Break the Wall

Gab.Gato

Il punto fermo sta nella collettività

Nello stendere questa nuova intervista ci siamo lasciati andare alla riflessione su cosa sia per noi la collettività, o l’importanza per noi dell’essere collettivo. Alcune parole, concise tra l’altro, di Gab Gato, un grafico, un illustratore, un’artista e produttore discografico – fondatore di “The Villains Inc. Records” – devoto al sound detroit, electro e techno, un nerd di strada, ci hanno smosso da dentro..

Montale diceva che “il punto fermo è un tutto nientificato“, che richiama per noi il concetto di qualcosa che prima era forte, era un “tutto” appunto ma che poi “è stato”, o da solo si è indebolito, appunto, un tutto che oggi ha perso il senso.

E se fosse andata proprio così? ciò che spingeva infondo le persone ha far parte di una scena musicale, culturale, etc. piuttosto che un’altra era proprio un senso di collettività. Senso che oggi è andato perduto. È noi siamo tutti sassolini in una cronologia di ricerche impazzite. Siamo schegge di una realtà sempre più virtuale e sempre meno attuata. Parte di un tutto nientificato.

Come abbiamo fatto nelle puntate precedenti anche oggi – mantenendo il parallelismo di oggi con Eugenio Montale – siamo alla ricerca di un “mastice che tenga insieme questi quattro sassi”, di un collante che ci aiuti a ricomporre il senso di collettività perduto nella club culture, che sapete essere per noi un qualcosa di più ampio e trasversale che trascende il singolo club o quella che in Italia tutti conosciamo come “discoteca”.

Oggi vi presentiamo quindi un altro importante e prezioso tassello. Ringraziamo Gab Gato per il suo tempo e la sua disponibilità e vi lasciamo a questo nuovo capitolo di Break the Wall!

Benvenuto Gab! Rompiamo il ghiaccio con una domanda di rito. Quale musica elettronica ti rappresenta?

Come artista prevalentemente il sound di Detroit, soprattutto Electro e Techno.

Quando è iniziato questo tuo amore?

E’ iniziato a metà degli anni ’80 quando andavo a ballare agli afroraduni, nelle discoteche venete e romagnole, mentre si facevano spazio l’Electro Oldschool e la prima Elettronica … e poi ho conosciuto Detroit.

Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre?

A Milano è stata varia e vivace fino alla fine dei ’90, poi il nulla per quasi 10 anni. Poi una nuova generazione ha dato nuova energia che è durata fino all’inizio della pandemia.

Quali sono le principali criticità?

Il sistema è la criticità, per dirla come nel film Paz durante l’assemblea del collettivo: ”la Felicità è sovversiva quando si collettivizza!”

Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture?

Premesso che il problema è culturale nel senso più ampio del termine, si può solo continuare a fare le cose con passione, mettendoci impegno e serietà e aggiungerei onestà, cercando di lavorare con la gente giusta.

E quali sono i pro (e i contro)?

Pro: E’ molto più facile, rispetto al passato, fare serate di qualità e con grande varietà di artisti internazionali e non. Contro: In Italia capita ancora di avere a che fare con organizzazioni poco trasparenti e professionali, anche a causa di una visione bigotta e distorta del frequentatore della ‘Discoteca’, generalmente un ragazzino o un drogato o comunque un losco individuo …

Quali sono gli aspetti positivi del fare musica al giorno d’oggi?

Solo il Networking.

Quali sono le sensazioni che hai verso il tuo ultimo EP / album?

La prossima uscita sarà un EP di remix fatti da artisti che stimo parecchio, quindi mi sento onorato e fiero di produrlo!

Grazie Gab per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di condividere presto una consolle insieme!

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Dj Darius

Edited by Dj Darius, one of the founders of the PUM. Devoted to Art & Detroit Techno, enabling factors for sociality, culture, and community.

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    Kenobit Break the Wall

    Kenobit

    Break the Chip

    Per comprendere lo stato di salute della cultura club, quel coacervo di influenze, stili e visioni del mondo che stiamo ricostruendo intervista dopo intervista, non potevamo trascurare gli 8 bit, una delle più interessanti tendenze del momento.

    Se per gli amanti della musica 8 bit, già il titolo anticipa qualcosa. Per chi ci segue invece, potremmo dire che anche il recente pezzo sui risvolti artistici del videogame Cyber Punk 2077, oppure l’ultimo #BtW del 2020 con Pablito El Drito hanno una forte connessione con l’artista di oggi.

    Come in uno di quei giochi dove si uniscono i punti, con Fabio Bortolotti in arte Kenobit oggi portiamo in luce un passaggio importante, o meglio proviamo a risaltare una tendenza che osserviamo ormai da diversi anni.

    Un passaggio ormai visibile sia nella musica, che nel cinema e in altri comparti culturali.

    L’avanzare della creatività, delle innovazioni, ma sopratutto del suono associato ai videogames. Nel nostro caso con Kenobit, uno dei maggiori rappresentanti della chiptune e della cultura 8 bit in Italia, parliamo di Happy chipcore, techno & weird experimentations.

    Negli ultimi anni con il suo Gameboy si esibito in tutta Italia, in Europa e nel mondo, con spettacoli in Giappone, Sud Africa, Stati Uniti e Russia. Antonio Enrico Buonocore in un suo pezzo su milanocittastato.it lo descrive come un artista e un operatore culturale poliedrico.

    E’ stato redattore di diverse riviste di videogiochi di rilevo nazionale, compone musica ed è uno dei cofondatori e animatori di Kenobisboch Productions, una realtà che coniuga efficacemente cultura e videogiochi

    cit. Antonio Enrico Buonocore 13/01/2019
    Assisteremo forse in futuro alla rinascita dei club come delle macchine arcade a gettoni?

    Di sicuro la sua tendenza al DIY ci suggerisce, in una sorta di parallelismo con il movimento e la cultura punk, che oggi per fare musica non hai neanche bisogno di uno strumento. Passione, creatività, libertà e attitudine ad andare avanti inseguendo i propri demoni sono forse gli ingredienti principali. Ma c’è molto di più, a partire dall’idea del recupero creativo della tecnologia ormai obsolescente che trasforma l’arte del retrogaming in nuovi medium per comunicare ed esprimersi verso l’ampio pubblico con la musica.

    Come nel caso della musica concreta, dell’elettroacustica, del noise etc., quindi attorno a matrici di sperimentazione, o perlomeno alla cultura del DIY associata a tale campo, artisti fortemente radicati sul territorio danno vita e sviluppano vere e proprie scene underground.

    Fabio, una persona tanto eclettica quanto squisita, che ricordiamo con affetto quando è venuto a suonare qui a Pisa molti anni fa per il nostro PUM Factory Festival grazie agli amici di Radiocicletta è anche l’organizzatore di Milano Chiptune Underground, uno dei più grandi party lo-fi a livello italiano. In questi mesi di impossibilità di realizzare eventi dal vivo, è stato molto attivo online in streaming continuando a lottare per mantenere vivo questo spaccato di contro cultura contemporanea.

    Lo ringraziamo ancora infinitamente per averci dedicato il suo tempo e vi lasciamo di seguito alle sue parole per Break the Wall.

    Ciao Fabio, benvenuto! Ho letto che “Kenobit” è un raffinatissimo gioco di parole: (Obi Wan) Kenobi + Bit., nato in un pomeriggio del 2009 quando cercavi un nome d’arte la tua prima traccia realizzata con un Game Boy. In un intervista ho letto che sono stati “i tre minuti di onde quadre a 190 BPM più importanti”, e immagino che ti hanno letteralmente cambiato la vita. Tuttavia mi aspetto che qualcosa bolliva in pentola già da prima. Quindi da buon curioso, inizierei chiedendoti qual’è il tuo percorso?

    Sono Fabio Bortolotti, in arte Kenobit. Sono nato musicalmente come batterista punk e hardcore. Dopo un’adolescenza passata tra salette, concerti e autoproduzioni, mi sono imbattuto nella scena della micromusic e ho iniziato a suonare il mio Game Boy. Negli ultimi anni, oltre a suonare in giro per il mondo, ho organizzato concerti con arottenbit, con il quale ho dato vita a Milano Chiptune Underground e a Cyberspazi (progetto di musica e realtà virtuale che ha coinvolto anche Eyefish e Napo dei Uochi Toki).

    Quando e come sei entrato in contatto con questo nuovo mondo?

    È stata una felice serie di coincidenze. Avevo appena iniziato a sperimentare con i suoni a 8 bit, prima ancora di usare il Game Boy, con qualche VST su PC. Caricai uno dei primi esperimenti su 8bitcollective, un sito ormai defunto dove artistə da tutto il mondo caricavano i loro brani e commentavano quelli altrui. Nel giro di pochissimo fui riconosciuto come italiano da Arottenbit, già attivissimo con il Game Boy. Caso volle che il giorno dopo avesse un concerto in un piccolo ARCI dietro casa mia. Conobbi lui, Tonylight e Pablito el Drito, e soprattutto vidi per la prima volta l’impatto di un Game Boy dal vivo. Volevo fare quella roba anch’io. Dovevo farlo.

    Gli amici di quella sera furono vitali per muovere i primi passi. Pablito e Tony iniziarono a invitarmi a suonare ai concerti che organizzavano, mentre Arottenbit mi fece entrare nel circuito più esteso dell’underground, invitandomi sul palco con lui. Fu un aiuto prezioso, perché ai tempi non avevo abbastanza musica per reggere un set da solo e soprattutto perché mi mise addosso una grande voglia di scrivere musica. C’era la fotta, ecco.

    Quale musica elettronica ti rappresenta?

    Sinceramente non so cosa mi rappresenti, perché il grosso contenitore elettronico nel quale vengo normalmente inserito, la “chiptune”, è un termine vago, spesso privo di alcuni dei dettagli che più trovo importanti nella musica, a livello estetico e politico. Per questo, se proprio devo scegliere un nome, mi piace rifarmi alla “micromusic”, la corrente senza regole nata in seno a Micromusic.net, il sito che ha dato il via alla valanga a 8 bit che ha poi dato vita a svariate mode, più o meno underground. Il motto è: “Low tech music for high tech people.” Detto questo, amo fare musica con un Game Boy proprio perché è tangente a più mondi: capita di suonare in chiusura a una serata punk, a un rave, a una serata techno, a una serata chiptune. È bello vagabondare nell’underground.

    Quando è iniziato questo amore per la musica 8 bit?

    Il mio amore per le onde quadre nasce in tenerissima età, con Space Harrier e un Sega Master System. C’era qualcosa, in quelle note così ruvide, che ha lasciato un’impronta indelebile sul mio cervello. Non ho mai smesso di ascoltare la musica dei videogiochi, anche da sola, in purezza. C’è ovviamente un’enorme differenza tra la VGM e la mia musica, ma il colpo di fulmine arriva da lì.

    Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre?

    Prima della pandemia, Milano era una città molto fortunata. C’era un ecosistema molto sano di locali, arci e squat, per il quale c’era sempre qualcosa di interessante da vedere o sentire, anche durante la settimana. C’era sempre una scusa per svegliarsi con il mal di testa il giorno dopo, insomma. Mi auguro che alla fine del casino ripartirà e ritroverà i suoi ritmi, anche se sarà una battaglia in salita. Quello che so è che, come musicista, farò tutto il possibile per supportare gli spazi che fanno musica. Sono importanti non solo per la musica, ma anche per l’aggregazione. È ai concerti che ho trovato i miei simili.

    Quali sono le principali criticità?

    Milano è una città ricca di contraddizioni e ineguaglianze, e più ci si allontana dalla dimensione DIY, più i nodi vengono al pettine. C’è anche una dimensione parallela all’underground, fatta di locali costosissimi, quelli dove prenoti tavolo e boccia di champagne, dove la musica passa completamente in secondo piano e diventa un banale ingranaggio del guadagno. Detto questo, la criticità del momento è che i locali stanno chiudendo e che ripartire diventa ogni giorno più difficile. Spero che, quando sarà tutto finito, la gente muoverà il culo e non darà per scontata la musica dal vivo.

    Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture?

    Mi rendo conto che sono un disco rotto, ma l’etica dell’autoproduzione e del DIY sono l’antidoto a molti dei problemi che abbiamo. Andare agli eventi, supportare gli eventi, organizzare eventi. Conoscere persone che vanno agli eventi e organizzano altri eventi, incontrare persone che suonano, incontrare persone che vogliono iniziare a suonare, organizzare workshop, diffondere il sapere, darsi una mano. Erano cose che servivano prima e che in futuro serviranno ancora di più. Altrimenti lasceremo il mondo della notte solo a chi ha in banca i soldi di papà.

    Quali sono gli aspetti positivi del fare musica al giorno d’oggi?

    Oggi si possono fare delle cose incredibili con un budget molto ridotto. Nonostante ci sia un grande fetish per l’hardware, spesso con derive estreme, come quella dei modulari, qualunque ragazzinə può iniziare a produrre tracce con due spiccioli, o anche gratis. Inoltre, tra YouTube e tutorial online, molto del sapere che un tempo veniva tramandato oralmente è a portata di clic. Questa democratizzazione degli strumenti, per contro, rende più difficile farsi notare, ma penso sempre che un mondo con più musica è migliore di uno con meno musica.

    Quali sono le sensazioni che hai verso il tuo ultimo album?

    Ho fatto uscire un disco dedicato alle vecchie sigle, scritto a quattro mani con il mio socio Bisboch. Ne vado fiero, ma per il momento mi sembra un disco “incompiuto”. Tutti i pezzi che scrivo nascono con in mente i concerti dal vivo e, per ovvi motivi, di occasioni per suonarlo in mezzo alla gente ne ho avute poche. È andata così, me ne faccio una ragione. Mi fa strano, perché ho più voglia di scrivere il disco nuovo, cosa che sto facendo, che di suonare quello vecchio. Forse per voltare pagina? Dai, sì. Ce n’è bisogno.

    Cosa pensi che possa fare lo streaming per la musica e la cultura? Quale suggerimento daresti alle associazioni come la nostra che tentano di salvaguardare questi aspetti della vita, che al momento sono particolarmente messi a dura prova dall’emergenza COVID?

    Penso che lo streaming sia uno strumento molto potente e che, nonostante le apparenze, ci siano grandi occasioni e opportunità per chiunque voglia fare musica e cultura. Ho alcuni consigli sparsi:

    1) Non inseguire i numeri. Twitch e le piattaforme di streaming, per loro natura, tendono a mettere i numeri in primo piano, ma quando si fa cultura è più importante avere un pubblico fedele e attento che un numero di spettatori alto. La qualità premia. Lentamente, ma premia.

    2) Fare community: lo streaming ha enormi potenzialità, ma solo se affiancato a comunità che partecipano alla vita del canale e che la sostengono. Per avere un progetto autosufficiente, non servono decine di migliaia di fan (anche se aiutano): una community affiatata può fare miracoli.

    3) Non sempre i concerti funzionano. Sono felice e grato per tutti gli eventi online che ho visto (e che ho organizzato), ma non penso che siano la risposta, perché sono comunque una forma di esibizione alla quale manca una componente fondamentale. Abbiamo tutti voglia e bisogno di musica, ma penso che sia necessario sfruttare i pregi delle piattaforme in streaming. Credo che sia più potente una chiacchierata con un artista, abbinata magari a una piccola performance informale. Twitch permette di avere una dimensione intima e domestica che nessun palco può dare, quindi credo che eventi piccoli e informali possano essere il modo ideale per aspettare la riapertura delle gabbie. E per alimentare quella che, mi auguro, sarà un’esplosione di voglia di andare a sentire musica dal vivo.

    Grazie Fabio per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di ripartire presto e magari di ospitarti a Pisa per un bel Live!

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      L’UNDERGROUND A MILANO NON E’ MORTO, E’ SEPOLTO VIVO.

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      Cox, Milano

      Nel 1961 Marcel Duchamp immaginava l’underground come la nuova via da percorrere per gli artisti che volevano distinguersi all’interno nuovo panorama culturale dominato principalmente da logiche economiche[1]. Secondo questa definizione, le forme d’arte e di espressione underground si pongono in antitesi ad una concezione dell’arte come prodotto per le masse. Le conseguenze dei processi mediatici e sociali imposti dalla nuova economia incidono profondamente sulla dimensione artistica e culturale delle grandi città di tutto il mondo.

      Dato che nel nostro paese Milano è una delle città che più risente degli effetti delle politiche economiche dettate dalla nuova economia, ho deciso di intervistare quattro dj e produttori che vivono e lavorano a Milano, per scoprire se esiste ancora una scena underground in questa città, almeno dal punto di vista musicale, e qual è il futuro di essa.

       

      1. Chi sei e di che cosa ti occupi a Milano?

      Butti: Sono Andrea Buttinelli e al momento vivo a Londra ma sono nato e cresciuto a Milano, dove tra un lavoretto e l’altro ho organizzato concerti e serate fin da quando avevo 15 anni e ho iniziato la mia carriera da dj e produttore musicale.

      Nobel: Ciao, sono Francesco, in arte Nobel, da alcuni mesi non vivo più a Milano ma ci vivevo fino a poco tempo fa. Quando ero lì, ero dj e produttore. In realtà nasco come produttore ma è da ormai parecchi anni che faccio entrambi per lo stile di musica che mi piace produrre, fare il dj è una naturale conseguenza.

      Federico – Ltd Colours: Ciao, sono Federico e faccio parte, insieme a Riccardo, del duo Ltd Colours. Sono un produttore di musica elettronica e dj. Ltd Colours affonda le sue radici nella bass music e nasce dal desiderio, da parte di entrambi, di voler sperimentare, senza porci troppi paletti, con le differenti sfaccettature e sonorità che compongono il panorama della musica elettronica. Nel nostro primo EP uscito per Infinite Machine, abbiamo cercato di trasmettere proprio questo concetto, spaziando dalla jungle alla techno, alla dubstep, alla power house.

      Riccardo – Ltd Colours: Sono Riccardo Baldoni, fonico di “Presa Diretta” e post-producer per vari studi di produzione video e ma, soprattutto sono un electronic music producer e dj nel progetto Ltd Colours insieme a Federico Nosari.

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      Ltd Colours

      1. Come descriveresti la scena artistica in cui si inserisce il tuo lavoro?

      Butti: Penso che il termine scena costituisca un limite per l’arte stessa.

      Nobel: La definirei viva e in continua evoluzione, qualcuno direbbe “satura“ ma penso che non sia il termine adatto, penso che “saturo“ sia qualcosa che si può riempire completamente e che quindi abbia un limite, una scena musicale non ha di questi vincoli fortunatamente.

      Federico – Ltd Colours: La scena della bass music a Milano è realmente qualcosa di underground. Difficilmente, infatti, si riesce ad attirare il grande pubblico a serate di questo tipo. Si tratta di un genere che affonda le radici nella tradizione musicale britannica, senza dubbio estremamente differente dalla nostra. Per questo, probabilmente, il pubblico italiano risulta un po’ scettico e restio nei confronti di qualcosa che non conosce bene e che non appartiene al proprio bagaglio culturale. Nonostante questo, esistono collettivi e promoter come Lobo, Skeng, Elita che fanno del loro meglio per promuovere serate di qualità e artisti di rilievo.

      Riccardo – Ltd Colours:  Anche se Ltd Colours trae ispirazione da molti e differenti ambienti musicali (tra i quali la scena techno berlinese, quella proto-DNB e garage londinese, quella house East Coast Americana e quella house francese) penso che il termine più efficace per descrivere la scena nella quale siamo inseriti sia Bass Music.

       

      1. Quali sono i luoghi a te più cari per quanto riguarda i movimenti underground che si sono costituiti e succeduti nella scena milanese?

      Butti: Lo SGA di Arese va assolutamente al primo posto. Ora non esiste più ma è stato per molti anni un punto di riferimento soprattutto per la musica hardcore punk. Qualcuno una volta l’ha definito il CBGB d’Italia… entrare a far parte del collettivo di questo posto è stata la mia prima esperienza nel mondo della musica. Altri locali che meritano assolutamente un posto nel mio cuore sono Magnolia, Dude, Lo-Fi, Biko, Leoncavallo (e il suo vecchio basement Dauntaun)… Ho menzionato solo quelli a me piu cari, ma ce ne sono MOLTI altri.

      Nobel: Posti importanti per la mia evoluzione musicale sono stati i Magazzini Generali, il Black Hole, il Biko, il Rocket e altri che che ora non ricordo neanche. A Milano la prima realtà musicale underground che ho seguito è stata la serata Klash ormai dieci anni fa nel 2005. La metto al primo posto sopratutto perché è stato il momento in cui ho capito che quello che ascoltavo poteva essere girato anche in chiave club. Non sono mai stato un party-harder se non forse durante un anno della mia vita, ho iniziato ad ascoltare musica IDM passando dalla Break Beat alla Big Beat fino ad arrivare all’ Electro Clash e poi a cose sempre più “club friendly”. Da quel momento ho sempre visto il mondo del clubbing come un lavoro, e andare alle serate era come andare a scuola. Ci sono due movimenti underground molto importanti per la mia carriera musicale: al primo posto assolutamente il collettivo veneto Trash Dance, che riesce ad unire (grazie alla sua forte presenza musicale e grafica) un grande seguito di persone educate su quello che vanno a sentire con una proposta musicale e artistica completamente in linea con quello che intendo io per underground. L’altro è il collettivo Weird Club Milan, anch’esso interessante nella proposta musicale e con una forte identità estetica.

      Federico – Ltd Colours: I luoghi dove le realtà che citavo prima trovano terreno fertile e riescono a svilupparsi, sono i piccoli club e spesso i centri sociali, dove da sempre, in Italia, attecchiscono culture e tendenze lontane dai movimenti di massa. Il Dude Club è stato un buon punto di riferimento; da Via Plezzo16, prima che cambiasse location, sono passati un sacco di artisti della scena bass: da Kode9 a DVA, a Objekt, Dj Spinn, Cooly G ecc. Il Dude rappresenta uno dei luoghi a cui mi sono affezionato di più da quando sto a Milano. Nella vecchia location si respirava proprio un’aria familiare. Un piccolo club con un muro di casse che superava il pubblico dal dj, senza fronzoli, con poche luci e poche pretese se non quella di far ballare ottima musica. Con il passare del tempo, il cambio di location e l’ascesa totale della techno si è progressivamente adeguato al pubblico delle grandi occasioni. Ma ritengo che sia un procedimento normale, per uno dei migliori o forse il migliore tra i club milanesi.

      Riccardo – Ltd Colours: Primo fra tutti il vecchio Dude. Poi sicuramente il Leoncavallo, Macao, il Cox, il Tunnel e il Bitte. In questi locali ho potuto assistere alle performance di alcuni dei dj e producer più importanti della scena underground europea e mondiale come Kode9, Bambounou, French Fries, Ron Morelli, Jon Hopkins, Kryptics Minds, Romare e molti altri.

      Milano, Centro Sociale Leoncavallo, inaugurazione della mostra dei graffiti, l'esterno.
      Centro Sociale Leoncavallo, Milano

      1. Data la diffusione su vasta scala di fenomeni un tempo considerati underground, come ad esempio la cultura hipster, credi che si possa ancora parlare dell’esistenza di una scena underground a Milano, o l’ossimoro ideologico è inevitabile su questo fronte?

      Butti: La musica underground a Milano esiste perché c’è chi la fa. C’è un grande spirito artistico e in un certo senso “alternativo” all’interno della mentalità delle persone che ci vivono. Quello che manca è un senso di appartenenza territoriale e culturale e di conseguenza un ideale di unità, ma credo che ci siano delle personalità che potrebbero fare da anello tra i vari “gruppi di artisti”…

      Nobel: La mia idea di underground non è la sperimentazione fine a se stessa. Un movimento musicale underground deve avere la consapevolezza e la voglia di crescere, il fatto che ora qualcosa che noi consideravamo underground non lo sia più o che arrivi molto velocemente alle masse non è una cosa per forza negativa, è negativo il fatto che ci si adagi su di questo e si cominci a fare qualcosa PER la massa.
      In secondo luogo la veloce diffusione di sonorità un tempo considerate difficili o di nicchia denota un’apertura mentale dell’ascoltatore, e anche questa è una cosa positiva. Detto questo la scena underground a Milano esiste, solo che è molto diversa da come era un tempo perché, chi spinge qualcosa di innovativo adesso lo fa provando a farsi capire da tutti senza rimanere chiuso nel suo guscio, ad esempio puntando anche sull’aspetto grafico.

      Federico – Ltd Colours: Credo che prima di poter parlare di fenomeni underground sia necessario presupporre l’esistenza di un’identità musicale. Un movimento nasce da artisti che riescono a trovare, all’interno di una comunità, gli spazi necessari per potersi esprimere e confrontare, soprattutto tra di loro. Manca questo a Milano, almeno per quanto riguarda la musica che produciamo. Spesso le serate sono organizzate dagli stessi 4 dj che si alternano per tutta la serata e per tutto l’anno. Viene quindi lasciato poco spazio ai dj locali emergenti rendendo sempre più difficile la creazione di un’identità. Manca una connessione tra le molteplici realtà che gravitano intorno alla città, ognuno si coltiva il proprio orticello inseguendo l’artista che l’anno precedente andava tanto di moda a Londra, Parigi o Berlino.

      Riccardo – Ltd Colours:  Parlare di underground in questi anni è, secondo me, molto complesso visto che nell’ultimo periodo i canali di comunicazione e promozione per i generi che prima si definivano underground e per quelli mainstream sono praticamente gli stessi. Analizzando però il concetto dal punto di vista del seguito che un certo genere può avere il discorso cambia: a Milano ci sono alcune piccole realtà che cercano di di proporre artisti di qualità e generi di musica che in Italia possono essere considerati di nicchia. Collettivi come Elita, Lobo e Skeng stanno facendo un ottimo lavoro per far conoscere generi di musica che altrimenti rimarrebbero sconosciuti alla maggior parte dei clubber milanesi.

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      Dude Club, Milano

      1. Quali nuove declinazioni culturali pensi possano scaturire dalla scena musicale e artistica milanese per com’è configurata oggi giorno?

      Butti: Citando la risposta precedente manca un senso di unità tra gli artisti milanesi e di conseguenza prevedere cosa verrà fuori domani è impossibile, che a pensarci bene è anche quello che mantiene questa città misteriosamente interessante. Le uniche ideologie comuni di cui credo e spero di essere sicuro sono l’antifascismo e l’odio per ogni tipo di discriminazione.

      Nobel: La musica da club a Milano è molto legata alla moda, ed è giusto che sia così. A noi la moda interessa e ci teniamo all’apparire, inutile negarlo. La domanda però rimane molto difficile: credo che da tutto questo usciranno prodotti e serate sempre più legate ad un’immagine estetica che intrattenga l’ascoltatore anche visivamente oltre che a livello uditivo, per poi magari arrivare all’antitesi di tutto questo eliminando tutti gli elementi grafici (il che è graficamente altrettanto potente). Sto solo viaggiando di fantasia. Che è quello che mi hai chiesto di fare sostanzialmente 🙂 Credo però  che spesso la qualità visiva è quasi più importante di quella sonora. Dubito che questo possa cambiare mai a Milano.

      Riccardo – Ltd Colours: Un altro punto da prendere in considerazione è la mancanza di comunicazione tra le piccole realtà presenti a Milano che si chiudono a riccio e non riescono comunicare e collaborare in modo costruttivo. Sono sicuro che la scena musicale milanese possa dare molto ma c’è sicuramente bisogno di investire di più su artisti emergenti.

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      artwork, Weird by SPG

      1. Secondo te, c’è un futuro per l’underground a Milano?

      Butti: Si, ma ancora, solo se con il tempo si riuscirà a creare un senso di unità e appartenenza. Penso che l’ammirazione verso le realtà estere sia normale ma che allo stesso tempo dovrebbe essere fonte di motivazione per migliorare la propria realtà. Come ho già detto per il momento vivo a Londra, che è un’ottima scuola sotto molti punti di vista, ma sto pianificando di tornare a vivere a Milano per mettere in pratica quello che sto imparando e tornare a “schierarmi in prima linea”.

      Nobel: Noi a Milano siamo molto chiusi per quanto riguarda i rapporti lavorativi e molto divisi in fazioni che si muovono parallelamente e non si incontrano mai (se non spesso per secondi fini). Questa è la cosa che non mi piace a livello personale e che inevitabilmente rallenta le cose. Ma non posso dire che non ci sia gente che provi a proporre cose nuove e non posso altrettanto dire che non ci sia gente pronta ad ascoltarle. Sicuramente non abbiamo una cultura musicale come la possono avere altri paesi. Siamo ancora giovani da questo punto di vista. Le cose stanno cambiando però e non credo sinceramente in una regressione in questo senso.

      Federico – Ltd Colours: Sono convinto che possa esistere un futuro per l’underground milanese ma è fondamentale creare prima un’identità artistica.

      Riccardo – Ltd Colours: E’ molto difficile prevedere se nasceranno nuovi generi e movimenti dalla scena artistica milanese. Quello che però si percepisce distintamente è la mancanza di un identità ben definita. Questo probabilmente deriva dal poco spazio che viene dato agli artisti emergenti che non riescono ad esprimersi a pieno e a confrontarsi tra loro.

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