasso informe di musica che oggi abbiamo a disposizione grazie al web che accendi il Co-Pilot-a; poi doppiamente curioso se ti fai guidare da Break the Wall e allo stesso tempo scopri alla guida un talento come Co-Pilot.

‘Giangi’ natalini è di sicuro una delle sorprese più interessanti della nostra quarantena. Si parla di Musica, quella con la M grande. Basta poco, buttate un orecchio sull’incipit della sua “Suburban Retro Wave Superstar” brano uscito nel suo ultimo lavoro D.Y.I per per Weme Records che trovate qui.

Inoltre recentemente ha registrato un live set in esclusiva per l’etichetta New Interplanetary Melodies di Simona Faraone.

È un grande piacere per noi poterci confrontare con ‘Giangi’ grazie a #BtW e assieme provare a riscrivere un altro pezzetto di storia verso una nuova CC! (qui il precedente numero).

Chi sei? Descrivi te stesso in poche frasi

Giovanni ‘Giangi’ Natalini aka Co-Pilot. Co-Pilot è il mio co-pilota, quello che ha sempre la soluzione, quello che sa sempre cosa fare, il Mr. Wolf della situazione. Co-Pilot ‘può esse piuma ma puo’ esse anche fero’.

Quale musica elettronica ti rappresenta?

Beh ce ne sono molti di sottogeneri che mi potrebbero rappresentare in qualche modo: dalla techno anni ’90 alla minimal odierna, dalla deephouse alla downtempo per passare all’afrobeat, dalla drone music alla field music fino alla glitch.

Quando è iniziato questo amore?

Premetto che il mio background ancestrale è per lo più punk/hardcore/alternative: ho tatuate le tre bandiere nere dei Black Flag 🙂 ma… mi ricordo che fui spiazzato da un fuori programma di Mike Patton nel live at Brixton Academy dei Faith no More: sul finale della song ‘Epic’, che finisce con un giro straziante di pianoforte di Roddy Bottum, il buon Mike intonò un cantato che nella song originale non c’era… così andai a spulciare forum, notizie e cose varie su quel live e scoprii che era l’inciso di ‘Pump up the Jam’ dei Technotronic. Da lì iniziai ad approfondire la techno anni 90 e posso affermare che gli LFO sono coloro che mi hanno svezzato riguardo la musica elettronica (tra l’altro sto lavorando a un re-edit dell’omonima track LFO).

diy ep by co-pilot - musica
Copyright – Co-pilot
Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre?

Non sono propriamente la persona giusta per affrontare questo argomento, ma conosco abbastanza bene il mio territorio (il Ternano) e le sue dinamiche e posso dire che negli ultimi tempi (ovviamente prima del virus) i club li possiamo contare sul palmo di una mano e sono per lo più abbastanza generalisti. Parliamo di house e commerciale. Vedo più gente all’aperitivo che nei club…

Quali sono le principali criticità?

La criticità è l’interesse. L’esempio è quello classico del bottone ‘partecipa all’evento’, poi ci va ¼ di quelle persone. Un’altra criticità è il ricambio generazionale: ci sono pochi ragazzi che si ‘accollano’ l’organizzazione di eventi, vuoi per i 1000 impedimenti della burocrazia mediocre italiana, vuoi per la poca voglia di mettersi in gioco, a parte qualche eccezione.

Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture?

Beh ad esempio voi siete l’eccezione a cui facevo riferimento sopra. Si può migliorare solo facendo rete, creando le famose ‘Scene‘. Però le scene si formano dando spazio e credito agli artisti locali, cosa che difficilmente succede… c’è un certo snobismo molte volte da parte di realtà locali anche affermate che invece di dare risalto o aiutare la scena locale, cercano sempre e soprattutto all’estero per un pregiudizio di base e perchè fa figo. Poi, l’artista grande ed estero va bene, ma gli devi mettere al fianco quello locale per far crescere la già citata ‘SCENA’ altrimenti è solamente un ‘culto della personalità’ (Living Colour) degli organizzatori.

diy ep by co-pilot - musica
Copyright – Co-pilot
Quali sono gli aspetti positivi del fare musica al giorno d’oggi?

Beh ovviamente l’aspetto positivo che si può riscontrare oggi rispetto al passato è la presenza della tecnologia e dei media/social che in qualche modo aiutano l’artista nuovo a farsi minimamente conoscere. Ma il rovescio della medaglia è che c’è una tale confusione e una tale massa informe di artisti che è difficilissimo emergere. Siamo bombardati da milioni di input ed output (zoolander) che non riusciamo più a distinguere cosa c’è di buono e no. Comunque sia, la cosa importante del fare musica, che è un mantra per me, è che la musica deve essere un’ urgenza: devi avere qualcosa da dire altrimenti è un esercizio di stile.

Quali sono le sensazioni che hai verso il tuo ultimo EP / album?
diy ep by co-pilot - musica
Copyright – Co-pilot

Le sensazioni verso DIY sono molto positive : riesco ancora ad ascoltarlo piacevolmente senza skippare dopo averlo provato, registrato, ascoltato, suonato milioni di volte 🙂 Sono sbalordito più che altro che viene apprezzato parecchio nell’ambiente techno! Poi comunque sono contento che sta avendo nel suo piccolo molti ascolti da vari tipi di ascoltatori, dai DJ a chi ascolta prevalentemente rock: a proposito di DJ, l’altro giorno mi sono arrivati i DJ Feedbacks della PR agency che sta seguendo l’uscita dell’ep e tra questi c’era un certo LAURENT GARNIER che ha scritto ‘very interesting music’. Te l’ho detto all’inizio: Co-Pilot ‘può esse anche FERO’ ! 😉


Links:

https://soundcloud.com/copilotismycopilot https://copilotismycopilot.bandcamp.com/releases https://www.instagram.com/copilotismycopilot/


Edited by Roberta Ada Cherrycola

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    Giosuè Impellizzeri

    Giosuè Impellizzeri

    Nessun spazio all’improvvisazione, ma più lavoro di squadra e scambio di competenze per scrivere una nuova pagina.

    Possiamo davvero – tutti insieme – pensare di scrivere una nuova pagina per la Club Culture nel nostro paese. Anche se non esiste una ricetta specifica da cui partire, abbiamo dalla nostra le conoscenze e l’esperienza di diverse persone dotate di grande spessore umano, artistico e culturale.

    Giosuè Impellizzeri è sicuramente tra queste. Per gli artisti o i lavoratori culturali figure come quella di Giosuè rappresentano delle guide fondamentali, così come per gli appassionati che cercano nutrimento costante per placare l’insaziabile sete di conoscenza. Prendendo in prestito due versi a me cari di Eugenio Montale, il suo “scrivere” è come il “mastice che tiene insieme questi quattro sassi“. Uno di quelli che ha attraversato due decadi di storia musicale scrivendo tantissimo su riviste cartacee specializzate e svariate webzine. Ma non solo, ha prodotto musica su etichette italiane e internazionali, ha curato festival e realizzato una serie di set mixati per vari network radiofonici.

    Suo il libro Gigolography. The International DeeJay Gigolo Records History Book su una delle figure chiavi per la Club Culture, Dj Hell, uscito per CRAC Edizioni, così come altri lavori sulla musica elettronica raccolti nella collana Decadance e realizzati assieme a Luca Giampetruzzi.

    Gigolography. The International DeeJay Gigolo Records History Book

    È un grande onore per noi poterci confrontare con lui tra queste pagine e attraverso le diverse domande di #BtW giungere assieme ad una nuova consapevolezza, muovendo un ulteriore passo avanti nel tentativo di contribuire a riscrivere una nuova pagina di CC! (qui il precedente numero).

    Chi sei?

    Mi occupo di musica elettronica e DJ culture da oltre vent’anni. Nel 1996 ho iniziato a scrivere con una vecchia Olivetti le prime recensioni che inviavo speranzosamente via fax alle redazioni di vari giornali. Nel corso del tempo mi sono dedicato anche alla composizione, alla radio, alla discografia e alla scrittura di libri, con una particolare predilezione per l’archivistica e le storicizzazioni, probabilmente derivata dagli studi universitari. In sostanza mi considero un appassionato desideroso di approfondire le conoscenze, in modo quasi scientifico, sulle cose per cui nutro interesse tra cui, ovviamente, la musica.

    Quale musica elettronica ti rappresenta?

    Difficile dirlo, è come chiedermi di estrarre dalla collezione il disco preferito. Essere nemico della monotematicità inoltre non mi aiuta a dare una risposta secca. Direi comunque da “Autobahn” dei Kraftwerk in giù, considerando il gruppo tedesco tra i principali “motori” di gran parte di ciò che è avvenuto all’elettronica dopo essersi smarcata dalla posizione più strettamente accademica delle decadi precedenti.

    Kraftwerk – We are the Robots
    Quando è iniziato questo amore?

    Credo intorno al 1988, ma inconsapevolmente. A livello intenzionale invece indicherei il 1992, quando iniziai a comprare dischi (usati) per cimentarmi in mixaggi domestici. Raccattavo, per poche migliaia di lire, materiale di scarto di altri aspiranti DJ del mio paese, ben felici di sbarazzarsi di dischi che non avrebbero più potuto usare durante le feste casalinghe che si organizzavano negli anni delle scuole medie. Tra quelli trovai “Move Your Feet To The Rhythm Of The Beat” del compianto Hithouse, uscito nel 1989.

    Lo ascoltavo decine di volte cercando di capire come si potesse “assemblare” una musica simile che mettevo agli antipodi di ciò che invece stavo apprendendo studiando il pianoforte, sin dal 1986. Un effetto ancora più dirompente lo provai attraverso la copertina di quel disco che, in una sorta di maxi tavola fumettistica, lasciava scorgere l’interno di uno studio di registrazione allestito in casa. Quelle “diavolerie” piene di pulsanti, leve e cursori alimentarono la mia curiosità per un mondo arcano e letteralmente tutto da scoprire.

    Cosa ne pensi della cultura in Italia legata alla musica e in particolare alla scena che segui?

    Dipende da cosa si intende per “cultura”. È sufficiente snocciolare la paternità di campionamenti seppur già svelati su WhoSampled? Identificare l’anno di uscita di un disco con un occhio fisso su Discogs? Fare un sunto o un copiaincolla di un capoverso di Wikipedia per descrivere un artista o un particolare periodo stilistico? Può forse ritenersi un divulgatore culturale chi scopiazza, per giunta male, libri ed articoli o realizza interviste compiacenti a personaggi famosi di turno col fine di accattivarsene le simpatie? Eppure c’è più di qualcuno, includendo persino chi si considera un appassionato, che di fronte a tutto ciò si mostra entusiasta, perché evidentemente considera “culturali” questo tipo di contenuti.

    “È sufficiente snocciolare la paternità di campionamenti seppur già svelati su WhoSampled?”

    Personalmente ritengo che la cultura musicale affondi le radici nella ricerca (autentica, non derivata dall’incrocio di una manciata di clic su Google), nella conoscenza (che per fortuna non è downloadabile ma frutto di esperienza accumulata in anni) e nell’imparzialità e capacità di analizzare criticamente anche più scenari stilistici senza spocchiose contrapposizioni da sterili battaglie ideologiche. La cultura musicale, per me, resta tale a prescindere dal campo di applicazione, che si parli dei Drexciya o dei 2 Unlimited, piuttosto che di Jesse Saunders o degli Oppenheimer Analysis, o degli Ace Of Base o Jimi Tenor. L’importante è muoversi col giusto intento, spirito, competenza e consapevolezza.

    “..che si parli dei Drexciya o dei 2 Unlimited, piuttosto che di Jesse Saunders o degli Oppenheimer Analysis, o degli Ace Of Base o Jimi Tenor. L’importante è muoversi col giusto intento, spirito, competenza e consapevolezza”

    A malincuore però giungo all’amara conclusione che la deculturalizzazione abbia avuto la meglio in Italia, ma con uno “storico” come il nostro era utopico sperare nel contrario. Nei decenni passati i media tradizionali (stampa, radio e tv) non hanno di certo aiutato, tolte poche eccezioni, a far emergere aspetti culturali legati al nightclubbing e alla musica correlata, puntando piuttosto a lucrare nel momento propizio per poi abbandonare il “giocattolo” una volta rotto e riprenderlo quando faceva più comodo. In assenza di un modello genuinamente ed autenticamente culturale che fungesse da traino, nell’immaginario collettivo si è insinuata una lunga serie di luoghi comuni che sarà arduo, o forse impossibile, estirpare.

    “il grande pubblico e gli ambienti generalisti hanno iniziato a riconoscere ai disc jockey il ruolo di professionisti proprio quando di professionismo se ne lamenta la mancanza.”

    Dalla house intesa come stile messo in piedi da non musicisti incapaci e costretti a ripiegare su campionamenti di brani altrui, alla techno, ossessionante martellio privo di senso, dalla discoteca, girone infernale e teatro di dissolutezza, ai DJ, più vicini ad un hobby dopolavorista che ad una professione vera e propria. Paradossalmente il grande pubblico e gli ambienti generalisti hanno iniziato a riconoscere ai disc jockey il ruolo di professionisti proprio quando di professionismo se ne lamenta la mancanza. In un quadro simile di cultura ne vedo davvero poca e se è vero che si raccoglie ciò che si semina, appare evidente che il campo sia stato seminato male o per niente.

    Quali sono le principali criticità?

    La musica in Italia è marginalmente considerata una forma culturale, figurarsi quella elettronica e prevalentemente utilizzata nelle discoteche. È un settore scarsamente riconosciuto anche dalle istituzioni, come del resto avviene a tutte quelle attività creativo/artistiche o intellettuali. È quindi facile intuire la ragione per cui sia così diffuso un pressappochismo allarmante e disarmante. Che dire poi di quegli addetti ai lavori (o presunti tali) che continuano ad alimentare plateali inesattezze o incongruenze storiche con nozionismo spicciolo? E i tanti magazine completamente disinteressati a finalità educative, didattiche e formative? Si può pensare di combattere l’ignoranza ed essere presi sul serio pubblicando un articolo che descrive la Love Parade come «evento organizzato per festeggiare la caduta del Muro di Berlino»?

    L’Arte, così come il lavoro culturale di chi fa musica, la suona oppure la mixa sono considerati aspetti marginali in Italia; scarsamente riconosciuti dalle istituzioni emerge il bisogno di scrivere e di parlarne.

    Persino in discoteca le cose sembrano complicarsi perché pare essersi sensibilmente assottigliato il numero di locali in cui poter avanzare proposte diverse dalla prevedibilità del mainstream, e ciò è avvenuto perché molti art director hanno smarrito la progettualità ma soprattutto la visione di un intrattenimento “illuminato”, lasciandosi conquistare da obiettivi economicamente più vantaggiosi.

    Nel frattempo la club culture, un tempo vista di traverso dai benpensanti e conservatori, è stata cannibalizzata dal pop ed è diventata un grosso affare dato in pasto alla cultura di massa. La club music si è quindi affrancata ed emancipata uscendo dal circolo esclusivo delle discoteche mentre una parte di DJ non viene più annessa ai personaggi di serie b anzi, recentemente alcuni particolarmente noti, strapagati e brandizzati sono stati definiti le “rock star del nuovo millennio”.

    “La club culture è stata cannibalizzata dal pop ed è diventata un grosso affare dato in pasto alla cultura di massa.”

    Per certi versi però il “Dio DJ” che profetizzarono i Faithless nel 1998 è finito col diventare una parodia di ciò che era in origine. Consacrarsi a livello generalista ha voluto dire rinunciare all’autenticità perché, è bene rammentarlo, il divismo da stadio e il DJing non avevano molti punti in comune. Come scrissi già nel 2016, avremmo potuto parlare di rivoluzione se il DJing avesse scardinato la spettacolarizzazione delle rock band ma sembra invece che ne abbia semplicemente preso il posto.

    Quella che molti indicano trionfalmente come rivoluzione insomma, assomiglia più ad uno scambio di ruoli che ha acuito ulteriormente il livello di criticità culturale. Che fine farà il disc jockey quando la grande industria dell’intrattenimento, che ora lo ha eletto come archetipo del trascinatore di folle, si stancherà e sarà in cerca di una nuova figura da mitizzare? L’idolo di milioni di giovani rischierà di essere declassato a banale pigiatasti mandando in fumo la credibilità di quella che nacque come virtuosa espressione artistica?

    Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale stato delle cose e scrivere una nuova pagina?

    A dispetto del distanziamento sociale imposto dalla pandemia che viviamo da qualche mese, credo sarebbe fruttuoso l’assembramento (non fisico ovviamente!) ossia fare squadra e sistema allineando chi è mosso dagli stessi intenti e soprattutto dalla medesima passione, perché in Italia esiste eccome uno zoccolo duro di autentici appassionati preparatissimi in materia, sebbene spesso sottovalutati e sottostimati.

    La speranza non manca, serve coordinamento ed esperienza per scrivere una nuova pagina!

    Questa prospettiva però, pur auspicata da tempo immemore, continua a non trovare facile applicazione nel nostro Paese dove si preferisce coltivare il proprio orticello e non dividerlo con altri per creare realtà più solide. Il resto lo fa (purtroppo) l’invidia, che mi pare un male particolarmente radicato nel settore, ed una competizione malsana che mira a soddisfare solo interessi e tornaconti personali.

    Quali sono i pro (e i contro) delle eventuali operazioni da fare per migliorare la situazione?

    Mi piace vedere solo i pro dietro un propositivo lavoro di squadra. Unire le forze, mettendo quindi a disposizione del team le proprie competenze, potrebbe equivalere a perfezionare ogni aspetto dell’operato. Poi lo scambio vicendevole di opinioni è costruttivo, un sano confronto aiuta a maturare e a superare i propri limiti.

    Quali sono gli aspetti positivi del lavorare nell’ambito della musica al giorno d’oggi?

    Anche in questo caso dipende dall’approccio che si riserva alla musica e al mondo che gravita intorno ad essa. C’è chi cerca successo e popolarità, chi donne, chi denaro, chi appagamento per sfamare il proprio ego. Io nulla di tutto ciò ma di aspetti positivi ne potrei elencare tanti come il rapportarsi con persone provenienti da ogni parte del globo, allargare i propri orizzonti ma soprattutto scoprire senza sosta cose nuove. Ad alimentare da sempre la mia attenzione e il mio interesse per ciò che faccio è esattamente il piacere per la scoperta e la musica, come tutte le espressioni artistiche, resta una fonte inesauribile di meravigliose scoperte.


    Links:

    Decadance il blog realizzato dallo stesso Giosuè.

    “Gigolography. The International DeeJay Gigolo Records History Book” e recensione del libro su ondarock

    Pagine Autore di Giosuè su DJMAGITALIA, Soundwall


    Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

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      Populous

      A metà fra mente e corpo

      Intervista a Populous

      Quale sarà il destino post-pandemia per la cultura e in particolare per tutti gli operatori e lavoratori culturali, di certo non lo possiamo ancora intravedere. Tuttavia, riprendendo le parole di Tim Exile in una sua recente intervista uscita su Medium, sappiamo con certezza che nel 2019, il 96% dei diritti musicali sono stati incassati dal solo 4% dei top musicisti.

      Se e vero che la pandemia ha dato un durissimo colpo a tutto il settore, è altrettanto vero che “l’industria della musica” prima di questo colpo non lavorava comunque per i milioni di musicisti indipendenti e appassionati che, nonostante tutto continuano a fiorire intorno a noi.

      “Un’arte diversa, più giusta e più resistente sta nascendo intorno a noi. Si concentra sulla creazione di comunità piuttosto che di soli contenuti e il blocco globale accelererà i suoi progressi”.

      Allora con questo “ritrovato” slancio non vediamo l’ora di lasciare quello che si potrebbe chiamare un dark past per un migliore e speriamo più luminoso futuro. Su questa linea e in questa direzione, ci muoviamo in questa nuova puntata di Break The Wall con un ospite davvero speciale che ringraziamo di cuore per la sua disponibilità e grande sensibilità.

      Populous è un artista di grandissimo spessore per la scena elettronica italiana e internazionale che si muove sui confini del noto e del sottobosco sin dal 2003, quando esordì con i primi pezzi per l’etichetta di Berlino Morr Music. Lo ringraziamo infinitamente per questo suo prezioso contributo nella ricerca di portare nuova conoscenza nella Cultura Club.

      Prima di cominciare vi ricordiamo qui il precedente numero di #BtW. Buon Viaggio!

      Cosa è per te la Club Culture?

      Penso sia qualcosa esattamente a metà fra mente e corpo. La cultura da club non è solo andare a ballare, è andare a ballare sapendo dove e come farlo. Ma sopratutto sapendo COSA andare a ballare.

      Un disco che la rappresenta?

      Un disco, anzi forse meglio un nome, che mi catapultato in quella dimensione è stato “Leftism” dei Leftfield.

      Letfield - cultura
      Foto Dj MAg
      Quale è la Club Culture che vorresti? 

      Non c’è una cultura che vorrei, non una in particolare almeno. Non mi interessa spingere una scena più di un’altra. Ho i miei dj preferiti, i miei festival di riferimento, i media che consulto più spesso. Questo non vuol dire che non segua anche altro. Sono sempre curioso di sapere cosa succede negli altri dancefloor, cosa balla la gente quando suona tizio o perché vada a ballare su quell’isola o in quel club sotterraneo. L’importante è che ci sia sempre coscienza, stile, ricerca. 

      Populous - cultura
      Populous by Joana Ferreira
      Parlaci dei tuoi ultimi lavori: quali sonorità, quali ritmi stai tirando fuori dal tuo cappello magico?

      Ho passato anni ad ascoltare quella che qualcuno definirebbe “moderna world music”. Sono davvero contento e orgoglioso di questo percorso. Sento di aver raggiunto una sorta di diploma, in cui ho prima studiato, poi testato e infine interiorizzato ritmi non europei. Ora quei ritmi sono parte di me. Ma non ho più voglia ne stimoli nel volerlo mostrare per forza. Non ti verrò più a sbattere in faccia che sto facendo cumbia e dembow, lo faccio e basta perché ormai non me ne rendo più nemmeno conto. Forse il nuovo disco è solo un po’ più dancefloor degli altri. O forse no. Non sono bravo a capire certe cose.

      Nicola Napoli - cultura
      Fonte Rumoremag: Artwork di Nicola Napoli del nuovo album di Populous, in uscita il 22 maggio per Wonderwheel Recordings e La Tempesta International
      Cultura e Arte sono tra le più colpite dalle necessarie attuali misure emergenziali a causa della loro profonda necessità di relazioni sociali, di eventi in-presenza, di partecipazione. Succede però che, in maniera forse inaspettata, si è messo in moto un meccanismo spontaneo in cui si sta diffondendo sempre di più una produzione e una fruizione artistica e culturale online sia a livello quantitativo (un’esplosione di performance, dj- e live-set, ecc.), che qualitativo (il mezzo – telecamere, tecnologie di comunicazione a distanza alla portata di tutti – che dà vita a oggetti culturali nuovi e mai visti). Una produzione e una fruizione dal basso, orizzontale e diffusa. Cosa ne pensi? Sta nascendo un nuovo underground?

      Questa roba stravolgerà tutto. Ovvio che toccherà anche la cultura. Sta modificando equilibri umani, facendo mutare amicizie, relazioni, rapporti lavorativi, tutto. Anche la cultura verrà cambiata. Non ho ancora avuto modo di fermarmi a riflettere, ma è esattamente in situazioni come queste che l’underground (ri)nasce, si rafforza e resta impresso nella mente delle persone. 

      Cosa pensi che ne resterà a emergenza finita (oppure è troppo presto per parlarne)?

      Quando prima dicevo che non avevo ancora avuto modo di pensare era proprio a questo che mi riferivo. La gente imparerà qualcosa da tutto questo? Capirà che c’era qualcosa di profondamente sbagliato nel nostro comportamento? Alcuni si. Ma altri, con quella sensibilità di merda che si ritrovano, ci metteranno un paio di settimane a rimuovere tutto e ricominciare a comportarsi da coglioni. Se questa cosa può in qualche modo essere stimolo per migliorare certi aspetti malati e insostenibili della scena club, ben venga.

      Martina Loiola - cultura
      Pink by Martina Loiola

      Links:

      W sta per Women” insghts sul nuovo album di Populous su Rumoremag

      Il nuovo ritmo di Populous, intervista sul penultimo lavoro dell’artista “Azulejos” (soundwall)


      Rozza - cultura

      Edited by Domenica Carella. Domenica in arte Rozz Ella è una DJ impegnata e appassionata di musica elettronica. Il suo percorso artisitico nasce nella sua città di nascita (Taranto) e si sviluppa a Pisa, nei centri sociali e non solo, legali e non. Da ultimo la vediamo sulle frequenze della bass music con Neanderthal della crew di Space Vandals e come resident per il format ClubCultura al Caracol Pisa. In passato ha collaborato con la redazione di AutAut.

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        Direct Y & Nodezero Electronics

        La Musica al Centro, e in particolare l’Electro

        Intervista all’artista e produttore romano Direct Y 

        Oggi ci sposteremo nella musica della Capitale per Break the Wall. Si, avete capito bene, quella Roma della “rave generation” e parleremo di Underground: quello fatto di spazi sociali e di energie positive in cerca di una collocazione “stabile” sul territorio; di Club Culture e di aggregazione. attorno alla musica.

        Oggi esploreremo l’Electro con la “E” maiuscola. Non si tratta di una moda effimera, ma piuttosto di una perpetua parte di un percorso musicale che ha abbattuto le regole del tempo.

        Si avete capito bene! Oggi parleremo di produzione musicale indipendente.

        Lo faremo con un artista davvero interessante e poliedrico, passando attraverso la sua “spaziale” label.

        Oggi vi presentiamo con molto piacere, Fabrizio Rega aka Direct Y che assieme al socio Ivan Zanon (AHK) ha fondato da anni quella splendida realtà musicale che si chiama Nodezero Electronics e nella quale possiamo ridefinire il suo Electro made in Roma.

        Direct Y - Musica
        Nodezero official Logo

        Se vi va di perdervi tra le loro produzioni, vi assicuriamo che ne rimarrete colpiti. Troverete dei suoni “nuovi” ed energici accompagnati a delle ritmiche coinvolgenti e con quel pizzico di oscurità che ti lasciano semplicemente a bocca aperta. Prima di continuare, vi consigliamo di prendere un po’ di tempo. Alzate il volume. Se vi siete persi il precedente numero di #BtW, oppure è la prima volta che vi trovate qui, questa è una rubrica di UNDER-BLOG che vuole portare nuova conoscenza nella Cultura Club, ogni volta con il prezioso e fondamentale contributo degli ospiti che intervengono.

        Un vero e proprio percorso di ricerca nella speranza di contribuire a riscrivere una nuova pagina di CC! Buon Viaggio!

        Chi sei?

        Mi chiamo Fabrizio, sono di Roma, faccio musica elettronica con lo pseudonimo Direct Y e sono un papà.

        Quale musica elettronica ti rappresenta?

        L’Electro.

        Quando è iniziato questo amore?

        Vengo da un quartiere (Ostia Lido) dove nei primi 2000 la mia generazione aveva già un’eredità elettronica che veniva direttamente dal territorio.

        Ad Ostia esisteva una realtà chiamata Spaziokamino (SPZK), che negli anni 90 è stato parte di un movimento culturale “rave”, poi sgomberato nel 2001. Da questa esperienze le energie e i giovani attivi della zona furono dislocate su diverse realtà e posti che non citerò.

        Personalmente ho contribuito con degli amici all’organizzazione di party fatti con energie totalmente locali e senza guests, a meno di qualcuno che aveva più esperienza degli altri. Il contesto prevedeva l’interazione con l’audio, la console, l’acid techno e una non semplicissima gestione di situazioni sociali che includevano il consumo di sostanze stupefacenti.

        “Energie locali, senza guests, e con la musica al centro”

        In quel periodo facevo musica con un collettivo chiamato AudioResistance che già da diversi anni faceva uscite e compilation rivendicando un modello do it yourself e no copyright. Eravamo discretamente attivi sia nella produzione che nell’ascolto di materiale e ci sono ancora testimonianze del lavoro di quegli anni. Anche se non c’era un riferimento ad una vera e propria produzione discografica, molti artisti che parteciparono al progetto erano validissimi e sono tutt’ora attivi.

        Successivamente a quell’esperienza nel 2010 ho creato il collettivo Nodezero che è poi divenuto la label “Nodezero Electronics” portata avanti da me e il mio socio Ivan (AHK) incentrata sullo stile Electro, che ormai era divenuto per me un riferimento che mi permetteva di spaziare tra viaggi cosmici e break più orientati al dancefloor.

        Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre?

        Roma è una grande città e inevitabilmente ci sono diversi club che fanno musica e proposte interessanti, ma è un sistema fatto di piccole organizzazioni, guests e tanto capitalismo.

        Credo che in tutti questi anni non sia stato raggiunto un obiettivo a parer mio fondamentale: quello di alimentare le scene musicali del territorio. La mia città è un grande contenitore di energie e di tanti artisti che non hanno nulla da invidiare a nomi affermati del settore, ma ci sono poche valvole di sfogo, il confronto con la maggior parte dei proprietari dei locali si fa con i numeri e si rischia di incappare in pericolose avventure con alte possibilità di fallimento economico.

        “Bisognerebbe alimentare le scene musicali del territorio”

        La chiave potrebbe essere proprio la lungimiranza dei proprietari e dei gestori di club, chi di questi ha un background specifico ed è spinto dalla passione e dall’amore per quello che sta facendo, ha in mano un’arma potentissima. Bisogna metterci dentro la Culture, altrimenti è solo un Club, per quanto confortevole esso sia.

        Quali sono le principali criticità?

        Forse le ho appena descritte.

        Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture?

        Non credo di avere la soluzione in tasca, probabilmente si tratta di investire cercando di far parte di un network incentrato sulla musica e costituito da produttori, dj, etichette, studi, tecnici, negozi di dischi, uffici stampa, club e distribuzioni, che si supportano a vicenda e mirano a creare solidi rapporti, spinti da un’energia di base: la musica, che dovrebbe essere sempre al centro della narrazione.

        E quali sono i pro (e i contro)?

        Domanda di riserva?

        Quali sono gli aspetti positivi del fare musica al giorno d’oggi?

        Fare musica, come le altre forme d’arte, ci permette di distrarci per un po’ dall’implacabile ritmo della nostra società globalizzata, di prenderne dei pezzi, rielaborarli e “talvolta” rivomitarli con eleganza ed ispirazione.

        Quali sono le sensazioni che hai verso il tuo ultimo EP / album?

        Sono molto positivo (nonostante mentre sto scrivendo le risposte a queste domande mi trovi in isolamento per lockdown covid-19) e nell’ultimo periodo ho collaborato con diverse persone, artisti che sono poi divenuti degli amici. La mia etichetta, Nodezero Electronics, ha diverse uscite su cui lavorare ed è in corso di preparazione “Spin Sonic Division 3”, compilation annuale che rappresenta a pieno la rete che siamo riusciti a costruire partendo proprio dal territorio, che come di consueto conterrà un mio pezzo. Consiglio vivamente di ascoltare la precedente, “Spin Sonic Division 2” a volume sostenuto.


        Links:

        Direct Y – Facebook

        Nodezero – Bandcamp

        Soundcloud

        Facebook

        Direct Y – The Electric Sheep – intervista su The Formant

        Direct Y - Musica
        Direct Y, The Electric Sheep
        BIO (EN – written by Mischa Mathys)

        Direct Y, aka Fabrizio Rega, has forged a unique musical sound from the Electro language of machines. It’s a language the artist knows intricately, translating it for the dystopian club land of Italy through tech-hybrid tracks that range from Electro to four to the floor Techno. Making his initial mark in 2006 with the aptly titled Human Vs Computer, Direct Y cemented the ideas behind his music within the bowels of the no-copyright project, Audioresistance.

        It was through this project where his abstract view of the dance floor was first established, taking its cues from the underground rave scene of Rome and classic science fiction novels. Nodezero followed in 2008 and alongside AHK, Direct Y has been using the outlet to deliver the subterranean sounds of Europe’s nightlife to the world including that of the collective’s two remaining members.

        The project, re-launched in 2012 as the independent label Nodezero Electronics, has been a nurturing environment for both AHK and Direct Y, allowing the latter the freedom to mature and develop his artistry since 2012, and leading to the seminal EP, Electric Sheep.

        Direct Y continues to be a staple in Rome’s underground electronic scene while his work persistently finds new avenues of exploration in the realm of the electronic beat, decoding the language of machines.


        Edited by Daniele V.

        One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.

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          Gabriele de Luca, innovazione

          Gabriele, Andrea e il Lumiere

          Il club come luogo di innovazione culturale capace di migliorare la vivibilità delle città.

          Oggi ci lanciamo a bomba come negli ultimi numeri di Break the Wall sull’innovazione alla portata e su alcune riflessioni spinose, ma centrali nel futuro dibattito sui Club e la Club Cultura post-epidemia. Grazie alla nostra inviata speciale Rozz Ella abbiamo raccolto il pensiero di un giovane e brillante imprenditore della cultura, Gabriele De Luca, gestore assieme al socio Andrea Vescio dello storico Lumiere a Pisa.

          Come tutti, Gabriele e Andrea stanno vivendo questo momento con molta preoccupazione, sopratutto a causa dell’assenza di risposte e misure concrete a livello istituzionale per tutti gli “operatori (associazioni), imprenditori, artisti, tecnici e lavoratori del mondo della cultura. Un mondo che noi tutti conosciamo e frequentiamo attivamente, un mondo che non ha eguali in nessun altro posto come qualità e capacità d’innovazione, ma che di fatto nel nostro paese diviene sistematicamente l’ultima ruota del carro.

          “Ci dimentichiamo troppo facilmente degli eroi del presente, di chi contribuisce oggi alla bellezza di questo paese”

          Il mondo della cultura passa così in secondo o terzo piano. Forti dei tesori del passato, come Italiani ci dimentichiamo troppo facilmente degli eroi del presente, di chi oggi cerca contro tutte le avversità del caso di sfornare nuova bellezza.

          innovazione lumiere: C'mon Tigre live
          C’mon Tigre (Live at Lumiere, Pisa)

          Per tenere viva e tutelare questa bellezza, con Gabriele cercheremo di scoprire il nesso che esiste tra cultura, club, innovazione culturale e miglioramento della vivibilità nelle nostre città.

          Ciao Gabriele, cosa è per te la Club Culture?

          Credo sia una domanda un po’ troppo troppo ampia perché possa trovare risposta in due righe, quindi mi prenderò una licenza e sforerò lo spazio, partendo con una premessa: credo si possa parlare di club cultura in due modi, uno ristretto e uno allargato.

          In senso stretto, credo che l’espressione rimandi a tutto ciò che, storicamente, ha ruotato intorno a quelli che, per capirsi, sono i luoghi in cui si balla. In senso lato invece, credo che l’espressione possa rimandare a ciò che sta intorno ad un music club in generale. Ovviamente si tratta di una distinzione un po’ artefatta, come tutte le distinzioni, dal momento che – così inizio anche a rispondere – i due aspetti – quello dance e quello più legato ai concerti – tendono a mischiarsi, o almeno, nelle esperienze più virtuose e interessanti che mi vengono in mente si sono mischiati.

          innovazione lumiere: Manzini live
          Manzini (Live at Lumiere, Pisa)

          Il club, sia esso inteso come discoteca o come live club, per me è e deve essere un essere ibrido, che pur ruotando intorno alla musica, tiene insieme molti aspetti, culturali in genere. Mi viene in mente la mostra – e ancor più il catalogo! – curata dal Vitra Museum qualche anno fa, e recentemente passata dal Museo Pecci, che affronta il fenomeno del clubbing dal punto di vista del design, dell’innovazione, anzi delle innovazioni nate all’interno dei club dal punto di vista dell’architettura e dell’interior design. Ecco, l’ho trovata illuminante perché sottolinea molto bene come il club possa essere luogo di innovazione culturale a tutto tondo, dal punto di vista dell’esplorazione di una socialità altra, da quello del design, a quello della moda, fino a quello musicale.

          “Il club come epsressione della CC, è e deve essere un ibrido, un luogo di innovazione culturale a tutto tondo”

          Io, come sai, sono il gestore di un club la cui vocazione principale è senza dubbio il live, ma nel mio lavoro io e il mio complice Andrea Vescio cerchiamo di avere un approccio il più possibile vasto, aperto. Mi piace immaginare – e fare in modo che la mia fantasia si trasformi il più possibile in realtà – il Lumiere come uno spazio di innovazione culturale, dove possano trovar spazio presentazioni di libri, dj-set, mostre, dibattiti e ovviamente concerti. Ma non si tratta solo di cosa fa un club. Forse ancor più importante per un club, e dunque per la club-cultura, è l’attitudine, la capacità di creare e proporre un’atmosfera di libertà creativa e di libertà in generale, che favorisca gli incontri, di tutti i generi.

          Un disco che la rappresenta? 

          Questa è una domanda da esperti, a cui nemmeno alcuni miei colleghi ben più esperti di me hanno saputo rispondere, quindi dirò un disco che per me rappresenta una svolta, ma una svolta personale: Drukqs di Aphex Twin. Era il 2001, avevo 19 anni, e i miei ascolti erano molto distanti dalle sonorità di quel tipo. Quel disco mi ha senza dubbio aperto una finestra su un mondo che da allora non ho smesso di frequentare e apprezzare.

          Innovazione, Aphex Twin
          Aphex Twin Drukqs (Warp Records, 2001)
          Le persone frequentano sempre meno i club, molti chiudono anche in paesi ‘avanti’ come la Germania, cosa potremmo fare qui? Cosa manca? Cosa andrebbe cambiato?

          Qui in Italia, purtroppo, da questo punto di vista siamo abbastanza lontani dalla Germania, dove i grandi club berlinesi come il Berghein o il Tresor vengono assimilati a musei piuttosto che a problemi di ordine pubblico, come tende a succedere in Italia, dove non solo non esiste praticamente nessuna forma di politica a sostegno e sviluppo dei club musicali, ma anzi si assiste ad una forma di demonizzazione basata sull’assimilazione di questi spazi a luoghi di perdizione.

          Una prima cosa da fare sarebbe riuscire ad invertire questa tendenza, facendosi riconoscere dalle istituzioni come operatori economici al pari di tutti gli altri, operatori che possono contribuire a migliorare la vivibilità delle città, operando come vettori di collegamento tra divertimento e cultura, socialità e accrescimento culturale.

          “Dovremmo invertire questa tendenza, facendosi riconoscere dalle istituzioni come operatori economici al pari di tutti gli altri, con il ruolo speciale di migliorare la vivibilità delle città”

          Tuttavia credo che si tratti di un problema culturale prima che politico. Dubito che il riconoscimento istituzionale possa arrivare a forza di richieste. Occorre piuttosto un cambiamento di mentalità (aggiungiamo noi, un innovazione). Ma i cambiamenti di mentalità sono lenti e faticosi, per cui ora come ora credo che la cosa più importante sia far bene il proprio lavoro senza tante lagne. Farsi le domande giuste. Farsi tante domande, in generale, ed essere noi per primi – noi gestori di club – a intendere i nostri spazi come vorremmo che fossero intesi dagli altri.

          “Più responsabilità da parte dei gestori come operatori culturali”

          Comprendere ed assumere senza paura, senza risparmiarsi, la responsabilità che sta dietro la gestione di un club. Non solo quella, ovvia, nei confronti dei dipendenti, delle strutture che gestiamo ecc., ma anche quella legata al nostro ruolo di operatori culturali: la responsabilità nei confronti dei nostri spettatori, dei nostri colleghi, dei vicini di casa ecc.

          Ecco, questo, a volte, manca.

          innovazione lumiere: Lee Renaldo
          Lee Renaldo (Live at Lumiere, Pisa)

          Passando al lato del pubblico, direi che manca la consapevolezza della natura complessa di questi luoghi. Mi spiego meglio, a rischio di risultare antipatico, con un esempio: se faccio – e la faccio! – una serata in cui suonano 5 gruppi e suona un dj, e decido di non imporre un biglietto d’ingresso ma di lasciar libero il pubblico di offrire ciò che vuole, e tu mi lasci una manciata di ramini, lo puoi fare, certo, ma chiaramente non hai compreso la fatica, sia materiale che economica, che sta dietro la creazione di una serata del genere, e ne mini alla base la riproducibilità.

          A me piacerebbe parecchio un mondo in cui i club venissero nazionalizzati e io dovessi preoccuparmi solo del livello artistico della mia proposta. Fino a che non succederà però, il successo della club culture non può che basarsi su una forma di cooperazione tra pubblico, artista e manager, una sorta di patto sociale.

          “Serve maggiore cooperazione tra pubblico, artista e manager”

          Chissà che l’emergenza che stiamo vivendo non serva, almeno in parte, ad andare in questa direzione. Con l’emergenza legata alla pandemia mondiale hanno chiuso tutti i club d’Italia. Ora come ora, mentre scrivo, è chiusa praticamente ogni altra attività economica del Paese. Tuttavia, mentre per quanto riguarda tutto il resto, sembrerebbe vicina la fine del lockdown, per quanto riguarda i club ancora non si parla nemmeno di riaperture. Ci sarà dunque senza alcun dubbio una lunga fase in cui si tornerà ad una vita più o meno normale, ma senza club. Chissà che questo vuoto, questa assenza, non serva a far percepire la mancanza, e dunque l’importanza e il valore di certi luoghi. Non ci spero molto. Credo che le cose si capiscano meglio facendole che non facendole. Ma chissà, magari mi sbaglio. Lo spero.

          “Durante il lockdown tutto sembra tacere per quanto riguarda i club e i lavoratori della cultura”

          Personalmente, in questa fase di stop, quello che sento con particolare forza, e che mi manca, è la comunità che sta intorno al club che gestisco: rapporti umani, incroci, una fitta rete di intrecci, creativi e personali, che ora come ora manca, anche se cerchiamo di tenerla viva con tutti i mezzi a nostra disposizione. L’iniziativa stay @live che abbiamo proposto nelle prime settimane di lockdown andava proprio in questa direzione: non tanto e non solo un appello agli artisti che sono passati dal club di Vicolo del Tidi a concederci un concertino in streaming, ma una chiamata alle armi per tutta la nostra comunità, dai nostri dipendenti ai nostri clienti, dai nostri amici ai nostri collaboratori.

          Quale è la Club cultura che vorresti? 

          Sogno una club cultura piena di curiosità, con meno culto del grande nome e più spirito d’avventura, che sappia divertire e sorprendere, che faccia pensare e ballare. 

          innovazione lumiere: Silvia Calderoni
          Silvia Calderoni (Dj Set at Lumiere, Pisa)

          Alcuni preziosi links:

          Pagina Facebook

          Sito Web Ufficiale

          Sterling, foto Martina Ridondelli

          Sterling

          La regola del fare, costanza, impegno e risultati

          Intervista ad un nuovo producer di musica elettronica: Sterling aka Gabriele Bartolucci 

          Oggi raggiungiamo la prima cifra doppia per Break the Wall. Decima puntata che festeggiamo assieme ad un nostro grande amico, compagno d’avventura. Un artista vulcanico, dotato di talento e metodo. Oggi vi presentiamo Gabriele Bartolucci aka Sterling che proprio in questi giorni ha raggiunto anche lui un primo importante traguardo. Parliamo dell’uscita del suo nuovo “ANAHEIM EP” per la teutonica Bunny Tiger di Sharam Jey.

          Per chi in questi anni ha seguito le attività del PUM, o di recente ha avuto modo di partecipare a qualche serata per Club Cultura al Caracol (Pisa), si ricorderà di Sterling. I suoi set coinvolgenti, in grado di far ballare la pista, per ore. Lui, un producer amante del learning by doing, negli ultimi anni di esperienza ne ha maturata tanta, sia in studio che sulla pista. Innumerevoli notti senza dormire, inseguendo diversi demoni. Maturando nel contempo una forte versatilità, diverse capacità stilistiche e tecniche, atteggiamento, resistenza e l’esperienza necessaria per portare tutto al next level.

          “Learning by doing, impegno ed esperienza hanno portato ad Anaheim EP per Sharam Jey”
          Foto by Martina Ridondelli

          Se vi siete persi il precedente numero di #BtW, oppure è la prima volta che vi trovate qui, #BtW è una rubrica di UNDERBLOG che vuole portare nuova conoscenza nella cultura club, ogni volta con il prezioso e fondamentale contributo degli ospiti che intervengono. Un vero e proprio percorso di ricerca nella speranza di contribuire a riscrivere una nuova pagina di CC! Buon Viaggio!

          Chi c’è dietro al producer di nome Sterling?

          L’idea del nome nasce da un personaggio di una serie televisiva americana di qualche anno fa “Mad Men”, le prime volte l’ho utilizzato come dj radiofonico del programma Fingertips su Radio Roarr e in Dj set back2back assieme a Dadapop nelle prime wild nights del colorificio occupato, si parla del 2012.

          Inizio a fare musica molto prima di quel periodo, sperimentando inizialmente con diverse digital audio workstation (DAW) come Cubase e Reason, successivamente poi Ableton live. L’influenza musicale era quella dell’elettronica d’autore: Vitalic, Aphex Twin, Four Tet, Plastikman, Boards of Canada etc.. successivamente poi da quell’ ondata è nata l’elettronica come la conosciamo oggi.

          “Il punto di partenza è l’elettronica d’autore: Aphex Twin, Four Tet, Plastikman etc.”

          Parto dalla minimal elettronica, un must di metà anni 2000 per arrivare poco dopo alla dubstep che mi vedrà impegnato negli anni seguenti come dj del duo Bang’a’bros. 

          Da li poi i vari progetti Machine Overdrive più sulle sonorità Moderat e John Hopkins, Wagual che riprende il sound Four Tet, Max Cooper e attualmente Tribalanza che punta decisamente sul dancefloor e sull’elettronica internazionale da Festival. Suono pure la chitarra e cerco quando possibile di riportare certe soluzioni chitarristiche ritmiche e melodiche all’interno delle mie tracce.

          Cosa è per te la musica elettronica?

          E’ l’espressione musicale dominante di questi anni, è il naturale sviluppo dell’espressività artistica nella musica nell’era del digitale e della rete. Piano piano i suoni sintetici hanno sostituito sempre di più quelli “reali” legati alla performazione di uno strumento usuale (con tutte le sue caratteristiche fisiche) come una chitarra o un pianoforte.

          Da questo processo è nata l’estetica della musica elettronica e i suoi codici hanno sostituito molti punti di riferimento dati per scontati nel corso dei decenni precedenti. Oltre a questo è una forma creativa che permette molta libertà come si stà vedendo recentemente nel nuovo Rnb, nell’hip hop e anche nel Pop più in generale, generi che stanno vivendo una nuova rinascita stilistica. Oggi è l’universo dei suoni digitali scelti con parsimonia e processati in maniera maniacale dai producer di mezzo mondo attraverso effetti e plugin di ogni sorta, l’elettronica ad oggi sembra dare più possibilità combinatorie.

          “L’elettronica ha sostituito i codici classici ma sembra dare più possibilità combinatorie”

          Più in generale l’elettronica è il nuovo rock e si vede come le star di ibiza e del tomorrow land trovino nelle nuove generazioni un terreno più fertile per lanciare un nuovo mondo di suoni e di suggestioni legate alla loro musica. Adesso i ritmi e i suoni digitali sono il pane quotidiano, una generazione cresciuta con la minimal ha il background giusto per godere a pieno di questa musica e delle sue future (ulteriori) contaminazioni.

          Come vedi la Club Culture in Toscana e dintorni?

          Potrebbe andare meglio, ci sono tante piccole realtà poco sviluppate ma tenaci che non si coordinano tra di loro, c’è molta dispersione e si rischia come sempre in questi casi di non raggiungere l’obiettivo (comune) prefissato: la creazione di una scena che abbia una sua vitalità e che si tramuti anche in opportunità economica per tutti.

          Non mancano realtà forti e che si muovono bene, così come producer di talento. Tra gli addetti ai lavori penso al Lattex Plus e a qualche altro club Fiorentino che è sul pezzo, poi chiaramente il Caracol con CC…ma sono di parte!

          Il tuo nuovo Ep è appena uscito sull’etichetta tedesca Bunny Tiger… parlacene
          Sterling – Anaheim Ep – Bunny Tiger

          E’ un Ep che è nato nei ritagli di tempo del progetto Tribalanza con un altro producer di grande spessore, Alessandro del Fabbro (Dj Gomma) che negli ultimi anni mi ha impegnato (e insegnato) molto. Sono ritornato anche grazie ad Alessandro a Cubase che nel frattempo è molto migliorato diventando una delle migliori DAW sul mercato. Sono partito da una serie di tracce influenzate principalmente da Maceo Plex, Rampa e dalla Innervisions, una delle realtà più futurische e sul pezzo all’interno della nuova scena elettronica, volevo qualcosa di pulito e con pochi suoni che fosse il linea col momento attuale, più un lavoro tecnico-creativo e di sound design.

          “Uno sguardo al futuro, non può mancare come ingrediente chiave”

          Grazie a Sharem Jey e alla sua Bunny Tiger che ha creduto al mio suono e a queste tracce. Adesso sto lavorando a una decina di tracce tutte molto simili tra di loro e principalmente pensate per la pista e per la danza.


          Alcuni preziosi link:

          Beatport

          Tribalanza

          Ascolta “ANAHEIM EP” qui:

          Foto by Ivo Almilamaro

          Sterling aka. Gabriele Bartolucci inizia a sperimentare con la musica elettronica nel 2002 ed il primo EP esce nel 2005 sotto il nome di “Minimal Illness”. Nel 2009 inizia un percorso all’interno della musica uk bass, dubsteb lanciando il duo Bang’a’bros. Sotto lo pseudonimo di Sterling insieme a Dj Darius conduce 3 stagioni del formato radiofonico “Fingertips”, magazine settimanale di approfondimento legato alle ultime tendenze della musica elettronica.

          Nel boom dell’elettronica Pisana, Fingertips è stato un punto di riferimento”

          Insieme a Dadapop, Neuro e Chino fonda i Machine Overdrive, quartet live analog elettronico che si isprira alle sonorità di Vitalic e Moderat, nel 2013 esce il loro ep su Type Konnection. Nel 2014 nasce il Pum ed è uno dei fondatori. Nel 2016 insieme a Dadapop fonda il duet afro-ethnic-house Wagual. Dal 2017 collabora stabilmente con Alessandro del Fabbro e Daniele Vergamini all’interno del progetto Tribalanza, recenti le uscite su Traum Schallplatten, Opilec Music e prossimamente su Perplex!


          Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

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            Caracol Pisa

            Cristiano Manetti

            R-esistire per rilanciare la curiosità e l’aggregazione

            In questo momento non è facile esprimere certi pensieri, sopratutto parlare di aggregazione sociale e culturale. Siamo sommersi costantemente da un sacco di informazioni positive e negative e in più c’è la forte pressione emotiva che sentiamo a causa della stasi globale. Tuttavia è anche forte il bisogno di confrontarsi e di comunicare anche se distanziati dai nostri schermi, conservando la speranza di tornare a promuove e fare aggregazione, socialità, cultura.

            “Servono nuove esperienze autentiche e non-riproducibili”

            Con molto piacere in questa nona puntata di Break the Wall abbiamo il piacere di riflettere con Cristiano Manetti (Re-paly, Carcol) che ci porterà in uno dei luoghi nella nostra città di Pisa, dove da tempo si cerca di riportare al centro della discussione una riformulazione della cultura club a 360 gradi. Non a caso, è anche lo spazio che ospita, o meglio ospitava prima della pandemia, il nostro progetto Club Cultura con una serata al mese. Avete capito, parliamo del Caracol, ma non è il club il solo tema di questo episodio. Ringraziamo la nostra inviata speciale Rozz Ella per questa ulteriore e preziosa intervista.

            Prima di perdervi in questo nuovo episodio, vi chiediamo tuttavia di prestare 5 minuti del vostro tempo e se riterrete importante sostenere e condividere una campagna che il Caracol ha avviato da pochi giorni qui.

            Cosa è per te la Club Culture?

            La Club Culture per me è l’idea che esistano degli spazi in grado di fare aggregazione, di dare e ricevere stimoli riguardo a tutto quello che si muove in ambito culturale, con particolare attenzione alle esperienze più autentiche ed innovative. Posti che evolvono nel corso del tempo e contribuiscano alla formazione in ambito culturale di chi li frequenta, dando al contempo la possibilità di esprimersi a chi è animato da sincera passione. Posti che si pongano nei confronti degli artisti e dei frequentatori con un atteggiamento aperto e rispettoso, garantendo standard il più possibile elevati riguardo all’acustica, alla strumentazione tecnica, mantenendo prezzi accessibili e non chiudendosi alle collaborazioni esterne, se compatibili con la propria sensibilità artistica.

            Un disco che la rappresenta? 

            Eh… non saprei, sono talmente tanti. Credo che sceglierei una compilation. Tipo quella del 2006 dell’Hacienda, dove ci sono molti artisti in campo elettronico che hanno contribuito alla formazione di una nuova scena.

            Fonte Ultrasonica
            Quale è la Club cultura che vorresti? 

            Vorrei soprattutto che venisse riconosciuto il valore di esperienze (di aggregazione) che non mettono al primo posto il risultato immediato delle serate, in termini di affluenza e incassi, consentendo ad ognuno di fare scelte effettivamente innovative o comunque libere dalla necessità di  mediare per garantirsi la sopravvivenza. Vorrei che fossero riconosciute e tutelate alcune professionalità, come quella dei dj, dei fonici, dei facchini  in modo da garantire un livello adeguato delle proposte e non tagliarle fuori in momenti come questo che stiamo vivendo. Purtroppo su questo terreno l’Italia non è il posto migliore dove aprire un club o pensare di costruirsi un futuro in ambito creativo. 

            Fonte Il Tirreno, I Be Forest
            Dal ” vecchio Caracol” ad oggi, cosa è  successo?

            Se ti riferisci ai due spazi, diciamo che il primo nacque un po’ per caso come luogo di aggregazione culturale e venne adattato alle nostre esigenze mantenendo però diversi aspetti critici a livello strutturale, riguardo ad esempio alla disposizione degli spazi alla collocazione del locale, ecc. mentre il secondo abbiamo avuto la possibilità di progettarlo in modo più libero e forti dell’esperienza precedente. Se ti riferisci invece ai due periodi storici in ambito culturale, sono successe diverse cose. E’ aumentata l’offerta ma è forse diminuita la curiosità e l’abitudine a frequentare certi spazi, specie nelle generazioni più giovani. Alcune proposte “indipendenti” sono diventate “mainstream”, attirando l’interesse dell’industria discografica, il che è stato un bene per loro ma ha trascinato tutto il movimento su livelli difficilmente sostenibili per i locali e tagliato fuori, a livello di visibilità le realtà più piccole. 

            Fonte: La Kinzica, Jackdaw with Crowbar
            Cultura e arte sono tra le più colpite dalle necessarie attuali misure emergenziali, a causa della loro profonda necessità di relazioni sociali, di eventi in-presenza, di partecipazione. Succede però che, in maniera forse inaspettata, si è messo in moto un meccanismo spontaneo in cui si sta diffondendo sempre di più una produzione e una fruizione artistica e culturale online sia a livello quantitativo (un’esplosione di performance, dj- e live-set, ecc.), che qualitativo (il mezzo – telecamere, tecnologie di comunicazione a distanza alla portata di tutti – che dà vita a oggetti culturali nuovi e mai visti). Una produzione e una fruizione dal basso, orizzontale e diffusa. Cosa ne pensi? Sta nascendo un nuovo underground?

            Non lo so, sono molto confuso su questo punto. Credo che questo meccanismo dal basso sia nato, lodevolmente, da una certa forma di “resistenza” alla situazione, un modo per mantenere i contatti, reclamare di esserci ancora, sostenere chi si è trovato di colpo chiuso in casa senza un sacco di cose. La mia idea di club cultura però prevede come componente fondamentale l’aggregazione, la non-riproducibilità dell’esperienza dal vivo, sia essa riguardo ai concerti che riguardo al ballare. L’impatto sonoro è  una delle cose che rende significativamente differente l’ascolto di un disco rispetto alla sua esecuzione dal vivo.

            “Resistenza, contro-cultura, aggregazione, non-riproducibilità”

            E poi c’è la componente “rituale”, consistente nell’essere in un posto, insieme ad altre persone, che magari urlano ed entrano nei microfoni delle bands o dei dj, rendendo tutto molto diverso e più comunitario. Mi spaventano un po’, inoltre, le possibili prospettive riguardo allo streaming a pagamento. Sento già alcune istituzioni parlare di possibili “Netflix della musica”, una cosa che personalmente mi fa inorridire.

            Abbiamo visto l’effetto dello streaming sui cinema, che in gran parte hanno chiuso, sui negozi di dischi con l’avvento di spotify, sul calcio con la vendita dei diritti tv. Pensare a Netflix che si compra l’esclusiva sul rock, sky dell’elettronica e i dj, amazon del rap, e così via, mi terrorizza. Temo inoltre che siano soluzioni che possano fare molto gola a chi è stato sempre insofferente nei riguardi della “movida” così come chi ha mascherato da lotta alla violenza degli stadi una spietata commercializzazione di qualcosa che era popolare e svolgeva una funzione sociale e aggregativa con pochi paragoni. Quindi, in conclusione, starei attento a parlare di “nuovo underground” o nuove forme creative, perché il rischio è di condannarsi all’estinzione (noi aggiungiamo senza aggregazione non può esserci la rivoluzione e tantomeno la produzione culturale).

            Cosa pensi che ne resterà a emergenza finita (oppure è troppo presto per parlarne)?

            Penso che sia troppo presto per parlarne. Siamo tutti ancora molto coinvolti e sconvolti e le previsioni che possiamo fare al momento possono essere troppo pessimistiche o troppo ottimistiche al riguardo. Credo che sia il momento di tenere duro e di confrontarsi, certo, per non restare impreparati, ma senza farsi prendere troppo dall’emotività del momento.


            Save your Club – Aiuta il Caracol:

            In questo momento il Caracol come moltissimi altri club si trova a dover fronteggiare una tempesta. Questa come altre non sono solo la storia di un Club che rischia di chiudere, ma quella di persone e idee che hanno fatto molto per tutti noi e per la città. Aiutare il Caracol non significa solo permettere a questo fiore di continuare il suo percorso, ma di mantenere vivo un ideale, nella speranza che continui a diffondere i suoi messaggi e benefici.

            Se potete vi chiediamo di sostenere attivamente questa realtà con un contributo simbolico (dona qui)

            Se non potete vi chiediamo almeno di diffondere questo messaggio e far si che possa essere apprezzato da tutti.

            Difendere il Caracol significa garantire il futuro della comunità artistica e dell’aggregazione in città che con esso e altri posti come il Caracol si sviluppa. Come una famiglia chiediamo a tutti di raccoglierci attorno a questo tavolo virtuale e stringerci per superare questo momento.

            Dj Michele Fonx Fontanelli

            Dj Fonx

            Riformare la CC, tre livelli su cui intervenire ma serve un maggiore coordinamento tra Club

            Con molto piacere in questa ottava puntata di Break the Wall, ci spostiamo con Michele Fontanelli aka Dj Fonx per parlare di coordinamento e Club Culture. Due temi fondamentali che cercheremo di esplorare grazie alla sua esperienza e visione attraverso una riflessione che guarda al futuro con lucidità e prospettiva. Ringraziamo la nostra inviata speciale Rozz Ella per questa nuova ed interessante intervista.

            Cosa è per te la Club Cultura?

            Eh, in due righe mi sembra difficile, più che altro che cosa si intende per club culture? Sarò un’pò provocatorio. Dai tempi delle prime vere situazioni (Paradise garage, Loft, etc. e poi dopo tutta la scena Inglese) che hanno portato alla nascita di quello che oggi conosciamo, sono cambiate tantissime cose, a livello sociale, culturale, tecnologico ed economico.

            Paradise Garage coordinamento
            Fonte: m.dagospia, Paradise Garage (New York, 1977)

            Questa “cultura”, se così vogliamo chiamarla, è nata in posti piccoli, con un humus umano che proveniva dagli ambienti più bistrattati e marginali, il pubblico medio di queste situazioni era composto da Gay Afro-Ispanico-Americani con tendenze tossicomane. Diciamo l’esatto opposto del modello italico che si è diffuso di più, discotecone fotoniche con tanta gnocca in bella evidenza, fighettismo diffuso, molti soldi e sostanze illecite di vario tipo (questo forse unico aspetto che ci accomuna con le esperienze estere citate). E la provocazione parte da qui: di quale club cultura vogliamo parlare? Di quella italiana? Perché il fenomeno veramente di massa in italia è stato quello dei ’90, con la progressive prima con l’house dopo fino ad arrivare alla Minimal dei 2000, quindi megadiscoteche e discorso fatto sopra.

            “un humus umano che proveniva dagli ambienti più bistrattati e marginali”

            Per il mio percorso personale, sia come dj/producer che come promoter ma anche come semplice clubber, la discoteca “ ufficiale” è arrivata dopo, quando in quegli ambienti si sono accorti, con quasi dieci di ritardo, che nel mondo la musica da ballo era cambiata, riguardava uno spettro più ampio di sonorità e ritmi, rispetto ad un solo tipo di cassa dritta (e anche le prime cose americane e tedesche qui venivano viste minacciosamente). Ci sono state esperienze in posti che erano sul pezzo con quello che stava succedendo nel mondo, ma non appartenenti a quegli ambienti, come ad esempio: Pergola a Milano, il Link ed il Livello57 a Bologna, il Maffia a Reggio Emilia, Agatha a Roma.

            “Un tempo c’erano i centri sociali..”
            L57 coordinamento
            Fonte: segnalidivita.com, L57, Bologna 1998

            Situazioni considerate off, molti di questi erano Squat o Centri sociali. Poi c’è stata tutta la scena dei rave e delle feste illegali. Chiamiamolo Underground? Anche se a me questa definizione non piace. In questi ambienti si respirava fondamentalmente controcultura, o subcultura, musicale, visiva e sociale. Non si delegava al sistema ufficiale dell’intrattenimento di proporci anche le cose “alternative”, ma queste situazioni diventavano esse stesse le Alternative.

            “In Italia non c’è una cultura diffusa a livello di Club..”

            Penso che in Italia non si possa parlare di una vera e propria cultura diffusa a livello di Club (aggiungiamo noi è forse mancato il coordinamento), penso piuttosto che ci siano state e ci siano ancora oggi realtà che si sono mosse in una direzione virtuosa (spesso anche mitologica, si pensi all’esperienza pionieristica della “ Baia degli angeli” e al fenomeno del cosiddetto afro, a gente come Baldelli e Mozart andrebbe fatto un monumento), ma spesso non molto collegate fra loro, e ognuna dipendente dalle proprie dinamiche territoriali.

            Altre persone ti diranno che il Tenax, l’Insonnia o l’Imperiale sono state il top, è una questione di gusti, percorsi personali e quindi molto soggettiva; e secondo me è anche il bello di questo ambiente, ogni suono e ritmo ha avuto la “sua casa”, l’importante sarebbe non fare i fondamentalisti. Alla fine la club culture, è una cosa molto semplice: musica proposta da un dj, un buon impianto audio che la riproduca e persone che hanno voglia di far festa e ballare. Come la si fa è la discriminante fra fare cultura e fare solamente business ed intrattenimento.

            Un disco che la rappresenta? 

            Domanda molto soggettiva e difficile, un disco che la rappresenti mi sembra impossibile…proprio per quello che ti ho detto prima, ognuno, per la propria esperienza, avrà dei riferimenti musicali diversi, per me sono parte della club culture anche la scena dei Sound System o la scena degli Allnighter, dipende dai punti di vista. 

            Le persone frequentano sempre meno i club, molti chiudono anche in paesi ‘avanti’ come la Germania, cosa potremmo fare qui?

            Già da qualche anno la scena è, a mio avviso, alle prese con una trasformazione epocale. Per i giovanissimi “club culture” è un’espressione senza significato. I djs sono divi pop, Miley Cyrus vale quanto Guetta o Marshmellow. E non interessa più se sei bravo a mixare, se sei un cultore dei vinili, se hai la capacità di mettere i dischi per sei ore tenendo le persone incollate alla pista. Oggi conta solo lo show. E se poi il dj sul palco preme solo un tasto, poco importa. Sono nati tantissimi Festival di elettronica, e molto pubblico si è spostato su questo tipo di eventi, creando anche un’effetto negativo a cascata sui club, dato i cachet che vengono pagati ai Festival, non sono competitivi con quelli dei club, limitando la possibilità di programmazione di questi ultimi, che spesso si ritrovano a fare gli stessi nomi per non rischiare soldi.

            Poi i Social e gli schiuma party di Ibiza (come esempio da seguire), con i suoi privée e i dj superstar hanno fatto il resto, ‘mercificando’ una scena club diventata cartolina e obbligando a epocali door selection il resto, nell’illusione che lo spirito originale possa in qualche modo sopravvivere nei muscoli dei buttafuori.

            Assenza di coordinamento il modello delle cattedrali nel deserto (Ibiza)
            Fonte: Ibiza Spotligh, Club Cartolina

            Quindi la club culture non esiste più. O meglio, da fenomeno per pochi al successo popolare, oggi quella più autentica è ridiventata un fenomeno non per i molti. E secondo me deve ripartire dalle origini, dai piccoli spazi, dalle serate dove ancora si coltiva l’idea che il club è un luogo di sperimentazione. Un’occasione per condividere divertimento e musica. Noi aggiungiamo manca coordinamento.

            “Ripartiamo dai clubbers”

            Se si chiama club culture allora ripartiamo dai club e dai clubbers, cercando di creare percorsi inclusivi per far crescere delle reali scene locali, con numeri si spera superiori a quelli di una festa delle medie. Da una parte i soliti nomi hanno rotto le palle, ma anche i dj locali, che te la fanno pesare come se i generi che “ suonano” li avessero inventati loro, non sono il massimo.

            Lo so, non sarò molto simpatico, ma è meglio dirsi le cose per come sono (essendo io anche dj), l’ autoreferenzialità è un limite abbastanza comune di chi fa cose “Underground” in Italia, non capendo che l’obiettivo deve essere quello di fare più proseliti, come moderni evangelizzatori, e non stare a dare patentini di credibiltà  e purezza a questo o quello. Se si vuole affrontare seriamente il problema, va proprio rifondato un movimento. Un movimento multiforme e soprattutto “croccante”! (citazione da uno dei più genuini clubbers del Deposito!).

            coordinamento all'interno del bar25, Berlino
            Clubbers in Bar25, Berlin
            Cosa manca?

            Sono tre i livelli che mancano e un coordinamento tra questi: 

            Uno, istituzionale 

            inesistente, come sempre per quello che riguarda musica, cultura e divertimento “intelligente” in Italia. Questo settore viene considerato una rottura, trattato come un problema di ordine pubblico, una accolita di debosciati. L’esperienza tedesca è lontana anni luce rispetto alla nostra; 

            Due, Club e Addetti ai lavori

            Agenzie di booking per prime che non si aiutano. I Club molto impegnati a far quadrare i propri conti, non disdegnando anche scazzi con gli altri Club. Che scommettono poco sulle novità, e cercano di andare sul sicuro. E che per avere esclusive sugli altri Club, fanno il gioco delle peggiori agenzie di booking per riuscire a fare ospiti con prezzi fuori mercato. Le agenzie italiane si distinguono per questa oscillazione dei cachet degli artisti esteri (e spesso succede anche per gli artisti italiani), a Tizio gli chiedono X e a Caio Y, per poi scoprire dalla fonte estera che spesso i ricarichi sono anche del 30/40% di quello richiesto dal management dell’artista; 

            Tre, il Pubblico 

            ormai sempre più dipendente dall’hype di quell’artista o di quel club, senza uno sviluppo serio di un gusto personale e “critico”. Basta inseguire sempre e solo i soliti nomi, i “brand internazionali” del clubbing. Sarebbe positivo inoltre prestare attenzione anche ai “local heroes” e ai talenti più freschi ed inediti, perché in origine il clubbing era avventura e scoperta, non rassicurazione e teatrini da backstage. Fare più attenzione alla musica e meno agli aspetti accessorii, cercare le situazioni che fanno proposte artistiche non convenzionali ed originali, e non la solita pappa pronta coi soliti nomi. 

            Cosa andrebbe cambiato?

            Credo di aver già parlato di alcuni cambiamenti auspicabili, in più dovrebbero svilupparsi ulteriori aspetti: maggiore collaborazione tra i Club; coordinamento tra Club per evitare sovrapposizioni di programmazione; fronte unico con le istituzioni; fare rete per poter contrattare a livello nazionale, tour di artisti, direttamente con i management, bypassando molte inutili agenzie, per promuovere artisti minori in modo che possano girare in Italia, e altrettanto il lavoro contrario, in modo che anche talenti italiani arrivino a l’estero.

            Costruire serate dal basso, facendo crescere un vivaio di dj locali, creando (attraverso il coordinamento) delle reali scene locali, e non “scenette” virtuali che si fermano esclusivamente all’ambito dei social network. Senza fare guerre ideologiche agli artisti più noti o alle agenzie e management, ci sono persone che hanno fatto molto per lo sviluppo di questa scena, ma si tratta piuttosto di riordinare e riequilibrare un po’ le dinamiche, come dobbiamo farlo per l’ecosistema e per l’economia, per il bene di tutti. Nessuno escluso. Darsi tutti una bella calmata, soprattutto dal punto di vista economico.

            Ultima domanda quale è la cc che vorresti? 

            Ritornare all’attitudine originale,  ritrovarsi in spazi dove la prima cosa da fare è abbinare il divertimento alla qualità e cercare di trasmetterlo al pubblico. Chi riuscirà in questa formula (e aggiungiamo ancora, serve coordinamento) saprà dare dignità alla parola clubbing. Diversamente il discorso verterà unicamente sulla scena più commerciale, come è sempre stato in Itaglia.

            Cosa pensi che ne resterà a emergenza finita (oppure è troppo presto per parlarne)?

            Immaginarsi ora come potrà essere il dopo è difficile, perché ci sono in ballo diverse variabili, te ne cito alcune: Come si comporteranno le istituzioni? Saremo sicuramente gli ultimi a ripartire, poi non abbiamo (dal punto di vista istituzionale ma non solo) valenza culturale come il teatro o il cinema o la musica classica, siamo i “ peggio”, quelli che fanno casino, si ubriacano e si drogano. Quindi chi riuscirà a tenere botta fino al momento della riapertura sarà già un grande, perché penso aiuti per noi non ci saranno, siamo un’Associazione e non una Società (nuovamente un coordinamento non sarebbe male!).

            insisteremo ancora di più sulla sostenibilità della programmazione (e il coordinamento), alla qualità deve corrispondere un giusto valore

            Pensare che dopo siano rispettate le distanze di sicurezza in posti dove si balla, si sta insieme, e si fa baldoria? Le persone saranno sempre così smaniose di trovarsi in luoghi chiusi? A stretto contatto con perfetti sconosciuti? Sinceramente non ho risposte a queste domande, so solo che quando ci penso mi prende una grossa angoscia. Se sarà trovato un vaccino, potremmo sperare di tornare a prima della reclusione forzata, in caso contrario la vedo parecchio hardcore.

            Già avere tirato su un posto con l’identità del Deposito Pontecorvo è una scommessa enorme, per la provincialissima Pisa, poi non poterlo fare in condizioni di normalità rende tutto un’avventura che sa di contemporanei Don Chisciotte. Sicuramente, per quanto mi riguarda, se ci saremo ancora, insisteremo ancora di più sulla sostenibilità della programmazione (e il coordinamento), alla qualità deve corrispondere un giusto valore economico altrimenti le cose non si fanno,  lascio volentieri il campo agli hipster del momento. 


            Alcune info preziose:

            Michele Fonx Fontanelli – Dj e Producer

            Dj Fonx, Deposito Pontecorvo

            Dj eclettico, nel vero senso della parola, il suo suono spazia dalla black music delle origini (funk, soul, jazz, reggae e disco) fino alle sue espressioni contemporanee (Hiphop, Drum’n’bass/Jungle, dubstep, breakbeat, nudisco, elettro, bassmusic). Ed ha fatto girare i dischi nei posti più diversi: dai centri sociali ai club, dai paddock della Formula 1 alle feste di quartiere per strada, dalle jam di b-boys ai più rinomati jazz club. Inizia a dedicarsi ai Giradischi e ai Vinili, come dj, nel ’ 6, con la crew SVC. E’ fondatore e animatore di Casseurs Foundation. Dopo varie esperienze negli ambienti Hip Hop-Breakbeat-Drum’n’bass toscani, nel 2001 fonda con il milanese Painè (Compl8/Temposphere rec) I Maniaci Dei Dischi e così inizia a lavorare sulle produzioni e suona mensilmente @ Cox 18 (Milano), oltre a molte date in giro per l’Italia e passaggi su varie radio (RadioRai2/Weekendance; Popolare Network).

            La prima testimonianza, pubblicata, di questa collaborazione è il singolo del secondo album di Painè (“Spontaneous”), per Temposphere records, dal titolo BENE feat. dj Fonx e con remix di: The Herbaliser (Ninja Tune-Uk), Quantic (Tru-Thoughts-Uk), Boogie Drama (Soundplant records-It).

            In seguito esce il primo EP de I Maniaci Dei Dischi ‘OUR HOUSE EP’ seguito da un’altro ep dal titolo “SMILING FACES EP” entrambi su Temposphere records (sub label di Right Tempo), oltre a un remix per Baixinho (Vitaminic/Royality) e tracce licenziate in Giappone ed Austria (primavera 2003). Inizio 2004 viene pubblicato il primo album de I Maniaci dei Dischi, dal titolo “Hey presto!”, su Temposphere Rec. 

            Da Dicembre 2003 fino al 2010 cura, insieme a Matteo Pzzo Chellini, ogni sabato sera, su Controradio (radio fiorentina a copertura regionale affiliata al circuito nazionale di Radio Popolare), una trasmissione radiofonica settimanale dal titolo RITMO, un viaggio nelle musiche da ballo di domani, di ieri e di oggi.  

            Nel 2012 esce con The Brother Green…

            E’ uno degli animatori della NuCombo crew, insieme a Nove, con cui è stato resident dj dell’appuntamento Massive Night, presso il DressCode (ex Insomnia, Pisa) dal 2004 al 2011, condividendo la consolle con il meglio della scena drum’n’bass/jungle europea ed italiana. Ha anche dato vita alla crew Black Friday, girando dischi in tutta la Toscana, all’insegna del suono black più puro, ovvero funk, soul, afrobeat, rap, disco e reggae.

            Nel 2012 esce con The Brother Green, collettivo con il tastierista/organista Paolo Peewee Durante, Roberto “Bombo” Fiorentini al basso, e Piero Gesuè alla voce. Pubblica l’album “No Country for young men”: un disco trascinante che contamina la matrice funk con l’elettro, la disco, il soul, l’hip hop, il blues ed una spruzzata di jazz. Ha fondato e gestito l’etichetta Burnow, che ha fatto uscire gli albums di: The Brother Green, Pezzone ed Apes on Tapes. E’ tra i fondatori, e ne è anche presidente, del Deposito Pontecorvo, music club situato a Pisa.

            Ha collaborato e fatto girare dischi con:
            • Casino Royale;
            • SanAntonioRockSquat;
            • Sun Wu Kung collective;
            • Esa aka El Presidente Otr/Gente Guasta;
            • Richard Dorfmeister (Austria);
            • Daddy G (Massive Attack/Uk);
            • Rayner Truby (Ge); Rich Medina (Usa);
            • Boots Ryley (The Coop/Usa);
            • Deda/Katzuma;
            • Gopher;
            • Dre Love;
            • Andrea Mi;
            • Biga;
            • Rob Luis (Tru-Thoughts/Uk);
            • Paul Murphy (Uk);
            • Congo Natty (Congo Natty records/Uk);
            • Rob Swift (Usa);
            • Dj Rocca/Ajello (Maffia Sound System/CrimeaX);
            • Volcov;
            • Michael Rutten (Jazzanova-Sonar Collective/ Ger);
            • Lele Sacchi; Sergio Messina;
            • Claudio Sinatti;
            • Serial Killaz (Uk);
            • Benny Page (Uk);
            • Royalize;
            • Andy Smith (Uk);
            • Dj Vadim (Uk/Usa);
            • Nick Record Kicks;
            • Victor Duplayx;
            • Rocco Pandiani;
            • Gak Sato (Jp);
            • Alien Army;
            • General Levy;
            • Bonnot;
            • Next One;
            • Roll Deep (Uk);
            • XCoast;
            • Gilles Petterson;
            • Taxman;
            • Sigma (uk);
            • Pendolum (au);
            • Shy Fx (Digital Soundboy/Uk);
            • Rosalia De Souza;
            • Nicola Conte;
            • Ardiman Mc;
            • Kleopatra j;
            • Beans (Usa);
            • Manitoba (oggi Caribou);
            • dj Marky (Bra);
            • Hype (Uk);
            • Khalab;
            • Aphrodyte (Uk);
            • Colle der Fomento;
            • Apes on Tapes;
            • Fricat;
            • Popolous;
            • HomeGroove-Red Bull Music Academy;
            • Eastpack Italia;
            • Associazione Culturale M.Y.A.;
            • Circolo ExWide;
            • Associazione Culturale Cantiere S. Bernardo;
            • Controradio Firenze;
            • Cox18 Milano;
            • Arezzo Wave Love Festival/Fondazione Italia Wave

            Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

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              Syd e Alessandro

              Alessandro Favilli

              Un viaggio al centro dell’Underground Italiano con Alessandro Favilli

              Grazie alla pazienza e alla meticolosa passione da ricercatore di Sebastiano Ortu per noi Seba, ci spostiamo in questo nuovo episodio di #BTWall07 con Alessandro Favilli testimone e protagonista di un periodo lungo e importante della scena musicale di Pisa e non solo. Ringraziamo quindi Seba e Alessandro per questo grande contributo al nostro tentativo di ricomporre – tassello dopo tassello – un nuovo senso comune per la scena musicale underground.

              Foto: Ivo Almiramaro “Alessandro Favilli e Sebastiano Ortu @Factory PUM”

              Incontriamo Alessandro alla Factory del Pisa Underground Movement (PUM) uno degli ultimi avamposti della scena musicale locale, in una calda serata di questo strano inverno, una delle ultime prima della clausura e dell’isolamento imposti dal “virus”.

              Partiamo dall’inizio. Cosa caratterizzava la scena musicale e artistica degli anni ’70?
              San Zeno Pisa luogo cult per la scena musicale indipendente
              Chiesa di San Zeno (Pisa)

              I miei primi incontri con la scena musicale pisana risalgono alla seconda metà degli anni 70. Ricordo un certo fermento e un’attenzione particolare per i progetti più sperimentali. Pisa era una sosta obbligata per chi veniva da altre città o addirittura dall’estero perché offriva situazioni ideali. C’erano musicisti che si fermavano anche per settimane per suonare con altri musicisti, in maniera spontanea e molto producente. Ricordo Rafael Garrett o il violoncellista Tristan Honsinger. Questa attitudine aveva segnato spazi e luoghi: ricordo concerti sparsi in varie parti della città, come la chiesetta sconsacrata di San Zeno o il Giardino Scotto, ma anche in altri contesti meno informali, come piazza dei Cavalieri. Chi veniva da altre città trovava un ambiente estremamente stimolante, che dava luogo alla formazione di band occasionali, diciamo… improvvise! E richiamava un pubblico non soltanto “specialistico”, ma sostanzialmente formato da amanti della musica che venivano a curiosare.

              Ricordo i concerti memorabili di Don Cherry a Tirrenia, Art Ensemble Of Chicago, Archie Shepp.

              …ed era un’accoglienza in qualche modo organizzata o spontanea?

              D’estate in Umbria c’era “Umbria Jazz” e, siccome non era particolarmente lontano da Pisa, succedeva che molti si spostassero dall’Umbria perché si sapeva che a Pisa c’era il C.R.I.M. , il Centro per la ricerca sull’improvvisazione musicale: una tappa obbligata per chi seguiva il jazz. A Pisa in quegli anni c’era una scena musicale jazz assai sviluppata, molto più del rock o di altre tipologie di musica.

              Cosa era il C.R.I.M.?

              CRIM e scena musicale noise Pisana
              Copyright: Pisa Improvvisa, Tuttomondonews

              Ai tempi ero un ragazzino. Diciamo che era una sorta di “entità” che raccoglieva musicisti (pisani e non) e dava luogo a una sorta di filiazionecontinua di gruppi, che si trovavano occasionalmente per suonare e sperimentare e creare articolazioni sempre diverse di jazz. I musicisti pisani più attivi erano Roberto Bellatalla, Stefano Bambini, Eugenio Sanna, Gianni Canale, Fabio Pellegrini, Edoardo Ricci.

              A Pisa c’era solamente il jazz o cominciava anche a fiorire o a crearsi qualche altro tipo di movimento o di tendenza musicale?

              Il movimento del’77 è stato un periodo incredibile, da tutti i punti di vista. C’era un grande fermento, sia politico che culturale. Di conseguenza c’era una grossa circolazione di contenuti, di idee e di forze che venivano messe in campo. E questo ricadeva, evidentemente, anche sull’aspetto musicale. Dopo il rapimento di Aldo Moro nel ’78, iniziò il periodo del terrorismo e della repressione che segnò un arretramento delle istanze del movimento.

              Con il passare del tempo, in un’altra nazione, l’Inghilterra, emerse una realtà che si dirigeva nella stessa direzione ma con un approccio più nichilistico. Nasceva il punk, che esplose e sparigliò completamente le carte. Sotto la spinta dell’urgenza di espressione iniziarono a formarsi band di ragazzi che imparavano a suonare e, me compreso, a mettere in piedi una band. Nacquero così nuovi gruppi in tutta Italia.

              Tutta la Toscana il quel periodo fu un centro importante di questa nuova tendenza…
              Immagine cult per la scena musicale del Granducato Hardcore
              Copyright Urla Dal Granducato, registrato al Victor Charlie

              Si, perché in tutta Italia l’aspetto musicale si andò a saldare con il circuito dei centri sociali, che stavano iniziando a nascere. Facendo un passo indietro: dopo il periodo della repressione nel ’77 -’78 fino a inizio anni 80, cominciarono a spuntare i primi centri sociali come il Virus di Milano. Un modo diverso di porsi rispetto alla cultura e alla politica. Si occupavano spazi e talvolta si autoriduceva il costo del biglietto quando era troppo caro: potrei raccontarti mille aneddoti da questo punto di vista.

              Autoriduzioni ai concerti, intendi?

              Sì. Ricordo, ad esempio, un concerto del 1983 di Black Flag e Minutemen, due delle più importanti bands americane del periodo, all’Odissea 2001 di Milano. Il biglietto era troppo caro e ci fu un’irruzione di massa con i ragazzi che entrarono forzando il portone di ingresso. I musicisti uscirono per capire cosa stava accedendo: in America non sarebbe mai potuto succedere. A parte questo, si cominciarono a creare nuovi punti di aggregazione. Non bisogna dimenticarsi che non avevamo i social network, internet o altro.

              Vero! Quali canali di comunicazione utilizzavate per la diffusione degli eventi, per far conoscere i gruppi della vostra scena musicale?

              Usavamo il telefono (fisso) e ci spedivamo il materiale via posta. Le fanzine cominciarono a strutturarsi. Proprio mentre venivo qui alla vostra PUM Factory ripensavo a come riuscivamo a realizzare la nostra fanzine, che si chiamava Nuove dal Fronte… Con le fotocopie! Non c’era il computer, per cui usavamo trasferibili, ritagli di giornali e disegni fatti da noi o da altri per poi comporre le pagine che venivano fotocopiate, spillate. Non era una cosa da poco: riuscivamo a venderne qualche centinaio.

              Intorno a questo circuito che si andava strutturando nacquero vari centri di aggregazione. Uno di questi era il Virus, mentre a Pisa c’era il Victor Charlie, un fenomeno estremamente peculiare rispetto al resto dei centri sociali, perché non era un locale occupato. Era un circolo Arci in cui si organizzavano soprattutto concerti, che richiamavano gente da tutta Italia: ricordo i pullman che arrivavano dalla Puglia. Cominciammo a diffondere queste pubblicazioni al Victor Charlie in un piccolo spazio in cui si potevano trovare anche magliette autoprodotte, fanzine, appunto, e i primi dischi che cominciammo a far circolare.

              Sta di fatto che cominciavano a moltiplicarsi realtà analoghe in altre città come Firenze, Parma, Bologna, Ferrara, Bari, Roma, Torino e molte altre. Per contenere i costi delle telefonate all’estero in nostro soccorso venivano degli “espedienti”; ad esempio, conoscevamo un tipo che lavorava per la Sip che ci dava le chiavi per aprire i telefoni delle cabine telefoniche. Aprivamo le cabine e con una tecnica molto banale avevamo credito illimitato!

              Era il meccanismo del do it yourself, del fai da solo, organizzati!

              … meccanismo che funzionava, anche perché c’era generalmente molta disponibilità: chi aveva qualcosa, la condivideva con tutti gli altri. Questo significava, ad esempio, che eri quasi obbligato a ospitare ragazzi che venivano da altre città e a dargli alloggio a casa tua.

              Si creò una circolazione, per il Victor Charlie, molto importante; tant’è che cominciarono a venire fuori i primi problemi…

              Di quale periodo stiamo parlando?
              Victor Charlie documento della scena musicale underground
              Locandina d’epoca del Victor Charlie

              Stiamo parlando dell’ ’85-’86. Non so se conosci dov’è il Lungarno Guadalongo, Corte Tiezzi [zone di Pisa, ndr]; successe che nonostante il locale fosse insonorizzato gli abitanti del quartiere si rivolsero alla sede locale del Pci di quartiere per protestare del continuo viavai. Fu una cosa abbastanza ridicola, perché ci convocarono alla sede provinciale per dirci che la presenza del Victor in quel quartiere stava facendo perdere voti al partito. Da lì cominciò la parabola discendente di questo posto assolutamente straordinario. Al Victor Charlie fu tolta l’affiliazione all’Arci, per cui tutto diventò più complicato. Nonostante le proteste, tra cui uno sciopero della fame, e altre iniziative, l’esperienza si andò a concludere. Altri spazi in altre città resistettero più a lungo…

              Wide documento della scena musicale underground
              Locandina d’epoca del Last white Christmas

              Tornando all’aspetto musicale, nel frattempo stavano crescendo varie realtà: io ed altri ragazzi fondammo la Belfagor Records nel 1984 e cominciammo a stampare prima dei 7” e poi degli LP, e a scambiarceli da città a città. La cosa si stava sviluppando perché, effettivamente, c’era una certa attenzione per questo tipo di prodotti e, contemporaneamente, cresceva la circolazione dei gruppi, che trovavano sempre spazi nuovi per ospitare la propria musica: storico fu il concerto chiamato Last White Christmas nella chiesina di San Zeno a Pisa il 4 dicembre 1983. Invitammo un casino di persone che vennero da fuori.

              Ricordi alcuni di questi gruppi?

              Sì, c’erano Brontosauri, Raw Power Juggernaut, Stato di polizia, Putrid Fever, Dements, Useless Boys, War Dogs, A’uschlag, Cheetah Chrome Motherfuckers, I Refuse It!, Traumatic (presenti nella pubblicazione della BCT ma non al concerto), Dements.

              Era il GranDucato Hardcore…

              Sì, e fra tutti i Cheetah Chrome Motherfuckers.

              Successe che, attraverso le corrispondenze che avevamo con varie fanzines, ne seguissimo una che aveva una tiratura molto importante, Maximum Rock’n’roll,a cui eravamo abbonati. Il caporedattore di questa fanzine, parlando di aneddoti, era un collezionista degli Abba... La cosa allucinante era che non solo collezionava tutti i dischi della band svedese ma ne collezionava tutti i dischi di tutte le stampe uscite nelle diverse nazioni! Non chiedetemi perché, ma era così!!

              Maximum Rock'n'Roll documento della scena musicale underground

              Maximum Rock’n’Roll ospitava report da tutto il mondo, per raccontare quale fosse la situazione in Brasile, Cecoslovacchia… Dappertutto! Maximun Rock’n’Roll collaborava dunque con tutta una serie di realtà, e pubblicò a un certo punto un articolo sulla band hardcore pisana Cheeta Chrome Motherfuckers, della quale sono stato bassista dal 1984. Intorno ai CCM cominciò a crescere un certo interesse, anche perché i concerti erano famosi per l’intensità della performance della band. Ogni concerto era un evento, che aveva anche una certa sua “sacralità”… Comunque sia: uscì questo articolo importante e, se non ricordo male, andammo in copertina e riuscimmo ad avere una rilevanza internazionale. Poi successe che ad Antonio [Cecchi, primo bassista, poi chitarrista della band, ndr.] fu proposto un tour in America. Era il 1986. Fu un un tour piuttosto esteso, registrammo un disco… Ne successero di tutti i colori, ci vorrebbero 3 ore per raccontarle tutte! Ma ne uscimmo vivi… Era già qualcosa! Poi ritornammo in Italia e continuammo a suonare, facemmo anche un tour europeo. Ma alla fine ci sciogliemmo.

              Come nasce l’esperienza della Wide Records?
              Wide records
              Copyrights Wide Records

              Sentivo il bisogno di fare qualcos’altro e, alla fine, successe che, avendo avuto la possibilità di acquisire nuove competenze, cominciai a ragionare insieme ad altri amici sulla possibilità di lavorare in ambito discografico. Eravamo all’incirca nel 1987quando iniziammo a mettere in piedi un “mailorder”: importavamo dei dischi dall’estero e li rivendevamo per posta. Lo step successivo fu quello di contattare i distributori internazionali delle label che ci piacevano ma non avevano una rappresentanza in Italia. Il passo successivo fu la nascita di Wide Records, inizialmente solo un distributore nazionale che dal 2006 diventò, a detta di molti, uno dei migliori negozi di dischi in Italia.

              Ma proprio in quegli anni la fruizione della musica aveva cominciato ad affidarsi in misura sempre più massiccia alla rete, a internet. In che modo la Wide si è rapportata con un cambiamento epocale?

              Non ci volle molto a capire che i dischi cominciavano a essere scaricati liberamente e con semplicità. Iniziarono i problemi nella scena musicale. Primo perché la musica cominciò a girare in questo modo e il mercato discografico fu azzerato quasi totalmente, in una maniera che in parte avevamo previsto ma che non pensavamo potesse avvenire così velocemente e con quelle dimensioni. Alla fine fummo travolti e chiudemmo sia la distribuzione che il negozio. Con l’esperienza acquisita dalla promozione dei dischi che distribuivamo creammo allora Prom-O-Rama, una sorta di spin-offdi Wide, un’azienda parallela che si occupava e si occupa tuttora da più di venti anni della promozione di artisti di vario genere.

              Tu vivi dall’interno le dinamiche della produzione musicale attuale. Puoi fare un confronto tra un passato recente e quello che sta accadendo oggi?

              Sicuramente, in primis, c’è il fatto che la musica è diventata “liquida” dappertutto. Oggi c’è un’attenzione “di ritorno” per i vinili. Però secondo alcune indagini chi li compra, in realtà, non li ascolta quasi mai. Si ascolta la musica quasi totalmente dalle piattaforme online. Spesso i vinili sono semplicemente un feticcio, perché si ha bisogno di un approccio materico che comprende il toccare, vedere il vinile che gira, eccetera… A parte questo aspetto, è cambiato tutto dal punto di vista commerciale. Spotify, tanto per dire, è quotato in borsa. E per gli artisti è diventato tutto molto più complicato: a ogni passaggio di un brano viene pagato all’artista un compenso in termini di centesimi di euro. Quindi o raggiungi molti stream o, diversamente, è durissima. Molti musicisti inizialmente si sono opposti. In seguito si è trovata una sorta di equilibrio. Tutti sono costretti ad adattarsi a questo tipo di situazione, non ci sono grosse alternative.

              E allora è ancora possibile in questa situazione parlare ancora di underground? C’è un underground nella scena musicale odierna?

              Quando io e altri ragazzi cominciammo a mettere in piedi un’etichetta (mi riferisco agli anni intorno al ’95-’96) dovevamo fare i dischi, e mi trovai in una stamperia a Roma (che stampava peraltro, all’epoca, solo dischi per le Edizioni Paoline!) davanti a una scena del tutto imprevista: ero in questa stanza in cui c’era, da una parte in terra, un mucchio di vinile nero e un tizio che con la pala buttava il vinile dentro un macchinario che lo scioglieva. In seguito veniva inserito in una pressa che serviva a stampare il disco. Fortunatamente le stamperie esistono ancora, magari delocalizzate in Polonia o dove costa meno… Ma esistono. La maggior parte delle band sono underground, nel senso che non hanno visibilità e lavorano per averla. L’obiettivo è raggiungere un rapporto virtuoso tra entrate e uscite, tra quanto si percepisce e quanto si investe nel proprio progetto, non soltanto in termini economici ma anche di ore di lavoro. Il sito rockit.it ha censito ad oggi oltre 31.000 band italiane. La competizione è durissima. Ben vengano quindi sostegni economici per i progetti meritevoli di attenzione.

              Factory PUM scena musicale odierna
              La fondazione stagione 2, Factory PUM
              Alcuni preziosi link:

              About Alessandro Favilli, PROM-O-RAMA


              Edited by Sebastiano Ortu, Rozz Ella, Fabio F., Daniele V.

              Interview by Sebastiano Ortu


              Mimmo Falcone - MoBlack Records

              MOBLACK

              Ricerca, passione e innovazione i possibili ingredienti di Mimmo Falcone (MoBlack) per una nuova CC

              Quinto episodio con #Btw, questa volta con un ospite speciale. Mimmo Falcone producer e manager dell’etichetta Afro-House MoBlack.

              Ci spostiamo almeno a “livello di ritmiche”, a sud e continuiamo il nostro lento cammino per riscoprire o meglio riformulare, un senso comune in quello che abbiamo definito attraverso questa rubrica un vero e proprio “state of mind”.

              Lo facciamo – come abbiamo diverse volte anticipato in #Btw – attraverso nuove angolature, e oggi abbiamo l’onore di riflettere sul tema con uno degli addetti ai lavori, con qualcuno che ogni giorno partendo da questi interrogativi cerca di dare un senso comune alla sua produzione musicale.

              “I am an African, not because I was born in Africa, but because Africa is born in me.” Kwame Nkrumah

              In 2 righe, che cos’è per te la Club Culture?

              Passione e ricerca musicale. Un posto dove si va soprattutto per la buona musica, per ballare, stare insieme e divertirci. Un posto che fa tendenza, che anticipa le mode musicali e non le segue.

              Un disco che secondo te la rappresenta?

              Non ci puo’ essere un solo disco che rappresenti tutta la club culture, la club culture e’ rappresentata da tutta la buona musica, da tutta quella musica innovativa e ricercata a volte anche sperimentale ma che lascia un segno nei tempi.

              Le persone frequentano sempre meno i club. Molti chiudono, anche in paesi “avanti” come la Germania.. Che cosa potremmo fare qui a #Btw? Cosa manca? Che cosa andrebbe cambiato?

              Mancano le idee, suonano sempre gli stessi, manca il rispetto per il clubber e la voglia di creare qualcosa di nuovo. Le discoteche italiane sono vecchie, alcune cadono a pezzi, non sono ben frequentate, troppo episodi funesti, dalle innumerevoli risse o al famigerato spray al peperoncino.

              In #Btw ci domandiamo spesso: Qual’è la Club Culture che vorresti?

              1. Continuita’: dare un appuntamento settimanale, dove i clubbers possono sentirsi protagonisti diretti dell’evoluzione musicale della serata e far parte della “storia”

              2. Club: il punto di riferimento. Senza una fissa dimora le atmosfere non si creano, si perdono e il pubblico ha bisogno di sentirsi sempre a casa.

              3. Ricerca: la ricerca musicale, proporre sempre qualcosa di nuovo, sconosciuto a molti e fresco (che non sia il solito nome sulle riviste di settore), porta quell’appeal in più’ e quella importanza di proposta che solo in pochi possono detenere.

              Breve Bio e alcuni preziosi link:

              MoBlack è un dj / produttore ed etichetta discografica. È in gran parte responsabile dell’hype che il genere Afro House sta avendo in tutto il mondo. I più grandi sostenitori di MoBlack: Black Coffee, Ame x Dixon, Solomun, Osunlade e ME, Rampa e Pete Tong solo per citarne alcuni. MoBlack (vero nome Mimmo Falcone) ha iniziato a danzare molto presto, più anni di esperienza nelle radio locali FM e 10 anni di esperienza nella in Africa (Ghana) hanno completato il suo enorme e unico background musicale. Dal suo arrivo in Africa nel 2003, ha suonato e condiviso la sua fede nel suono con artisti locali. Il progetto MoBlack è stato concepito in Ghana nel 2012. In Twi, la lingua principale parlata in Ghana, Mo significa “Ben fatto / Congratulazioni”. L’idea alla base era quella di dare voce allo straordinario talento che si concentrava sulla House Music dall’Africa. La prima uscita di MoBlack Records nel dicembre 2013 ha spianato la strada a un incredibile catalogo con tracce costantemente tracciate e riconosciute dalla House Community nel suo insieme con il raggiungimento del suo obiettivo: supportare artisti locali nell’industria club internazionale.

              MoBlack web site

              MoBlack su Beatport e Traxsource


              Edited by Roberta Ada Cherrycola

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