Alessandro Favilli

Syd e Alessandro Break the Wall

Un viaggio al centro dell’Underground Italiano con Alessandro Favilli

Grazie alla pazienza e alla meticolosa passione da ricercatore di Sebastiano Ortu per noi Seba, ci spostiamo in questo nuovo episodio di #BTWall07 con Alessandro Favilli testimone e protagonista di un periodo lungo e importante della scena musicale di Pisa e non solo. Ringraziamo quindi Seba e Alessandro per questo grande contributo al nostro tentativo di ricomporre – tassello dopo tassello – un nuovo senso comune per la scena musicale underground.

Foto: Ivo Almiramaro “Alessandro Favilli e Sebastiano Ortu @Factory PUM”

Incontriamo Alessandro alla Factory del Pisa Underground Movement (PUM) uno degli ultimi avamposti della scena musicale locale, in una calda serata di questo strano inverno, una delle ultime prima della clausura e dell’isolamento imposti dal “virus”.

Partiamo dall’inizio. Cosa caratterizzava la scena musicale e artistica degli anni ’70?
San Zeno Pisa luogo cult per la scena musicale indipendente
Chiesa di San Zeno (Pisa)

I miei primi incontri con la scena musicale pisana risalgono alla seconda metà degli anni 70. Ricordo un certo fermento e un’attenzione particolare per i progetti più sperimentali. Pisa era una sosta obbligata per chi veniva da altre città o addirittura dall’estero perché offriva situazioni ideali. C’erano musicisti che si fermavano anche per settimane per suonare con altri musicisti, in maniera spontanea e molto producente. Ricordo Rafael Garrett o il violoncellista Tristan Honsinger. Questa attitudine aveva segnato spazi e luoghi: ricordo concerti sparsi in varie parti della città, come la chiesetta sconsacrata di San Zeno o il Giardino Scotto, ma anche in altri contesti meno informali, come piazza dei Cavalieri. Chi veniva da altre città trovava un ambiente estremamente stimolante, che dava luogo alla formazione di band occasionali, diciamo… improvvise! E richiamava un pubblico non soltanto “specialistico”, ma sostanzialmente formato da amanti della musica che venivano a curiosare.

Ricordo i concerti memorabili di Don Cherry a Tirrenia, Art Ensemble Of Chicago, Archie Shepp.

…ed era un’accoglienza in qualche modo organizzata o spontanea?

D’estate in Umbria c’era “Umbria Jazz” e, siccome non era particolarmente lontano da Pisa, succedeva che molti si spostassero dall’Umbria perché si sapeva che a Pisa c’era il C.R.I.M. , il Centro per la ricerca sull’improvvisazione musicale: una tappa obbligata per chi seguiva il jazz. A Pisa in quegli anni c’era una scena musicale jazz assai sviluppata, molto più del rock o di altre tipologie di musica.

Cosa era il C.R.I.M.?

CRIM e scena musicale noise Pisana
Copyright: Pisa Improvvisa, Tuttomondonews

Ai tempi ero un ragazzino. Diciamo che era una sorta di “entità” che raccoglieva musicisti (pisani e non) e dava luogo a una sorta di filiazionecontinua di gruppi, che si trovavano occasionalmente per suonare e sperimentare e creare articolazioni sempre diverse di jazz. I musicisti pisani più attivi erano Roberto Bellatalla, Stefano Bambini, Eugenio Sanna, Gianni Canale, Fabio Pellegrini, Edoardo Ricci.

A Pisa c’era solamente il jazz o cominciava anche a fiorire o a crearsi qualche altro tipo di movimento o di tendenza musicale?

Il movimento del’77 è stato un periodo incredibile, da tutti i punti di vista. C’era un grande fermento, sia politico che culturale. Di conseguenza c’era una grossa circolazione di contenuti, di idee e di forze che venivano messe in campo. E questo ricadeva, evidentemente, anche sull’aspetto musicale. Dopo il rapimento di Aldo Moro nel ’78, iniziò il periodo del terrorismo e della repressione che segnò un arretramento delle istanze del movimento.

Con il passare del tempo, in un’altra nazione, l’Inghilterra, emerse una realtà che si dirigeva nella stessa direzione ma con un approccio più nichilistico. Nasceva il punk, che esplose e sparigliò completamente le carte. Sotto la spinta dell’urgenza di espressione iniziarono a formarsi band di ragazzi che imparavano a suonare e, me compreso, a mettere in piedi una band. Nacquero così nuovi gruppi in tutta Italia.

Tutta la Toscana il quel periodo fu un centro importante di questa nuova tendenza…
Immagine cult per la scena musicale del Granducato Hardcore
Copyright Urla Dal Granducato, registrato al Victor Charlie

Si, perché in tutta Italia l’aspetto musicale si andò a saldare con il circuito dei centri sociali, che stavano iniziando a nascere. Facendo un passo indietro: dopo il periodo della repressione nel ’77 -’78 fino a inizio anni 80, cominciarono a spuntare i primi centri sociali come il Virus di Milano. Un modo diverso di porsi rispetto alla cultura e alla politica. Si occupavano spazi e talvolta si autoriduceva il costo del biglietto quando era troppo caro: potrei raccontarti mille aneddoti da questo punto di vista.

Autoriduzioni ai concerti, intendi?

Sì. Ricordo, ad esempio, un concerto del 1983 di Black Flag e Minutemen, due delle più importanti bands americane del periodo, all’Odissea 2001 di Milano. Il biglietto era troppo caro e ci fu un’irruzione di massa con i ragazzi che entrarono forzando il portone di ingresso. I musicisti uscirono per capire cosa stava accedendo: in America non sarebbe mai potuto succedere. A parte questo, si cominciarono a creare nuovi punti di aggregazione. Non bisogna dimenticarsi che non avevamo i social network, internet o altro.

Vero! Quali canali di comunicazione utilizzavate per la diffusione degli eventi, per far conoscere i gruppi della vostra scena musicale?

Usavamo il telefono (fisso) e ci spedivamo il materiale via posta. Le fanzine cominciarono a strutturarsi. Proprio mentre venivo qui alla vostra PUM Factory ripensavo a come riuscivamo a realizzare la nostra fanzine, che si chiamava Nuove dal Fronte… Con le fotocopie! Non c’era il computer, per cui usavamo trasferibili, ritagli di giornali e disegni fatti da noi o da altri per poi comporre le pagine che venivano fotocopiate, spillate. Non era una cosa da poco: riuscivamo a venderne qualche centinaio.

Intorno a questo circuito che si andava strutturando nacquero vari centri di aggregazione. Uno di questi era il Virus, mentre a Pisa c’era il Victor Charlie, un fenomeno estremamente peculiare rispetto al resto dei centri sociali, perché non era un locale occupato. Era un circolo Arci in cui si organizzavano soprattutto concerti, che richiamavano gente da tutta Italia: ricordo i pullman che arrivavano dalla Puglia. Cominciammo a diffondere queste pubblicazioni al Victor Charlie in un piccolo spazio in cui si potevano trovare anche magliette autoprodotte, fanzine, appunto, e i primi dischi che cominciammo a far circolare.

Sta di fatto che cominciavano a moltiplicarsi realtà analoghe in altre città come Firenze, Parma, Bologna, Ferrara, Bari, Roma, Torino e molte altre. Per contenere i costi delle telefonate all’estero in nostro soccorso venivano degli “espedienti”; ad esempio, conoscevamo un tipo che lavorava per la Sip che ci dava le chiavi per aprire i telefoni delle cabine telefoniche. Aprivamo le cabine e con una tecnica molto banale avevamo credito illimitato!

Era il meccanismo del do it yourself, del fai da solo, organizzati!

… meccanismo che funzionava, anche perché c’era generalmente molta disponibilità: chi aveva qualcosa, la condivideva con tutti gli altri. Questo significava, ad esempio, che eri quasi obbligato a ospitare ragazzi che venivano da altre città e a dargli alloggio a casa tua.

Si creò una circolazione, per il Victor Charlie, molto importante; tant’è che cominciarono a venire fuori i primi problemi…

Di quale periodo stiamo parlando?
Victor Charlie documento della scena musicale underground
Locandina d’epoca del Victor Charlie

Stiamo parlando dell’ ’85-’86. Non so se conosci dov’è il Lungarno Guadalongo, Corte Tiezzi [zone di Pisa, ndr]; successe che nonostante il locale fosse insonorizzato gli abitanti del quartiere si rivolsero alla sede locale del Pci di quartiere per protestare del continuo viavai. Fu una cosa abbastanza ridicola, perché ci convocarono alla sede provinciale per dirci che la presenza del Victor in quel quartiere stava facendo perdere voti al partito. Da lì cominciò la parabola discendente di questo posto assolutamente straordinario. Al Victor Charlie fu tolta l’affiliazione all’Arci, per cui tutto diventò più complicato. Nonostante le proteste, tra cui uno sciopero della fame, e altre iniziative, l’esperienza si andò a concludere. Altri spazi in altre città resistettero più a lungo…

Wide documento della scena musicale underground
Locandina d’epoca del Last white Christmas

Tornando all’aspetto musicale, nel frattempo stavano crescendo varie realtà: io ed altri ragazzi fondammo la Belfagor Records nel 1984 e cominciammo a stampare prima dei 7” e poi degli LP, e a scambiarceli da città a città. La cosa si stava sviluppando perché, effettivamente, c’era una certa attenzione per questo tipo di prodotti e, contemporaneamente, cresceva la circolazione dei gruppi, che trovavano sempre spazi nuovi per ospitare la propria musica: storico fu il concerto chiamato Last White Christmas nella chiesina di San Zeno a Pisa il 4 dicembre 1983. Invitammo un casino di persone che vennero da fuori.

Ricordi alcuni di questi gruppi?

Sì, c’erano Brontosauri, Raw Power Juggernaut, Stato di polizia, Putrid Fever, Dements, Useless Boys, War Dogs, A’uschlag, Cheetah Chrome Motherfuckers, I Refuse It!, Traumatic (presenti nella pubblicazione della BCT ma non al concerto), Dements.

Era il GranDucato Hardcore…

Sì, e fra tutti i Cheetah Chrome Motherfuckers.

Successe che, attraverso le corrispondenze che avevamo con varie fanzines, ne seguissimo una che aveva una tiratura molto importante, Maximum Rock’n’roll,a cui eravamo abbonati. Il caporedattore di questa fanzine, parlando di aneddoti, era un collezionista degli Abba... La cosa allucinante era che non solo collezionava tutti i dischi della band svedese ma ne collezionava tutti i dischi di tutte le stampe uscite nelle diverse nazioni! Non chiedetemi perché, ma era così!!

Maximum Rock'n'Roll documento della scena musicale underground

Maximum Rock’n’Roll ospitava report da tutto il mondo, per raccontare quale fosse la situazione in Brasile, Cecoslovacchia… Dappertutto! Maximun Rock’n’Roll collaborava dunque con tutta una serie di realtà, e pubblicò a un certo punto un articolo sulla band hardcore pisana Cheeta Chrome Motherfuckers, della quale sono stato bassista dal 1984. Intorno ai CCM cominciò a crescere un certo interesse, anche perché i concerti erano famosi per l’intensità della performance della band. Ogni concerto era un evento, che aveva anche una certa sua “sacralità”… Comunque sia: uscì questo articolo importante e, se non ricordo male, andammo in copertina e riuscimmo ad avere una rilevanza internazionale. Poi successe che ad Antonio [Cecchi, primo bassista, poi chitarrista della band, ndr.] fu proposto un tour in America. Era il 1986. Fu un un tour piuttosto esteso, registrammo un disco… Ne successero di tutti i colori, ci vorrebbero 3 ore per raccontarle tutte! Ma ne uscimmo vivi… Era già qualcosa! Poi ritornammo in Italia e continuammo a suonare, facemmo anche un tour europeo. Ma alla fine ci sciogliemmo.

Come nasce l’esperienza della Wide Records?
Wide records
Copyrights Wide Records

Sentivo il bisogno di fare qualcos’altro e, alla fine, successe che, avendo avuto la possibilità di acquisire nuove competenze, cominciai a ragionare insieme ad altri amici sulla possibilità di lavorare in ambito discografico. Eravamo all’incirca nel 1987quando iniziammo a mettere in piedi un “mailorder”: importavamo dei dischi dall’estero e li rivendevamo per posta. Lo step successivo fu quello di contattare i distributori internazionali delle label che ci piacevano ma non avevano una rappresentanza in Italia. Il passo successivo fu la nascita di Wide Records, inizialmente solo un distributore nazionale che dal 2006 diventò, a detta di molti, uno dei migliori negozi di dischi in Italia.

Ma proprio in quegli anni la fruizione della musica aveva cominciato ad affidarsi in misura sempre più massiccia alla rete, a internet. In che modo la Wide si è rapportata con un cambiamento epocale?

Non ci volle molto a capire che i dischi cominciavano a essere scaricati liberamente e con semplicità. Iniziarono i problemi nella scena musicale. Primo perché la musica cominciò a girare in questo modo e il mercato discografico fu azzerato quasi totalmente, in una maniera che in parte avevamo previsto ma che non pensavamo potesse avvenire così velocemente e con quelle dimensioni. Alla fine fummo travolti e chiudemmo sia la distribuzione che il negozio. Con l’esperienza acquisita dalla promozione dei dischi che distribuivamo creammo allora Prom-O-Rama, una sorta di spin-offdi Wide, un’azienda parallela che si occupava e si occupa tuttora da più di venti anni della promozione di artisti di vario genere.

Tu vivi dall’interno le dinamiche della produzione musicale attuale. Puoi fare un confronto tra un passato recente e quello che sta accadendo oggi?

Sicuramente, in primis, c’è il fatto che la musica è diventata “liquida” dappertutto. Oggi c’è un’attenzione “di ritorno” per i vinili. Però secondo alcune indagini chi li compra, in realtà, non li ascolta quasi mai. Si ascolta la musica quasi totalmente dalle piattaforme online. Spesso i vinili sono semplicemente un feticcio, perché si ha bisogno di un approccio materico che comprende il toccare, vedere il vinile che gira, eccetera… A parte questo aspetto, è cambiato tutto dal punto di vista commerciale. Spotify, tanto per dire, è quotato in borsa. E per gli artisti è diventato tutto molto più complicato: a ogni passaggio di un brano viene pagato all’artista un compenso in termini di centesimi di euro. Quindi o raggiungi molti stream o, diversamente, è durissima. Molti musicisti inizialmente si sono opposti. In seguito si è trovata una sorta di equilibrio. Tutti sono costretti ad adattarsi a questo tipo di situazione, non ci sono grosse alternative.

E allora è ancora possibile in questa situazione parlare ancora di underground? C’è un underground nella scena musicale odierna?

Quando io e altri ragazzi cominciammo a mettere in piedi un’etichetta (mi riferisco agli anni intorno al ’95-’96) dovevamo fare i dischi, e mi trovai in una stamperia a Roma (che stampava peraltro, all’epoca, solo dischi per le Edizioni Paoline!) davanti a una scena del tutto imprevista: ero in questa stanza in cui c’era, da una parte in terra, un mucchio di vinile nero e un tizio che con la pala buttava il vinile dentro un macchinario che lo scioglieva. In seguito veniva inserito in una pressa che serviva a stampare il disco. Fortunatamente le stamperie esistono ancora, magari delocalizzate in Polonia o dove costa meno… Ma esistono. La maggior parte delle band sono underground, nel senso che non hanno visibilità e lavorano per averla. L’obiettivo è raggiungere un rapporto virtuoso tra entrate e uscite, tra quanto si percepisce e quanto si investe nel proprio progetto, non soltanto in termini economici ma anche di ore di lavoro. Il sito rockit.it ha censito ad oggi oltre 31.000 band italiane. La competizione è durissima. Ben vengano quindi sostegni economici per i progetti meritevoli di attenzione.

Factory PUM scena musicale odierna
La fondazione stagione 2, Factory PUM
Alcuni preziosi link:

About Alessandro Favilli, PROM-O-RAMA


Edited by Sebastiano Ortu, Rozz Ella, Fabio F., Daniele V.

Interview by Sebastiano Ortu


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