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FACTORY ASKS 0013 : FRANCESCA PUCCI

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Nome artista 0013: Francesca Pucci

BIO

Francesca un po’ per scelta, un po’ per abitudine, nata nel freddo gennaio del 1983 e dove per usi e costumi sono rimasta. Da sempre innamorata dell’arte in tutte le sue forme, colleziono immagini e suoni, pane quotidiano in un mondo immaginario dal sapore a metà fra ”Dylan Dog” e ”Pretty in Pink”. Diplomata alla scuola di fotografia APAB a Firenze qualche anno fa, adesso collaboro con festival di cinema e riviste di musica. Inoltre gestisco laboratori artistici per bambini e ragazzi e mi piace farli provare a colorare non solo con i pennarelli, ma anche con quella polvere magica che è la fotografia.

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01. Come hai intrapreso questo percorso artistico?

Io da piccola preferivo colorare con i pennarelli. Coloravo tantissimo. E non doveva disturbarmi nessuno. Nemmeno papà, con quella macchina fotografica gigante. Da perfetto fotografo amatoriale mi invitava a posare troppo spesso per lui e io non sopportavo l’idea di starmene impalata. Poi qualcosa è cambiato: mi sono accorta di stare dalla parte sbagliata dell’obbiettivo. È successo che l’amore, i viaggi e soprattutto la musica mi hanno portato ad aver bisogno di documentare tutto quando questi non erano con me, inscatolare le emozioni per non perderle mai. E per saperle raccontare nel tempo.

02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Senza dubbio la musica e tutto quello che la circonda sono il motore del mio lavoro artistico. Con lei tutti quegli artisti che hanno saputo raccontarla in maniera eccellente, che hanno portato le atmosfere dei backstage e dei palchi a portata di occhi. Fra gli altri A. Leibniz, P. Smith, A. Corbijn, R. Mapplethorpe, G. Harari, L. Ghirri.

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03. In quanto “artista” qual’è la tua massima aspirazione?

Regalare storie. Da vedere, da ascoltare, da raccontare.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

Attraverso la fotografia provo a scrivere storie musicate, forse una sottospecie di canzoni. Ho sempre voluto fare musica,ma non sono mai riuscita a salire su un palco. Con la fotografia ho trovato il modo di suonare , di rappresentare a mio modo la musica, di cantare con la luce. Un chiaro esempio è ”Sunday”, un mio progetto che nasce dall’esigenza di rappresentare la musica, così ho provato ad illustrare canzoni che raccontano di domeniche diverse, canzoni ascoltate oltre la sonorità e oltre le parole, descritte per quello che ti lasciano, per l’emozione che può diventare immagine. Ho riproposto ipotetiche copertine dei singoli da me scelti: con esse si ha un impatto visivo, la copertina veste la musica, diventa mezzo di comunicazione.

05. Che cosa vuol dire underground per te?

Sperimentare. Sempre innamorati di quello che stiamo facendo.

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“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

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FACTORY ASKS 0012 : YOUNG FELIX

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Nome artista 0012 : Young Felix

BIO

Mi chiamo Marco Rossitto, in arte Young Felix. Sono cresciuto a Palermo, anzi per precisare a Bagheria. Mi sono approcciato alla musica fin da piccolo grazie allo studio del pianoforte; col tempo ho assecondato questa passione approfondendo altri generi e provando a suonare la chitarra con amici al liceo. Vecchi ricordi a pensarci adesso! Nel 2013 nasce la Sud Attitude CREW, il collettivo musicale con cui lavoro, che prima di essere un gruppo è una famiglia. Da un paio di anni mi sono avvicinato al video e alla fotografia, passioni che mi hanno portato a trasferirmi a Pisa; qui da qualche mese collaboro con Cino che oltre a essere il mio produttore mi accompagna anche sul palco.

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01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

Come dicevo sono sempre stato affascinato dall’ambiente musicale e persino da piccolo provavo a fare delle basi su cui poter cantare. Dato che tra il dire e il fare… Mi sono ritrovato a cercare i classici “Beat Instrumental” su Youtube per allenarmi fino a quando non sono arrivati i primi pezzi registrati e i primi progetti realizzati.

02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Inizialmente mi sono ispirato alla scena palermitana, con artisti come Stokka & MadBuddy. Col tempo ho cominciato ad ascoltare sempre meno rap italiano per passare all’americano, e sinceramente ora provo ad ascoltare meno rap possibile. Per cercare ispirazione uso tutto quello che ho sotto gli occhi quotidianamente.

03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

Fare la mia musica senza nessun tipo di vincolo o compromesso. Assecondare la propria identità artistica penso sia il regalo migliore che un artista si possa fare.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

In ogni pezzo, in ogni video, tendo sempre a mettere qualcosa di mio, anche nascosto, ma che le persone che mi conoscono e vivono sanno capire. Anche la semplice sigla BC35 è uno di quei “messaggi” che vanno a rendere davvero miei i lavori. Diciamo che sfrutto Felix per dare spazio a una parte di me che normalmente tendo a tenere privata.

05. Che cosa vuol dire underground per te?

Cose fatte bene e con la voglia di condividerle ad altri con tutta la fatica e il lavoro che ci sta dietro.

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“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

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FACTORY ASKS 0011: MOODBOARD

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Nome progetto 0011 : Moodboard

BIO

Lucrezia Cortopassi nasce a Pietrasanta il 19 febbraio del 1992. Nata con un background familiare di appassionati di arte, archeologia, arredamento e design non è difficile pensare che i suoi studi siano iniziati da un Liceo Artistico, il “Passaglia” di Lucca, e che siano finiti con una laurea in Disegno Industriale all’ISIA di Firenze. Durante questi anni la passione per la carta è sempre stata evidente: partendo dal progressivo accumulo di riviste, libri, flyer, poster e biglietti da visita fino al ripetitivo tentativo di immischiarsi in una nuova avventura editoriale.

Martina Toccafondi, fiorentina, nasce il 1 dicembre del 1988. La sua formazione è stata fin dall’inizio fortemente contaminata dai film adolescenziali degli anni ’80, dall’arte contemporanea, dallo stile parigino, dai polpettoni di saggi sugli impressionisti, dalle commedie del dopoguerra. Ma più di tutto dalle riviste, divorate, segnate, ritagliate (a volte anche lette). Da questo nasce la passione per l’accumulo di ritagli, fogli di carta, pezzi di texture. Ha iniziato studiando visual design (cos’altro sarebbe potuto essere?) prima all’Università degli Studi di Firenze e successivamente con un diploma specialistico all’Isia di Firenze. Da due anni lavora come freelance nella grafica per la moda e nell’editoria. Ma qualcosa bisognava pur fare con tutti quei ritagli.

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                                      PUM ART FEST / Moodboard Stand – foto di NICOL P.

01. Come e da dove è nata l’idea di fondare la vostra rivista?

Lucrezia: L’idea è nata da Martina qualche anno fa per gioco. La scorsa estate poi ci siamo come lette nel pensiero, è stato strano. Ci ha aiutato l’amore per l’editoria, quella cartacea che riempie le librerie e dove le immagini con il tempo sbiadiscono e dei gusti molto affini (quelli che contengono glitter, unicorni e immagini provocatorie si intende). Così durante un bel pranzetto di pesce nella piccola Atene della Versilia, Martina mi ha spiegato il progetto ed è stato amore a prima vista.

Martina: L’idea è nata all’inizio dalla mia collezione decennale di ritagli. Erano tutti lì davanti a me che mi guardavano come a chiedermi che senso avessero di essere lì. E così ho pensato che questa mania dovesse trovare uno sbocco. Se ispiravano me, perché non potevano ispirare anche qualcun altro? Ma era solo un barlume, l’idea vera e propria è nata in due. Non potevo farcela da sola.. e sapevo esattamente da chi andare!

02. Vi siete ispirate a qualche magazine già esistente? O in generale cosa vi guida nelle vostre
scelte editoriali?

Lucrezia: I magazine che ci ispirano sono tanti, come i siti e i blog. Essendo Moodboard una grande bacheca di ispirazioni è inevitabile che attingiamo da qualsiasi fonte ci passi sotto il naso, cercando di reinserirla in un contesto logico e in tema con lo stile che abbiamo scelto. Il web è pieno di spunti visti e rivisti sotto ogni forma e versione ma la nostra vera missione è far entrare in questo circolo qualche volto nuovo e di talento.

Martina: Certo le nostre fonti di ispirazione sono tantissime, dai magazine di arredamento chic ai blog trash. Credo che ciò che ci ispiri di più sia la ricerca di nuovi significati che nascono accostando elementi comuni, ordinari, che sembra non abbiano niente in comune tra loro. Cosa succede se accanto alla foto di un seno metto l’immagine di un paio di forbici? A cosa mi fa pensare? Da due oggetti con due significati distinti, ne nasce un terzo, un quarto e così via, a seconda dei legami che creiamo.

moodwaitMoodboard release @ P.U.M. Factory Fest, Bastione San Gallo

03. Come finanziate la stampa dei vostri numeri e quali tecniche di stampa usate?

Lucrezia: L’editoria, specie se indipendente e specie se in Italia, non ha un’importanza rilevante. Quello che facciamo lo facciamo spinte prima di tutto da una grande passione e amore per questo lavoro. Il resto è tutto di tasca nostra, per ora chiaro, poi chissà! La stampa in tipografia “vecchio stile” è quella che ci ha affascinato di più ed è quella dove si ha anche un contatto diretto con l’operatore con il quale possiamo confrontarci e scambiarci consigli e idee.

Martina: Per adesso ci autofinanziamo. Questo è il grande problema comune di chi fa editoria indipendente. È difficilissimo trovare finanziatori per un progetto cartaceo. In fondo si dice in giro che la carta sia morta, sostituita dalle pagine web, dai blog, dai giornali online. Perciò la domanda di sempre è “perchè dovrei spendere per stampare qualcosa che potrei vedere su un display gratuitamente?” La nostra è una scommessa. Vogliamo allargare gli orizzonti fisici e non del concetto standard di rivista, reinventando la sua classica (spesso limitativa) suddivisione in pagine. Per visualizzare i contenuti su un sito si può scrollare, cliccare, ma ciò che uno schermo non ci permette è la visione di insieme. Moodboard mostra tutto il contenuto in un’unica grande pagina fisica davanti ai nostri occhi.

04. Qual è il messaggio principale che vorreste comunicare tramite la vostra zine?

Lucrezia: La nostra rivista, che in realtà è un grande poster di 100x140cm, una bacheca appunto, come riporta la definizione da dizionario di moodboard in fin dei conti, ha puramente uno scopo educativo all’immagine. Mi spiego meglio. Tutte le immagini contenute nel poster hanno una logica e il tema si sviluppa piega dopo piega. Il tema di base è uno ad ogni uscita ma le derivazioni che può avere sono tantissime. Per questo ci divertiamo a dividere le sottocategorie anche in base ai colori. L’effetto finale è davvero piacevole e stimolante, sia per un creativo che non!

Martina: L’ispirazione. L’interpretazione. Qualunque essa sia, non ce n’è una giusta o sbagliata. L’importante è lasciarsi stimolare, cercando nuovi accostamenti di immagini, di colori e significati.

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SHOP ONLINE : http://magazinemoodboard.bigcartel.com

05. Che cosa vuol dire underground per voi?

Permettersi il lusso di sperimentare. Uscire dagli schemi e scommettere contro chi ti dice “non si fa così”. E chi l’ha detto? Lavorando come grafica una delle cose più snervanti è scendere a compromessi con i clienti, con ciò che ti permettono o no di fare. Si può fare tutto, basta avere il coraggio di provarci. E questo tipo di contesto ti dà l’occasione di metterti alla prova. Per noi vuol dire essere liberi.

06. Quanto sono importanti secondo voi occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorreste che venisse fatto in questo senso?

Lucrezia: Credo che occasioni come questa che ci è stata concessa siano molti importanti per far conoscere il proprio progetto, ma soprattutto le conoscenze che possono crearsi all’interno di uno scenario simile possono portare anche ad interessanti collaborazioni! Posso solo sperare che eventi simili si intensifichino su tutto il territorio cercando di coinvolgere più realtà possibili e artisticamente simili.

Martina: Sono molto importanti perché ti permettono, come ha detto Lucrezia, di conoscersi, influenzarsi a vicenda, creare nuove collaborazioni e nuovi sostenitori. Vorrei che ci fossero più occasioni del genere che non ci facciano sentire soli in mezzo al mare, contro vento!

 

 

segue :

Galleria fotografica di Nicol P.

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MOODBOARD By Nicol P. (Ac&m Art fest 15)

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“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista”

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FACTORY ASKS 0010 : PIERFRANCESCO BUONOMO

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Nome Artista 0010: Pierfrancesco Buonomo

BIO

Sono nato il 13 marzo 1993 a Roma. All’età di 6 anni sono andato a vivere a Lucca dove ho iniziato il mio percorso scolastico. Ho conseguito il diploma di liceo scientifico nel 2010, poi mi sono spostato a Milano dove ho iniziato a frequentare l’ACME, Accademia dei Media Europea, con indirizzo fumetto. Conseguirò la laurea a luglio di quest’anno seguito dal professor Pasquale Del Vecchio (relatore). I miei interessi principali sono legati al mondo dei fumetti, ne leggo un sacco e amo inventare e disegnare storie tutte mie. Il 24 dicembre 2015 è uscito un calendario in collaborazione con  il Centro Studi San Marco per il cinquantesimo anniversario di Lucca Comics & Games distribuito da “La Nazione” su tutta la provincia di Lucca. Mi piace molto collaborare alla costruzione di universi creati da altre menti, da poco sono in collaborazione con uno sceneggiatore, Edoardo Rohl, con il quale sto per presentare le prime tavole di un fumetto alla casa editrice Shockdom. Tra i miei interessi rientra anche la partecipazione a eventi e mostre in cui posso mostrare i miei lavori per ricevere giudizi costruttivi che mi portino ad una crescita personale nel mio campo

01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

Ho sempre amato disegnare. Alle medie mi sono accorto che avevo questa passione, purtroppo mi ha portato ad essere anche molto solo perché se tutti i miei compagni di classe uscivano a divertirsi io preferivo starmene alla mia scrivania a disegnare. Non ho mai detto nulla ai miei genitori fino alla quarta superiore, forse ho sbagliato ripensandoci adesso che mi sto per laureare. Non gli ho mai fatto vedere un disegno. Dall’inizio delle superiori in poi mi sono appassionato alla narrativa a fumetti, ne leggevo e ne leggo tutt’ora un sacco, in terza superiore mi piaceva talmente tanto leggere fumetti che mi sono chiesto come sarebbe stato se ne avessi creato uno tutto mio. In quarta superiore ho fatto “outing”, i miei genitori parlavano di volermi mandare alla facoltà di economia perché una volta concluso il ciclo di studi universitari sarei andato a lavorare presso lo studio di mio padre. Quando ho detto a mia madre che volevo intraprendere la carriera da fumettista mi ha guardato allibita, ma successivamente ha compreso che non era solo una passione ma un sogno. I miei genitori hanno dato qualsiasi cosa perché io riuscissi a coronare il mio obiettivo e tutto quello che ho raggiunto fino ad oggi lo devo principalmente a loro che sono stati, sono e saranno sempre i miei primi veri sostenitori. DREAM IT, WISH IT, DO IT.

02. A chi o a cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Quando produco le mie “opere”, se di questo possiamo parlare, mi ispiro ad un sacco di cose. Per me non esiste ispirazione più grande di quella che ti può dare tutto quello che ti circonda.

03. In quanto artista qual è la tua massima aspirazione?

La mia massima aspirazione? Mangiare con i miei disegni.

illustrazioni colorate e preparazione colore 7

04. C’è un messaggio legato i tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

Il messaggio nei miei lavori dipende da cosa mi sento di comunicare in quel momento con quel determinato lavoro, non ho un messaggio di base che affiora in tutti.

05. Che cosa vuol dire per te underground?

Underground per me vuol dire completa libertà espressiva non vagliata da un mercato di gusti meticolosi riguardo il modello di bellezza corrente, vuol dire POSSIBILITA’, concetto che al giorno d’oggi in campo artistico non è molto presente. Penso che POSSIBILITA’ sia la parola che per me più descrive il concetto di Underground inteso in campo artistico.

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|  The Factory | Pierfrancesco Buonomo  |

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FACTORY ASKS 0009: DAVIDE BALDUZZI

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Nome Artista 0009: Davide Balduzzi

BIO

Mi chiamo Davide. Sono nato a Bergamo il 9 ottobre 1989 da madre napoletana e padre bergamasco. Ho vissuto dai 3 ai 6 anni nella Pampa argentina, tra gauchos e cavalli e ho ripreso il mio sentiero scolastico in Italia, a Bergamo.
Il 6 Ottobre 2014 io e la mia fidanzata, decidemmo di partire per l’estero.
La prima meta fu l’Australia, comprammo un camper, e per 8 mesi riuscimmo ad abbinare il viaggio al lavoro.
In seguito, iniziammo un lungo viaggio durato 4 mesi nel sud est asiatico, visitando molte isole dell’ Indonesia con i suoi vulcani e l’isola di Komodo; la penisola malese; l’ immensa foresta pluviale con i suoi animali selvaggi nel Borneo malese, passando poi per Singapore (la Svizzera d’oriente) e finendo nella vecchia Indocina: Laos, Cambogia, Vietnam e Thailandia con le innumerevoli risaie, cascate, templi e le affascinanti minoranze etniche.
Le modalità erano: zaino in spalla, street food, ostelli economici, ospiti da persone, ampio sorriso, cuore aperto alla vita e alla gente.
I mezzi erano: aerei, treni, navi e moltissime ore di pullman.

Passo alla prima domanda…

01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

Sebbene i miei studi non abbiano nulla a che vedere con l’arte, ho ricevuto influenze artistiche dai miei genitori: scultura, pittura, musica e fotografia.
Ho provato a dipingere, suonare la chitarra, il basso elettrico e le percussioni ma quando mio padre mi regalò la sua vecchia macchina fotografica analogica mi si aprì un mondo nuovo, un altro modo di vedere quello che mi circondava, posso dire.. uno stile di vita diverso da quello a cui ero abituato.
Notai da subito la compatibilità che aveva questo tipo d’arte visiva con il mio carattere, e la approfondii.

02.  A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

La creatività può essere un attitudine innata o semplicemente un osservare, analizzare e studiare, per rielaborare a proprio piacimento. Io faccio questo, studio le fotografie dei grandi fotografi o opere dei grandi pittori, metto tutto in un “cassettino” pronto a ripescarne il contenuto al momento del bisogno mischiandolo sempre al gusto personale ovviamente.

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03.  In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

Sebbene con l’avvento di internet e delle milioni fotocamere in circolazione possiamo comodamente vedere e conoscere realtà sociali differenti dalla nostra, tengo comunque a dare il mio contributo con l’offrire la mia visione delle cose. Tornando alla domanda..La mia massima aspirazione è continuare ad avere energia per viaggiare, per scoprire/scoprirmi ed emozionarmi, riuscendo allo stesso tempo a trasmettere tutto questo a chi osserva i miei lavori.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

C’è chi scopre il proprio stile da subito, chi lo trova dopo anni di ricerca. Io ci sto lavorando, mi piacerebbe molto se qualcuno potesse vedere le mie fotografie e riconoscere il mio occhio, il mio stile, ma questo non è una mia priorità. Penso solo ad impegnarmi per creare un collegamento diretto con la mia sensibilità e la mia attrezzatura. Il messaggio legato ai miei lavori rispecchia quello che la scena mi trasmette in quel preciso momento. Se riesco a ritrasmettere le emozioni da me provate, mi posso considerare soddisfatto.

05. Che cosa vuol dire underground per te?

Un movimento che vive e si sviluppa parallelamente alla cultura di massa.

06. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

Al festival ho portato una piccola raccolta del mio archivio fotografico scattato nel mio ultimo viaggio nel Sud-est Asiatico.

davidebalduzzifestivalL’allestimento di Davide al Bastione San Gallo per il PUM Factory Fest

07. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso?

Complimenti e critiche sono entrambi importanti nella formazione artistica, ed è per questo che occasioni come il festival sono preziose, proprio perché danno la possibilità di avere contatto con il pubblico.
Sarebbe bello poter creare una rivista dedicata ai giovani emergenti.

| The Factory | Davide Balduzzi |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

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FACTORY ASKS 0008: RICCARDO BONUCCELLI

askthepixel_faithNome artista 0008: Riccardo Bonuccelli

BIO

Fotografo e retoucher professionista Adobe Certified Expert. Riccardo è nato il primo gennaio del 1977, ha vissuto a Torino, Lucca, Bruxelles e nuovamente Lucca. Si laurea in informatica e coltiva un lunga esperienza di consulenza in grandi aziende internazionali. Da sempre amante dell’arte, nel 2009 decide che la fotografia sarebbe stata la sua professione e nel 2011 dà vita alla sua attività, askthepixel.net. Da allora fornisce servizi fotografici e di formazione, specializzandosi in ritratto, fotografia urbana e di architettura e in compositing artistico. Come insegnante ha lavorato con aziende locali e internazionali, agenzie di formazione, associazioni culturali e di settore e ultimamente con il liceo artistico di Lucca.

01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

Con una solida base tecnica alle spalle e da sempre incuriosito e affascinato dal forte potenziale comunicativo subliminale delle immagini, ho cominciato a studiare il valore simbolico dei colori e delle forme contenuti nella collezione dei Tarocchi di Marsiglia. Le figure riprodotte su queste carte rappresentano la sintesi della simbologia occidentale, che dal tardo medioevo valgono ancora oggi e che funzionano alla perfezione applicate a qualsiasi medium visivo. Utilizzarle è estremamente divertente e da là il percorso ha preso vita sua e non si è mai arrestato.

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02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Ho qualche fotografo a cui faccio riferimento quando cerco ispirazione estetica ma il loro stile può anche non trasparire nei miei scatti, perché dall’ispirazione alla produzione il processo ha già alterato i tratti distintivi di questi autori. Potrei citare Sarah Moon per i ritratti e Gabriele Basilico per la fotografia urbana, ma la lista sarebbe lunghissima. L’ispirazione tematica invece la trovo nella lettura: nel tempo, passando di libro in libro – sempre seguendo il tema su cui vorrei lavorare – si formano collegamenti che mi portano alle soluzioni visive che finiranno nelle mie foto.

03. In quanto artista qual è la tua massima aspirazione?

Essere fonte di ispirazione. Non avrebbe senso creare arte se non ne generasse di nuova a sua volta, sarebbe vana o al massimo superflua.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

Sì, è l’invito a guardare oltre il primo velo, a provare a far parlare le immagini, a renderle vive.

05. Che cosa vuol dire underground per te?

In ambito artistico “Underground” è l’humous culturale che prepara la società ad accettare la prossima espressione estetica e concettuale, magari denigrata o considerata acerba ma che di fatto intimorisce perché mina l’attuale equilibrio o perché è semplicemente non compresa.askthepixel_balance

06. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

Il progetto che ho portato mi ha fatto riflettere più di quanto mi aspettassi su quanto profondo sia il tema affrontato, lo scattare fotografie da un dispositivo mobile. Quando sono apparse le prime fotocamere “embedded” nei telefoni cellulari già da tempo i sensori digitali avevano sostituito le pellicole nella maggior parte degli apparecchi di ripresa. Ma questo cambiamento ha aggiunto un ulteriore grado di astrazione dalla realtà: da quel giorno possiamo compiere un’azione che riguarda l’ambito visivo (fotografare) con uno strumento che abbiamo sempre usato per parlare e ascoltare (il telefono). L’immagine diventa anch’essa parte della conversazione (“embedded” anche loro) e fa parte integrante del suo senso: una frase non è più totalmente comprensibile senza una emoticon come una foto da sola non basta a definire un concetto. Si può definire una “fotografia aumentata”.

07. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso?

Questi eventi sono fondamentali per la crescita della società. É molto raro che qualcuno si fermi a riflettere su ciò che ha davanti a sè quotidianamente o che esprima un concetto proprio, originale. Questa sorta di apatia, di inerzia spirituale, comunicativa ed espressiva deve essere controbilanciata da una risposta genuina di analisi creativa della realtà attraverso gli occhi e le mani di chiunque ne senta un onesto bisogno. L’arte si muove per osmosi, e bisogna respirarla perché passi da uomo a uomo, da generazione a generazione.

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|  The Factory | Riccardo Bonuccelli  |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

 

 

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FACTORY ASKS 0007: BEATRICE LA VISIONARIA

 

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Nome Artista 0007: Beatrice La Visionaria

BIO

Per tutti sono Beatrice La Visionaria. Nata a Lucca, giovedì 13 marzo del 1986 alle 13:56 in una splendida giornata di pioggia. Dopo un po’ di candeline spente sono arrivata all’Istituto d’Arte “A. Passaglia”- finalmente! Da lì in poi ho scarabocchiato, disegnato e dipinto su tutto quello che mi è capitato tra le mani. Sebbene abbia avuto l’occasione di partecipare a diverse mostre personali, è in mezzo agli altri, nella condivisione, che amo lavorare; che sia durante un live o un dj-set, partendo da una tela bianca, seguo la musica e vado con lei. Il resto di me lo trovate nei miei lavori.

01. Come hai intrapreso questo percorso artistico?

Mi chiamo Beatrice. Ho cominciato a parlare a tre anni e chiaccherare non è mai stato il mio forte. Se un estraneo mi rivolgeva parola rispondevo sì, no, non so. E se insisteva rispondevo quello che voleva sentirsi dire. Le cose una volta pensate, che bisogno c’è di dirle? Come disse di me ai miei uno psicologo: “La bambina ha il sé grandioso.” Ci vollero un paio di anni alle elementari per capire che dovevo comportarmi come tutti gli altri. Il segreto era di confondersi come una sardina in un banco di sardine. Ora nessuno mi rompeva più. La mosca era riuscita a fotterli tutti. Perfettamente integrata nella società di vespe. Credevano che io fossi una di loro. Una giusta. Ma più inscenavo questa farsa e più mi sentivo diversa. Da sola ero felice con gli altri dovevo recitare. Questa cosa mi impauriva. Avrei dovuto imitarli per il resto della vita? Niente di male, sempre che non ci sia niente di male a smettere di fare quello che si vuole per essere accettati nel vespaio.

IMG_938902. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Immortalo i sentimenti del personaggio femminile che ho creato, La Visionaria, che poi sarebbe mia madre che muta e cambia nei dettagli,        ma gli stati d’animo che dipingo sono i suoi. La predilezione dell’universo femminile è sicuramente la caratteristica dei miei lavori.

03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

Riuscire a trasmettere con i miei lavori ciò che con le parole non so spiegare.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

La Visionaria con i suoi sentimenti, le sue passioni e le sue paure.IMG_9382

05. Che cosa vuol dire underground per te?

Produrre fuori dagli schemi tradizionali e commerciali.

 

 

 

| The Factory | Beatrice La Visionaria |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”


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| FOTO&CONCEPT BY NICOL P. |

 

Factory Asks

FACTORY ASKS 0006: LIIA AHOLA

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Artist’s Name 0006: Liia Ahola

BIO

I was born in Finland in a family with quite artistic roots. My mother is some sort of poet, my mother’s mother crafts little clay things and my father’s father was a painter. Maybe it’s the genes, maybe the environment or perhaps some coincidence that supported my drawing hobby. However, at the beginning it was just my childish natural interest towards creating, so it’s really hard to say that at what point it turned out to be “my thing”.

01. How did your artistic career begin?

I used to go to an art club before teenage years. After that I decided to specialise in visual arts and design in my upper secondary school (in Finnish school system). There I studied 26 art and design courses, and I learned the basics of different techniques and theories. Though I would say that my artistic career really started after graduating. It was the beginning of the beginning. I started looking for my own voice, and I’m still on that way.

12084850_982634965131615_1170144426_o02. What is you work mainly inspired by?

For me making arts is sort of a way to talk with my soul, a way to face myself. And it’s more like a place to go rather than a thing to do. I go there whenever I lose myself in either the mysteries of life, or daydreams, love or pain. Human nature and feelings are an endless source of inspiration for me. Also, the people that I love inspire me. And animals. And nature. And the universe itself. Existence of everything. 

 

03. As an artist what is your maximum aspiration?

Well, so far each time someone wants to have my drawings or paintings on his/her wall my heart warms up. Making art feels meaningful when it gives joy to other people (and to me as well). It would also be cool to have my artworks in places where people could see them. In galleries, bars or some other suitable location. Even though, my highest aspiration at the moment is to be able to create, to enjoy and to give joy to other poeple as much as possible. It would also be very cool to collaborate with other artists, make some performances or collaborative paintings, maybe also some videos.

04. Is there a characterising message related to your work?

Not really. Often the message of my artworks is posive, or it’s about something that you need to think twice in order to understand, or even interest towards some phenomenon. Sometime it could be a bad joke that nobody understands. But not really.

05. What does underground mean to you?

I see underground art simply as something that has been done from desire of making it. From desire of saying something aloud or expressing oneself. Pure art without other things influencing it.


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VERSIONE ITA :

BIO

Sono nata in Finlandia in una famiglia dalle radici artistiche. Mia madre è una specie di poeta, mia nonna produce prodotti artigianali di argilla e mio nonno era un pittore. La mia passione per il disegno, forse viene dai geni, forse dall’ambiente in cui sono cresciuta, o forse è solo una strana coincidenza.

01. Come hai intrapreso questo percorso artistico?

Prima dell’adolescenza frequentavo un corso d’arte. Dopodiché al liceo ho deciso di specializzarmi in arti grafiche e design nella mia scuola secondaria (sistema scolastico finlandese). Lì ho seguito 26 diversi classi di design e arti visuali e grafiche e ho imparato i fondamenti delle diverse tecniche e teorie. Il mio percorso artistico però è iniziato davvero solo dopo che mi sono laureata.

 

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02. A chi o a cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Per me fare arte è un modo per comunicare con la mia anima, per confrontarmi con me stessa. Ed è più un posto in cui vado piuttosto che una cosa che faccio. Ci vado ogni volta che mi perdo nei misteri della vita, dell’amore, del dolore, o quando sogno ad occhi aperti. La natura umana e i sentimenti sono un’ infinita fonte di ispirazione per me. Anche le persone che amo mi ispirano. E gli animali. E la natura. E l’universo stesso. L’esistenza del tutto.

03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

Ogni volta che qualcuno vuole avere i miei disegni sulla sua parete mi si scalda il cuore. Fare arte ha senso quando dà gioia alle persone (e anche a me). Mi piacerebbe anche che i miei lavori fossero esposti in luoghi in cui la gente li può ammirare. Gallerie, bar o altri posti adatti. Però la mia più grande aspirazione al momento è essere in grado di creare, divertirmi e dare gioia alle persone il più possibile. Mi piacerebbe molto anche collaborare con altri artisti, creare performance, dipinti condivisi e anche video magari.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

In realtà no. Spesso il messaggio dei miei lavori è positivo o riguarda qualcosa su cui devi riflettere bene prima di capire o l’interesse verso un particolare fenomeno. O qualche volta è una battuta che nessuno capisce.

05. Che cosa vuol dire underground per te?

Per me arte undeground identifica qualcosa che è nato dal desiderio di creare, di dire qualcosa ad alta voce o di esprimersi. Arte pura, senza influenze esterne.

 

| The Factory | Liia Ahola |

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“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.” 

Factory Asks

FACTORY ASKS 0004 : MARTINA RIDONDELLI

Autoritratti, Photo by Martina Ridondelli
Bianca Garzella Photo by Martina Ridondelli, M.U.A. Isabella Biagini

Nome artista 0004 : Martina Ridondelli

BIO

Nata a Pisa, diplomata all’istituto d’arte con indirizzo di “architettura e arredo” decide di approfondire la sua passione per la fotografia trasferendosi a Milano e studiando presso l’Istituto Italiano di Fotografia. Si specializza in ritrattistica e in fotografia di concerti, lavorando in buona parte nel settore musicale. Essendo la musica un’altra sua forte passione, incomincia a fare foto promozionali, artwork e a collaborare in modo sempre più diretto con i musicisti. Nel corso degli anni, approfondisce progetti personali che espone in diverse città italiane. Attualmente sviluppa i suoi lavori sia in interno, presso il suo studio, sia in esterno.

01. Come hai intrapreso questo percorso artistico?

Ho incominciato a far fotografie grazie a mio padre che mi regalò la prima macchina fotografica intorno ai 9 anni e posso dire che da lì è incominciato tutto.

02. A chi o a cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

A tutti e a nessuno o a tutto e a niente. Mi piace osservare ma non ho un riferimento ben preciso e molto spesso le influenze e le ispirazioni cambiano di mese in mese.

03. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

Cuore e stomaco.

04. Che cosa vuol dire Underground per te?

Underground è qualcosa di bello ma strano perchè sembra parlare sottovoce ma urla più forte delle realtà della cultura di massa. Il concetto di “underground” in questo periodo storico di confusione estetica e concettuale assume tante forme. E’ tutto un grosso calderone dove difficilmente si riconosce cosa ci sia dentro.

 

|  The Factory  | Martina Ridondelli  |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista”

 

Autoritratti, Photo by Martina Ridondelli
Giorgio Canali Photo by Martina Ridondelli

Factory Asks

FACTORY ASKS 0003 : BEATRICE TACCOGNA

foto di Nicol P.
foto di Nicol P.

Nome artista 0003: Beatrice Taccogna

BIO

Nata a Pontedera il 4 febbraio del 1992 vive a Cascina (Pisa) dove ha studiato all’Istituto d’arte conseguendo diploma in scenografia teatrale. Attualmente frequenta il terzo anno di pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Sin da bambina dimostra interesse verso il disegno e la pittura. Protagoniste dei suoi quadri sono spesso le donne che una volta dipinte diventano autoritratti introspettivi. Vede la pittura come un momento di evasione dalla vita quotidiana e cerca, attraverso le sue opere, di succitare nell’animo di chi le guarda, sensazioni che solo l’arte sa provocare.

01. Come hai intrapreso questo percorso artistico?

Non ricordo cosa in particolare mi abbia spinto verso l’Arte, ma fin da piccola disegno e dipingo, mio nonno lo faceva e come lui mio padre,credo si una sorta di “eredità artistica” arrivata fino a me .

02. A chi o a cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Amo Frida Kahlo, come artista e persona.La sua vita mi ha ispirata molto, non una cosa di lei o un quadro, ma l’insieme delle sue opere che raccontano una storia tormentata quanto piena di emozioni che mi ha colpita e mi ha ispirata tantissimo verso il tipo di arte che faccio oggi

03. In quanto artista qual è la tua massima aspirazione?

La mia massima aspirazione è quella di poter viaggiare e, anche se può sembrare un utopia visti i tempi, vivere della mia arte e magari creare spazi che diano possibilità a giovani artisti come me di potersi esprimere e farsi conoscere.

04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

Quando dipingo ricordo a me stessa che ci sono e che l’Arte è qualcosa che nessuno potrà mai togliermi o contestarmi. Non c’è un messaggio in particolare che voglio comunicare, forse egoisticamente le mie opere parlano solo di me, un momento tutto mio nel quale però possono identificarsi altre persone apprezzando i miei lavori. Non credo si debba percorsa cercare o imporsi un messaggio sociale legato all’arte o almeno non sempre, si può anche fare arte per il piacere di farla.

05. Che cosa vuol dire Underground per te?

Underground è un termine molto complesso e spesso dimenticato, underground non significa solo “alternativo” come spesso viene sintetizzato questo concetto.per me significa indipendenza e voglia di innovazione rispetto alle “tradizioni” artistiche, culturali e sociali.

|  The Factory  |  Beatrice Taccogna  |

“Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista”

foto di Nicol P. (Summer Carnival Opening Party, Maggio 2014)