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Alessandro Nuzzo Break the Wall

Alessandro Nuzzo

Comprendere la deriva mainstream

Intervistare anche l’altra parte – il mainstream – della fetta legata alla vita notturna è una questione di oggettività del metodo. Non possiamo costruire un nuovo concetto di Club Culture senza considerare anche le sue derive, o meglio ancora: le appropriazioni del mainstream verso quegli aspetti che funzionavano bene nel vero Underground. Agendo di rottura se è il caso, ma questo è insito nello stesso titolo della rubrica: Break The Wall (qui il numero passato se lo avete perso). E allora rompiamo questo muro e andiamo alla scoperta di quei tasselli, di quelle schegge impazzite che fuori dal contesto nativo rappresentavano i migliori ingredienti di partenza. Infondo è un esercizio di ascolto.

Qual’è la sottile linea rossa che oggi unisce il mainstream alla tanto amata Club Culture? Quali sono gli elementi sottratti? Quali quelli che si prestavano a questa operazione? E quali quelli che viviamo ancora oggi come forzature?

Con le giuste cautele, grazie alla nostra inviata speciale Rozz Ella abbiamo raccolto il pensiero di un altro giovane e brillante imprenditore locale “Alessandro Nuzzo”, gestore dello storico Caino a Pisa.

Prima di lanciarci nell’intervista vera e propria occorre una premessa ulteriore: su Under-blog parliamo di Arte, Musica, come quella elettronica e di tutto ciò che che possiamo definire contro cultura. E lo facciamo con la passione del ricercatore innamorato della qualità. Per questo non siamo soliti a rappresentare retoriche mainstream.
Forse perché in prima battuta è proprio il mainstream lo spirito in antitesi dal quale parte la nostra fuga da quel rumore di fondo che ha svuotato di significato i luoghi che amiamo in favore di “facili giochetti di pancia” (cit. Carlo Affatigato). Tuttavia riteniamo maturo il cercare di spingersi anche oltre il confine del nostro settore per scoprire qualcosa di nuovo, mantenendo quindi un sano contraddittorio tra mainstream e underground almeno laddove riconosciamo elementi di qualità anche tra le proposte più commerciali.
Forse perché anche fuori dal muro ci sono elementi preziosi da recuperare per riscrivere una nuova pagina per la Club Culture.
Lumiere Mainstream
Lumiere Pisa, ZooStaff
Ciao Alessandro, cosa è per te la Club Culture?

“Club” e “Culture” sono due parole che appartengono a due mondi infiniti che si uniscono e si intrecciano in perfetta armonia. Descrivono un movimento culturale che ruota intorno ad un linguaggio universale: LA MUSICA, in tutte le sue sfaccettature.

Quel linguaggio capace di unire diverse culture e nazionalità. Quel codice che arriva dritto al cuore per regalare emozioni, sogni, nuove conoscenze, opportunità e soprattutto nuove storie. La club culture racchiude stili musicali diversi, ognuno capace di dare un colore e una tonalità differente per ogni genere di pubblico.

Dal magico mondo della musica dance alle emozioni dei live, passando anche per gli “happy hour”,  ormai sempre più apprezzati in Italia. Capaci di abbinare il mondo della musica al gusto di un aperitivo, ad una pausa relax e all’arte del “mixology”, con cocktail innovativi che si sposano ad ogni situazione e stato d’animo. Proprio per questo ho sposato il concetto di Club Culture nella sua completezza e in diversi ambienti: dalle cene e dagli “happy hour” con il Caino di Pisa, agli aperitivi in riva al mare dello Zen Beach di Gallipoli. Dalle grandi notti del Giovedì del Lumiere Pisa, a quelle frizzanti dell’Estate in Salento con il Ten Gallipoli.

Ogni fase della serata può essere scandita da un ritmo diverso, ogni attimo è quello giusto per creare nuovi spazi culturali, per condividere esperienze e confrontarsi continuamente sulle questioni di vita quotidiana. Ogni attimo ricorda un momento da raccontare, un aneddoto, un viaggio, una nuova lezione di vita.

Tante volte quando mi capita di descrivere un live o un dj set mi piace definirlo come un viaggio musicale che abbraccia diversi momenti e anni della nostra vita, un viaggio creativo ed educativo che stimola la fantasia e ci aiuta a rivalutare determinate situazioni che ci hanno resi protagonisti in questa società.

Lumiere Mainstream
Lumiere Pisa, ZooStaff
Un disco che la rappresenta? 

Il 2006 è stato proprio l’anno in cui ho iniziato a sposare il mondo della Club Culture, proprio per questo scelgo un disco di quel periodo per me ricco di significato. Qualcosa iniziava a cambiare nella mia vita e ad assumere un ritmo ben chiaro. Il disco è “I’m really hot” di Missy Elliot e Timbaland, remixato magistralmente dal dj Antonio Ferrari, in arte Ralf. Grande maestro Italiano dell’House Music, un genere che ha segnato una svolta musicale nel mondo del club: da Chicago a Londra e naturalmente anche in Italia.

Le persone frequentano sempre meno i club, molti chiudono anche in paesi ‘avanti’ come la Germania, cosa potremmo fare qui? Cosa manca? Cosa andrebbe cambiato?

Bisogna analizzare la questione dalle basi e capire attentamente la psicologia del pubblico. Ho iniziato il mio “viaggio” nel mondo del club a 18 anni. In 14 anni il mondo è cambiato e si è trasformato senza sosta. La tecnologia compie passi da gigante e cambia l’approccio, la mentalità, l’idea della gente nei confronti del clubbing. I miei primi passi li ho compiuti nel mondo delle pubbliche relazioni, a mio avviso fondamentali per studiare bene ciò che la gente desidera.

Ho iniziato a Gallipoli, città cardine del mondo dell’intrattenimento, che mi ha insegnato tanto e tutt’ora continua a darmi nuovi spunti.

Ho iniziato instaurando contatti diretti con le persone. Partendo dalla classica stretta di mano sono nate grandi amicizie, ho continuato a trasmettere il mio amore per il mio lavoro. Ho cercato di capire come si evolve la società in base ai cambiamenti.

Anche il mondo della comunicazione infondo rientra in un percorso culturale, rappresenta il biglietto da visita di un club. Senza comunicazione non si potrebbe fare Club Culture. In questo modo, nel mio piccolo e tramite le interazioni, riuscivo tante volte a comprendere cosa la gente chiedeva, quale genere di club poteva piacere, come organizzare una serata a 360 gradi: dalla musica agli effetti, dal personale all’ambiente accogliente e coinvolgente.

Mi sono immedesimato sempre nello sguardo e nelle aspettative del cliente.
E qui noi aggiungiamo che questi sono elementi fondamentali sia per l’Underground che per il Mainstream, ma spesso nel mondo dei Club Underground sono andati a perdersi. Spesso dall’altro lato della barricata si pensa che basta la “musica” e ci si stupisce quando il pubblico si porta da bere da casa. Forse la verità sta nel mezzo. Ovvero a fronte di pochissimi operatori che hanno saputo rinnovarsi nel tempo e adeguare le proposte artistiche ai cambiamenti, sono subentrati tanti operatori più improvvisati che col pensiero di “apro un bunker tutto buio con un mega impianto e tanto il resto lo fa la gente” hanno progressivamente contribuito a distruggere quella scintilla iniziale.

La crescita del mondo dei social network ha generato inconsciamente un distacco del mondo del club dal proprio pubblico, inizialmente sottovalutato e dopo sempre più crescente. È un peccato! Penso che il corretto utilizzo del social può divulgare una serata ricca di significato o un live esclusivo, ma non basta. Un gestore di un club o un organizzatore dovrebbe conoscere meglio la propria clientela e interagire direttamente, di persona, con le associazioni, con i gruppi di studenti, con la gente che apprezza questo mondo e anche con chi non lo apprezza, con l’intento di incuriosire e avvicinare nuova gente al proprio club. Bisogna armarsi sempre di pazienza e capire bene che una persona si sente a casa propria quando è coccolata, ed è una cosa normalissima. Inoltre bisognerebbe creare un legame tra la clientela e il club, promuovendo un prodotto musicale valido, proponendo “dj o artisti homemade”, ai quali affezionarsi, attuando un servizio impeccabile a partire dal personale con l’obiettivo di creare una famiglia all’interno del club stesso che trasmetta entusiasmo e valori importanti alla clientela. Ne approfitto per salutare il mio staff e i miei compagni di avventura che sono la mia seconda famiglia.

Ci teniamo a sottolineare che si tratta di un altro tema fondamentale che Alessandro tocca con la giusta delicatezza. Spesso sia nell’Underground che nel Mainstream parliamo di qualità ma poi ci dimentichiamo degli artisti locali, delle scene, di coloro che contribuiscono ad alimentare la scintilla a favore dei grandi nomi o dei facili incassi. Questo avviene in tutti e due i mondi paralleli. Siamo d’accordo con Alessandro che bisogna ripartire dalla scena locale. Lo diceva anche il nostro caro amico Fonx Fonzarelli in questa intervista per BtW.

È importante anche investire periodicamente su ospiti speciali, capaci di aumentare il blasone del club, ma senza dimenticare che l’afflusso continuativo della gente non deve assolutamente dipendere solo dalla presenza o meno dell’ospite. La creatività fa sempre la differenza.

Infine servirebbe una maggiore tutela da parte delle nostre istituzioni nei confronti del mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento, si tratta di investimenti importanti sulla cultura e sull’educazione del mondo giovanile. Serve una maggiore promozione della club culture made in Italy. Infine ci vorrebbe più unione, collaborazione e cooperazione tra i vari club presenti nella stessa città, per valorizzare il territorio e attrarre un bacino sempre più ampio di turisti. All’aumentare delle proposte di qualità, aumenta il bacino di gente.

Nuzzo Mainstream
Alessandro Nuzzo, Lumiere Pisa

Ora più che mai, in fase di pandemia, questo settore avrebbe bisogno di una grossa mano per poi essere rilanciato in grande stile. Lo meritiamo, e lo merita quel motore che lavora duramente dietro le quinte per dar vita allo spettacolo. Noi nel nostro piccolo cerchiamo di non fermarci e di nutrire tanta speranza per il futuro.

Sono diverse le iniziative social che stiamo proponendo durante il lock-down: dalla diretta del Giovedì Universitario di Pisa, alla diretta musicale della Domenica del Caino: il dj set di Marco Ruscio, tutto in vinile, con suoni ricercati, che servono a ricreare l’atmosfera dei nostri aperitivi. Per non parlare delle immagini condivise sui nostri social, con l’intento di ricordare serate speciali o momenti indimenticabili come una festa di laurea o una ricorrenza particolare. Tutto questo per infondere positività, in attesa del ritorno. Infondo, come dice Ligabue, “certe luci non puoi spegnerle”.

Quale è la Club cultura che vorresti? 

Mi piace vedere la club culture come un laboratorio e un’esplosione di idee. Un mondo in continua trasformazione, che non conosce limiti e che porta a reinventarsi continuamente, anche nei periodi più complicati. Infondo dalle difficoltà nascono sempre idee innovative. Basta non tralasciare la cura del dettaglio e la qualità, con l’obiettivo più importante di tutti: TRASMETTERE UN’EMOZIONE.

Caino mainstream
Caino, Pisa

Ringraziamo Alessandro per il suo contributo e li facciamo un grosso in bocca al lupo per tutto.

Crediamo, come emerge tra le righe che ci siano oggi molti più aspetti in comune tra chi opera – anche se in antitesi – per offrire socialità e contatto umano al centro del proprio mondo (innovazione, comunicazione diretta, utilizzo mirato delle tecnologie). Il mainstream ha saputo lavorare proprio su questo elemento, ovvero ricreare quella famiglia sociale allargata e quell’energia su cui poi instaurare legami. Se nell’Underground questo è sempre stato un elemento spontaneo, oggi è forse uno degli ingredienti mancanti. C’è chi sostiene che non si può recuperare ciò che è stato o vivere di nostalgia in eterno, verissimo. Tuttavia la domanda chiave è come alimentare nuovi movimenti spontanei e aggregazioni capaci di illuminare nuovamente le nostre notti e non solo. Tra le parole di Alessandro emerge lo stesso fascino per la Club Culture che possono avere anche le persone più lontane dalla sua proposta culturale. Certo non si può vivere di luce riflessa, tuttavia a noi piacerebbe tanto recuperare nel nostro piccolo quel bagliore originario.


Links:

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Caino sito Web Ufficiale


Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

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    Fabio Meini 5ve records

    Fabio Meini

    5 dischi che hanno cambiato la storia delle sonorizzazioni e della musica da film!

    In questo quarto appuntamento con #5ve_R! vi presentiamo 5 dischi che hanno segnato il passo nella storia della musica italiana e non solo. Parliamo di sonorizzazioni e colonne sonore e lo facciamo con un’artista poliedrico, per noi un’autorità sul genere.

    Fabio Meini è prima di tutto un appassionato di Cinema. Da lì nasce la sua spinta come ricercatore di musica da film e sonorizzazioni italiane. Ma è anche un abile scrittore e poeta. Inizia con la prosa in vernacolo per i Gatti Mezzi, suo il testo della famosa “Caciucco Blues”. Successivamente sforna quattro libri: “Novelle per bimbetti cattivi”, “Cacciucco Blues e altri versi in pisano”, “I vivi e i morti” con illustrazioni di Andrea Pioli e “Vattro (Gocce di Paura)” in collaborazione con l’artista pisana Daria Palotti. Ma non si ferma con la scrittura. La sua passione lo porta anche a recitare, una piccola parte nel film “Sogni di gloria” di John Snellinberg, e altre parti in videoclip dei Calibro 35 e Tommaso Tanzini.

    In campo musicale dopo anni di dj set specializzato in musica degli anni 70, crea il progetto “Quando finisce la musica, spara!” insieme a VJ Giordz dando vita ad un vj-set cinematico sonorizzato in vinile.

    #5VE_R!
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    Break the Wall

    Giovanni ‘Giangi’ Natalini aka Co-Pilot

    La musica come un mantra, come urgenza di comunicare qualcosa

    Ed è proprio quando sei stanco dell’ammasso informe di musica che oggi abbiamo a disposizione grazie al web che accendi il Co-Pilot-a; poi doppiamente curioso se ti fai guidare da Break the Wall e allo stesso tempo scopri alla guida un talento come Co-Pilot.

    ‘Giangi’ natalini è di sicuro una delle sorprese più interessanti della nostra quarantena. Si parla di Musica, quella con la M grande. Basta poco, buttate un orecchio sull’incipit della sua “Suburban Retro Wave Superstar” brano uscito nel suo ultimo lavoro D.Y.I per per Weme Records che trovate qui.

    Inoltre recentemente ha registrato un live set in esclusiva per l’etichetta New Interplanetary Melodies di Simona Faraone.

    È un grande piacere per noi poterci confrontare con ‘Giangi’ grazie a #BtW e assieme provare a riscrivere un altro pezzetto di storia verso una nuova CC! (qui il precedente numero).

    Chi sei? Descrivi te stesso in poche frasi

    Giovanni ‘Giangi’ Natalini aka Co-Pilot. Co-Pilot è il mio co-pilota, quello che ha sempre la soluzione, quello che sa sempre cosa fare, il Mr. Wolf della situazione. Co-Pilot ‘può esse piuma ma puo’ esse anche fero’.

    Quale musica elettronica ti rappresenta?

    Beh ce ne sono molti di sottogeneri che mi potrebbero rappresentare in qualche modo: dalla techno anni ’90 alla minimal odierna, dalla deephouse alla downtempo per passare all’afrobeat, dalla drone music alla field music fino alla glitch.

    Quando è iniziato questo amore?

    Premetto che il mio background ancestrale è per lo più punk/hardcore/alternative: ho tatuate le tre bandiere nere dei Black Flag 🙂 ma… mi ricordo che fui spiazzato da un fuori programma di Mike Patton nel live at Brixton Academy dei Faith no More: sul finale della song ‘Epic’, che finisce con un giro straziante di pianoforte di Roddy Bottum, il buon Mike intonò un cantato che nella song originale non c’era… così andai a spulciare forum, notizie e cose varie su quel live e scoprii che era l’inciso di ‘Pump up the Jam’ dei Technotronic. Da lì iniziai ad approfondire la techno anni 90 e posso affermare che gli LFO sono coloro che mi hanno svezzato riguardo la musica elettronica (tra l’altro sto lavorando a un re-edit dell’omonima track LFO).

    diy ep by co-pilot - musica
    Copyright – Co-pilot
    Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre?

    Non sono propriamente la persona giusta per affrontare questo argomento, ma conosco abbastanza bene il mio territorio (il Ternano) e le sue dinamiche e posso dire che negli ultimi tempi (ovviamente prima del virus) i club li possiamo contare sul palmo di una mano e sono per lo più abbastanza generalisti. Parliamo di house e commerciale. Vedo più gente all’aperitivo che nei club…

    Quali sono le principali criticità?

    La criticità è l’interesse. L’esempio è quello classico del bottone ‘partecipa all’evento’, poi ci va ¼ di quelle persone. Un’altra criticità è il ricambio generazionale: ci sono pochi ragazzi che si ‘accollano’ l’organizzazione di eventi, vuoi per i 1000 impedimenti della burocrazia mediocre italiana, vuoi per la poca voglia di mettersi in gioco, a parte qualche eccezione.

    Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture?

    Beh ad esempio voi siete l’eccezione a cui facevo riferimento sopra. Si può migliorare solo facendo rete, creando le famose ‘Scene‘. Però le scene si formano dando spazio e credito agli artisti locali, cosa che difficilmente succede… c’è un certo snobismo molte volte da parte di realtà locali anche affermate che invece di dare risalto o aiutare la scena locale, cercano sempre e soprattutto all’estero per un pregiudizio di base e perchè fa figo. Poi, l’artista grande ed estero va bene, ma gli devi mettere al fianco quello locale per far crescere la già citata ‘SCENA’ altrimenti è solamente un ‘culto della personalità’ (Living Colour) degli organizzatori.

    diy ep by co-pilot - musica
    Copyright – Co-pilot
    Quali sono gli aspetti positivi del fare musica al giorno d’oggi?

    Beh ovviamente l’aspetto positivo che si può riscontrare oggi rispetto al passato è la presenza della tecnologia e dei media/social che in qualche modo aiutano l’artista nuovo a farsi minimamente conoscere. Ma il rovescio della medaglia è che c’è una tale confusione e una tale massa informe di artisti che è difficilissimo emergere. Siamo bombardati da milioni di input ed output (zoolander) che non riusciamo più a distinguere cosa c’è di buono e no. Comunque sia, la cosa importante del fare musica, che è un mantra per me, è che la musica deve essere un’ urgenza: devi avere qualcosa da dire altrimenti è un esercizio di stile.

    Quali sono le sensazioni che hai verso il tuo ultimo EP / album?
    diy ep by co-pilot - musica
    Copyright – Co-pilot

    Le sensazioni verso DIY sono molto positive : riesco ancora ad ascoltarlo piacevolmente senza skippare dopo averlo provato, registrato, ascoltato, suonato milioni di volte 🙂 Sono sbalordito più che altro che viene apprezzato parecchio nell’ambiente techno! Poi comunque sono contento che sta avendo nel suo piccolo molti ascolti da vari tipi di ascoltatori, dai DJ a chi ascolta prevalentemente rock: a proposito di DJ, l’altro giorno mi sono arrivati i DJ Feedbacks della PR agency che sta seguendo l’uscita dell’ep e tra questi c’era un certo LAURENT GARNIER che ha scritto ‘very interesting music’. Te l’ho detto all’inizio: Co-Pilot ‘può esse anche FERO’ ! 😉


    Links:

    https://soundcloud.com/copilotismycopilot https://copilotismycopilot.bandcamp.com/releases https://www.instagram.com/copilotismycopilot/


    Edited by Roberta Ada Cherrycola

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      Giosuè Impellizzeri Break the Wall

      Giosuè Impellizzeri

      Nessun spazio all’improvvisazione, ma più lavoro di squadra e scambio di competenze per scrivere una nuova pagina.

      Possiamo davvero – tutti insieme – pensare di scrivere una nuova pagina per la Club Culture nel nostro paese. Anche se non esiste una ricetta specifica da cui partire, abbiamo dalla nostra le conoscenze e l’esperienza di diverse persone dotate di grande spessore umano, artistico e culturale.

      Giosuè Impellizzeri è sicuramente tra queste. Per gli artisti o i lavoratori culturali figure come quella di Giosuè rappresentano delle guide fondamentali, così come per gli appassionati che cercano nutrimento costante per placare l’insaziabile sete di conoscenza. Prendendo in prestito due versi a me cari di Eugenio Montale, il suo “scrivere” è come il “mastice che tiene insieme questi quattro sassi“. Uno di quelli che ha attraversato due decadi di storia musicale scrivendo tantissimo su riviste cartacee specializzate e svariate webzine. Ma non solo, ha prodotto musica su etichette italiane e internazionali, ha curato festival e realizzato una serie di set mixati per vari network radiofonici.

      Suo il libro Gigolography. The International DeeJay Gigolo Records History Book su una delle figure chiavi per la Club Culture, Dj Hell, uscito per CRAC Edizioni, così come altri lavori sulla musica elettronica raccolti nella collana Decadance e realizzati assieme a Luca Giampetruzzi.

      Gigolography. The International DeeJay Gigolo Records History Book

      È un grande onore per noi poterci confrontare con lui tra queste pagine e attraverso le diverse domande di #BtW giungere assieme ad una nuova consapevolezza, muovendo un ulteriore passo avanti nel tentativo di contribuire a riscrivere una nuova pagina di CC! (qui il precedente numero).

      Chi sei?

      Mi occupo di musica elettronica e DJ culture da oltre vent’anni. Nel 1996 ho iniziato a scrivere con una vecchia Olivetti le prime recensioni che inviavo speranzosamente via fax alle redazioni di vari giornali. Nel corso del tempo mi sono dedicato anche alla composizione, alla radio, alla discografia e alla scrittura di libri, con una particolare predilezione per l’archivistica e le storicizzazioni, probabilmente derivata dagli studi universitari. In sostanza mi considero un appassionato desideroso di approfondire le conoscenze, in modo quasi scientifico, sulle cose per cui nutro interesse tra cui, ovviamente, la musica.

      Quale musica elettronica ti rappresenta?

      Difficile dirlo, è come chiedermi di estrarre dalla collezione il disco preferito. Essere nemico della monotematicità inoltre non mi aiuta a dare una risposta secca. Direi comunque da “Autobahn” dei Kraftwerk in giù, considerando il gruppo tedesco tra i principali “motori” di gran parte di ciò che è avvenuto all’elettronica dopo essersi smarcata dalla posizione più strettamente accademica delle decadi precedenti.

      Kraftwerk – We are the Robots
      Quando è iniziato questo amore?

      Credo intorno al 1988, ma inconsapevolmente. A livello intenzionale invece indicherei il 1992, quando iniziai a comprare dischi (usati) per cimentarmi in mixaggi domestici. Raccattavo, per poche migliaia di lire, materiale di scarto di altri aspiranti DJ del mio paese, ben felici di sbarazzarsi di dischi che non avrebbero più potuto usare durante le feste casalinghe che si organizzavano negli anni delle scuole medie. Tra quelli trovai “Move Your Feet To The Rhythm Of The Beat” del compianto Hithouse, uscito nel 1989.

      Lo ascoltavo decine di volte cercando di capire come si potesse “assemblare” una musica simile che mettevo agli antipodi di ciò che invece stavo apprendendo studiando il pianoforte, sin dal 1986. Un effetto ancora più dirompente lo provai attraverso la copertina di quel disco che, in una sorta di maxi tavola fumettistica, lasciava scorgere l’interno di uno studio di registrazione allestito in casa. Quelle “diavolerie” piene di pulsanti, leve e cursori alimentarono la mia curiosità per un mondo arcano e letteralmente tutto da scoprire.

      Cosa ne pensi della cultura in Italia legata alla musica e in particolare alla scena che segui?

      Dipende da cosa si intende per “cultura”. È sufficiente snocciolare la paternità di campionamenti seppur già svelati su WhoSampled? Identificare l’anno di uscita di un disco con un occhio fisso su Discogs? Fare un sunto o un copiaincolla di un capoverso di Wikipedia per descrivere un artista o un particolare periodo stilistico? Può forse ritenersi un divulgatore culturale chi scopiazza, per giunta male, libri ed articoli o realizza interviste compiacenti a personaggi famosi di turno col fine di accattivarsene le simpatie? Eppure c’è più di qualcuno, includendo persino chi si considera un appassionato, che di fronte a tutto ciò si mostra entusiasta, perché evidentemente considera “culturali” questo tipo di contenuti.

      “È sufficiente snocciolare la paternità di campionamenti seppur già svelati su WhoSampled?”

      Personalmente ritengo che la cultura musicale affondi le radici nella ricerca (autentica, non derivata dall’incrocio di una manciata di clic su Google), nella conoscenza (che per fortuna non è downloadabile ma frutto di esperienza accumulata in anni) e nell’imparzialità e capacità di analizzare criticamente anche più scenari stilistici senza spocchiose contrapposizioni da sterili battaglie ideologiche. La cultura musicale, per me, resta tale a prescindere dal campo di applicazione, che si parli dei Drexciya o dei 2 Unlimited, piuttosto che di Jesse Saunders o degli Oppenheimer Analysis, o degli Ace Of Base o Jimi Tenor. L’importante è muoversi col giusto intento, spirito, competenza e consapevolezza.

      “..che si parli dei Drexciya o dei 2 Unlimited, piuttosto che di Jesse Saunders o degli Oppenheimer Analysis, o degli Ace Of Base o Jimi Tenor. L’importante è muoversi col giusto intento, spirito, competenza e consapevolezza”

      A malincuore però giungo all’amara conclusione che la deculturalizzazione abbia avuto la meglio in Italia, ma con uno “storico” come il nostro era utopico sperare nel contrario. Nei decenni passati i media tradizionali (stampa, radio e tv) non hanno di certo aiutato, tolte poche eccezioni, a far emergere aspetti culturali legati al nightclubbing e alla musica correlata, puntando piuttosto a lucrare nel momento propizio per poi abbandonare il “giocattolo” una volta rotto e riprenderlo quando faceva più comodo. In assenza di un modello genuinamente ed autenticamente culturale che fungesse da traino, nell’immaginario collettivo si è insinuata una lunga serie di luoghi comuni che sarà arduo, o forse impossibile, estirpare.

      “il grande pubblico e gli ambienti generalisti hanno iniziato a riconoscere ai disc jockey il ruolo di professionisti proprio quando di professionismo se ne lamenta la mancanza.”

      Dalla house intesa come stile messo in piedi da non musicisti incapaci e costretti a ripiegare su campionamenti di brani altrui, alla techno, ossessionante martellio privo di senso, dalla discoteca, girone infernale e teatro di dissolutezza, ai DJ, più vicini ad un hobby dopolavorista che ad una professione vera e propria. Paradossalmente il grande pubblico e gli ambienti generalisti hanno iniziato a riconoscere ai disc jockey il ruolo di professionisti proprio quando di professionismo se ne lamenta la mancanza. In un quadro simile di cultura ne vedo davvero poca e se è vero che si raccoglie ciò che si semina, appare evidente che il campo sia stato seminato male o per niente.

      Quali sono le principali criticità?

      La musica in Italia è marginalmente considerata una forma culturale, figurarsi quella elettronica e prevalentemente utilizzata nelle discoteche. È un settore scarsamente riconosciuto anche dalle istituzioni, come del resto avviene a tutte quelle attività creativo/artistiche o intellettuali. È quindi facile intuire la ragione per cui sia così diffuso un pressappochismo allarmante e disarmante. Che dire poi di quegli addetti ai lavori (o presunti tali) che continuano ad alimentare plateali inesattezze o incongruenze storiche con nozionismo spicciolo? E i tanti magazine completamente disinteressati a finalità educative, didattiche e formative? Si può pensare di combattere l’ignoranza ed essere presi sul serio pubblicando un articolo che descrive la Love Parade come «evento organizzato per festeggiare la caduta del Muro di Berlino»?

      L’Arte, così come il lavoro culturale di chi fa musica, la suona oppure la mixa sono considerati aspetti marginali in Italia; scarsamente riconosciuti dalle istituzioni emerge il bisogno di scrivere e di parlarne.

      Persino in discoteca le cose sembrano complicarsi perché pare essersi sensibilmente assottigliato il numero di locali in cui poter avanzare proposte diverse dalla prevedibilità del mainstream, e ciò è avvenuto perché molti art director hanno smarrito la progettualità ma soprattutto la visione di un intrattenimento “illuminato”, lasciandosi conquistare da obiettivi economicamente più vantaggiosi.

      Nel frattempo la club culture, un tempo vista di traverso dai benpensanti e conservatori, è stata cannibalizzata dal pop ed è diventata un grosso affare dato in pasto alla cultura di massa. La club music si è quindi affrancata ed emancipata uscendo dal circolo esclusivo delle discoteche mentre una parte di DJ non viene più annessa ai personaggi di serie b anzi, recentemente alcuni particolarmente noti, strapagati e brandizzati sono stati definiti le “rock star del nuovo millennio”.

      “La club culture è stata cannibalizzata dal pop ed è diventata un grosso affare dato in pasto alla cultura di massa.”

      Per certi versi però il “Dio DJ” che profetizzarono i Faithless nel 1998 è finito col diventare una parodia di ciò che era in origine. Consacrarsi a livello generalista ha voluto dire rinunciare all’autenticità perché, è bene rammentarlo, il divismo da stadio e il DJing non avevano molti punti in comune. Come scrissi già nel 2016, avremmo potuto parlare di rivoluzione se il DJing avesse scardinato la spettacolarizzazione delle rock band ma sembra invece che ne abbia semplicemente preso il posto.

      Quella che molti indicano trionfalmente come rivoluzione insomma, assomiglia più ad uno scambio di ruoli che ha acuito ulteriormente il livello di criticità culturale. Che fine farà il disc jockey quando la grande industria dell’intrattenimento, che ora lo ha eletto come archetipo del trascinatore di folle, si stancherà e sarà in cerca di una nuova figura da mitizzare? L’idolo di milioni di giovani rischierà di essere declassato a banale pigiatasti mandando in fumo la credibilità di quella che nacque come virtuosa espressione artistica?

      Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale stato delle cose e scrivere una nuova pagina?

      A dispetto del distanziamento sociale imposto dalla pandemia che viviamo da qualche mese, credo sarebbe fruttuoso l’assembramento (non fisico ovviamente!) ossia fare squadra e sistema allineando chi è mosso dagli stessi intenti e soprattutto dalla medesima passione, perché in Italia esiste eccome uno zoccolo duro di autentici appassionati preparatissimi in materia, sebbene spesso sottovalutati e sottostimati.

      La speranza non manca, serve coordinamento ed esperienza per scrivere una nuova pagina!

      Questa prospettiva però, pur auspicata da tempo immemore, continua a non trovare facile applicazione nel nostro Paese dove si preferisce coltivare il proprio orticello e non dividerlo con altri per creare realtà più solide. Il resto lo fa (purtroppo) l’invidia, che mi pare un male particolarmente radicato nel settore, ed una competizione malsana che mira a soddisfare solo interessi e tornaconti personali.

      Quali sono i pro (e i contro) delle eventuali operazioni da fare per migliorare la situazione?

      Mi piace vedere solo i pro dietro un propositivo lavoro di squadra. Unire le forze, mettendo quindi a disposizione del team le proprie competenze, potrebbe equivalere a perfezionare ogni aspetto dell’operato. Poi lo scambio vicendevole di opinioni è costruttivo, un sano confronto aiuta a maturare e a superare i propri limiti.

      Quali sono gli aspetti positivi del lavorare nell’ambito della musica al giorno d’oggi?

      Anche in questo caso dipende dall’approccio che si riserva alla musica e al mondo che gravita intorno ad essa. C’è chi cerca successo e popolarità, chi donne, chi denaro, chi appagamento per sfamare il proprio ego. Io nulla di tutto ciò ma di aspetti positivi ne potrei elencare tanti come il rapportarsi con persone provenienti da ogni parte del globo, allargare i propri orizzonti ma soprattutto scoprire senza sosta cose nuove. Ad alimentare da sempre la mia attenzione e il mio interesse per ciò che faccio è esattamente il piacere per la scoperta e la musica, come tutte le espressioni artistiche, resta una fonte inesauribile di meravigliose scoperte.


      Links:

      Decadance il blog realizzato dallo stesso Giosuè.

      “Gigolography. The International DeeJay Gigolo Records History Book” e recensione del libro su ondarock

      Pagine Autore di Giosuè su DJMAGITALIA, Soundwall


      Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

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        Brucio - autonomia Factory Asks

        Marco Degl’innocenti

        Underground come ricerca della propria autonomia

        Con estremo piacere vi portiamo oggi alla scoperta dei pantoni segreti di un talentuoso artista a cui siamo molto affezionati. Marco è uno che l’underground o le produzioni dal basso, o meglio ancora, le autoproduzioni le vive in totale autonomia. Lui si distingue con quell’intensità e passione che è davvero rara da trovare in giro oggi come oggi. Lui si fa chiamare Brucio.

        Inizia la sua carriera nel 2008 disegnando per diversi festival musicali e LP.

        Nel 2009 inizia a esporre le sue opere in locali e Festival in giro per l’Italia. Fin dall’inizio il suo lavoro si estende su diverse aree del design e dell’arte, pittura acrilica, illustrazioni di libri, così come fumetti e graphic novel, volantini e copertine di dischi e decorazioni murali.

        Ha organizzato eventi e mostre d’arte in Liguria e Toscana (molti si ricorderanno la sua mostra a Pisa presso l’Arsenale). In aggiunta, tiene corsi e laboratori su disegno e musica.

        Paint by Brucio
        Come hai intrapreso questo percorso artistico?

        Beh di sicuro in autonomia. Ho iniziato disegnando lettere (Crazy/Bruh/Brucio). Ovvero quel tipo di grafica fatta di outline-inline che mi ha influenzato molto nei fumetti per le linee spesse e nette e nei quadri acrilici per le campiture.

        Disegnare o produrre qualcosa è sempre stato un antidoto alla solitudine e ai pensieri ossessivi, che in questo modo si trasformano in qualcosa che mi fa stare bene sia nell’azione che nel prodotto finale.

        A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

        Se intendiamo “ispirazione” come corrente artistica, allora a partire dal writing anni 90-00 da cui ho imparato le linee e i movimenti taglienti, il fumetto underground italiano degli anni ottanta sia per temi che per atmosfere, e infine l’arte psichedelica (Bad Trip artista mio concittadino in primis per i colori forti e la sensazione di movimento continuo delle opere).

        La distorsione da “fumettaro” mi fa ricercare sempre storie diverse

        Tuttavia devo dire che l’ispirazione vera e propria della mia produzione è da ricercare di più nella vita quotidiana. Questo perchè la distorsione da “fumettaro” mi fa ricercare sempre storie diverse nelle persone interessanti che incontro. Immaginate gli inconvenienti che mi capitano, e così mi ritrovo nelle incomprensioni e nella voglia costante di scappare via da tutto, mi perdo in paesaggi vivi, psichedelici e vuoti allo stesso tempo.

        Paint by Brucio
        In quanto “artista” qual’è la tua massima aspirazione?

        Forse cercare di far capire quello che c’è dentro i quadri e i disegni.

        Lo sforzo il lavoro di ricerca in autonomia continua per trovare una tecnica originale e un modo diverso di fare le cose, tra cui anche riuscire a camparci non mi dispiacerebbe, ma questo è un altro discorso eh!.

        C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

        Produco un sacco di disegni diversi, per capirsi, dai volantini dei miei amici della mitica “Baracchetta” a Lerse, fino ai fumetti e ai quadri.

        Quando ero più giovane mi interessava di più dare un’interpretazione univoca. Spesso polemica e critica della  realtà, (il mio amico Baldu diceva che prima facevo dei disegni più intelligenti).

        Ora mi interessano più le suggestioni. Dare due input per innescare un ragionamento aperto più che esprimere un messaggio o una soluzione a qualcosa che dipende da dinamiche che non conosco (logico che delle idee di fondo ci sono).

        Forse l’unico modo in cui mi sentirei snaturato sarebbe quello di cercare di dare un’interpretazione univoca della realtà imposta da altri...

        In questo senso la pubblicità mi mette un po’ in difficoltà (diverso è il caso della Baracchetta dove condivido tutto il modo di fare), oltre probabilmente a non avere i mezzi tecnologici per farla in quanto disegno per lo più a mano e preferisco usare il computer il meno possibile.

        Paint by Brucio
        Che cosa vuol dire underground per te?

        Ho sentito recentemente una trasmissione su Radiorogna dove parlavano di quando la parola underground è stata iniziata ad usare in relazione ai movimenti culturali e in opposizione alla cultura di massa e dell’intrattenimento (mi sembra 1961, Duchamp).

        Oggi spesso viene forse usata a sproposito o non ha un confine definito, forse è sempre stato così o forse è proprio così.

        Negli anni culture che si potevano definire “underground” sono state metabolizzate

        Rimasticate e riproposte in una veste diversa a livello mainstream, dalla moda alla musica, basti guardare la cultura hiphop, la street art ma anche la musica Dark, l’Indie e tante altre…

        Per quel che mi riguarda ho sempre preferito cercare di tenermi un po’ fuori dai tormentoni e da quelle espressioni facilmente etichettabili che spesso magari garantiscono un successo più facile o un accesso più semplice a quelli che sono i circuiti “alternativi” in termini di serate eventi ecc…

        Nel momento in cui tutti vogliono fare la stessa cosa è probabile che la qualità si diluisca o lo stesso messaggio possa essere usato per veicolare altri significati così come la stessa parola può avere più significati.

        Forse per me “underground” significa proprio una diversità di approccio e un’autonomia di contenuti rispetto a quelle che sono le correnti più in voga in un determinato momento storico.

        Questo non vuol dire che la mia produzione abbia un valore maggiore, anzi!, spesso mi posso permettere di sbrodolare o fare cose a caso per il gusto di farlo.

        Le mie cose non hanno la pretesa di essere “underground”. Alcuni quadri o temi ricorrenti più decorativi e naturalistici, potrebbero rimanere uguali nell’immagine anche se entrassero in un circuito più grande.

        forse, se si esclude l’impacchettamento e il fatto che i supporti son presi per lo più dalla rumenta

        Lo sono perché girano in ambienti diversi dalle gallerie, altro discorso credo che valga per i fumetti più abbozzati e genuini che sono praticamente invendibili.

        Paint by Brucio

        Per paradosso in alcuni casi è il mercato a definire cosa sia una cosa e cosa l’altra. Basta pensare a come certi argomenti oggi di gran moda, in passato erano un tabù, oppure a come certi supporti diventano oggi quasi dei feticci.

        In definitiva: forse mezzi/contenuti/media/moda/mercato/attitudine.
        Nel tempo che stiamo vivendo cosa dovrebbero fare le nuove generazioni?

        Non mi sento nella posizione di dare consigli a nessuno!. Quello che penso l’ho già scritto sopra, buona fortuna…

        Cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro? E che ruolo possono avere i piccoli gruppi e le associazioni come la nostra molto legate al proprio territorio e alla comunità di riferimento, che si muovono nel sottobosco di molte provincie e periferie italiane tra sopravvivenza, controcultura e ricerca di una scena?

        Ora come ora è bigia la situazione tutti a casa, ma le associazioni come PUM, per me sono state sempre un punto di riferimento, basta pensare le tante volte che vi sono venuto a trovare da Spezia e da Firenze a Pisa. Anche a Sp e a Fi ci son associazioni fotoniche Axmo, Three Faces, il laboratorio Artistico o realtà come Mescaleroscrew, Lo-ficomics, TypeKonnektion Crew e tante altre.

        Con questo virus dev’essere pesante andare avanti, soprattutto per alcune situazioni specifiche che non riescono a finanziarsi e continuano ad avere spese fisse.

        Spero che il terreno mantenga fertile oltre che per le associazioni anche per i centri sociali e i piccoli locali illuminati che continuano a far qualcosa di concreto in autonomia tra attività, mostre, laboratori e concerti, speriamo di ri-brindare presto.

        Grazie per la tua disponibilità e la bella chiacchierata Marco, a presto!

        Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista

        Links:

        Telebrucio facebook

        Brucio Instagram

        LO-ficomics

        Mescaleros

        Typeconnection

        Threefaces


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          Populous - Europe-pic-by-Ilenia-Tesoro-scaled.jpg Break the Wall

          Populous

          A metà fra mente e corpo

          Intervista a Populous

          Quale sarà il destino post-pandemia per la cultura e in particolare per tutti gli operatori e lavoratori culturali, di certo non lo possiamo ancora intravedere. Tuttavia, riprendendo le parole di Tim Exile in una sua recente intervista uscita su Medium, sappiamo con certezza che nel 2019, il 96% dei diritti musicali sono stati incassati dal solo 4% dei top musicisti.

          Se e vero che la pandemia ha dato un durissimo colpo a tutto il settore, è altrettanto vero che “l’industria della musica” prima di questo colpo non lavorava comunque per i milioni di musicisti indipendenti e appassionati che, nonostante tutto continuano a fiorire intorno a noi.

          “Un’arte diversa, più giusta e più resistente sta nascendo intorno a noi. Si concentra sulla creazione di comunità piuttosto che di soli contenuti e il blocco globale accelererà i suoi progressi”.

          Allora con questo “ritrovato” slancio non vediamo l’ora di lasciare quello che si potrebbe chiamare un dark past per un migliore e speriamo più luminoso futuro. Su questa linea e in questa direzione, ci muoviamo in questa nuova puntata di Break The Wall con un ospite davvero speciale che ringraziamo di cuore per la sua disponibilità e grande sensibilità.

          Populous è un artista di grandissimo spessore per la scena elettronica italiana e internazionale che si muove sui confini del noto e del sottobosco sin dal 2003, quando esordì con i primi pezzi per l’etichetta di Berlino Morr Music. Lo ringraziamo infinitamente per questo suo prezioso contributo nella ricerca di portare nuova conoscenza nella Cultura Club.

          Prima di cominciare vi ricordiamo qui il precedente numero di #BtW. Buon Viaggio!

          Cosa è per te la Club Culture?

          Penso sia qualcosa esattamente a metà fra mente e corpo. La cultura da club non è solo andare a ballare, è andare a ballare sapendo dove e come farlo. Ma sopratutto sapendo COSA andare a ballare.

          Un disco che la rappresenta?

          Un disco, anzi forse meglio un nome, che mi catapultato in quella dimensione è stato “Leftism” dei Leftfield.

          Letfield - cultura
          Foto Dj MAg
          Quale è la Club Culture che vorresti? 

          Non c’è una cultura che vorrei, non una in particolare almeno. Non mi interessa spingere una scena più di un’altra. Ho i miei dj preferiti, i miei festival di riferimento, i media che consulto più spesso. Questo non vuol dire che non segua anche altro. Sono sempre curioso di sapere cosa succede negli altri dancefloor, cosa balla la gente quando suona tizio o perché vada a ballare su quell’isola o in quel club sotterraneo. L’importante è che ci sia sempre coscienza, stile, ricerca. 

          Populous - cultura
          Populous by Joana Ferreira
          Parlaci dei tuoi ultimi lavori: quali sonorità, quali ritmi stai tirando fuori dal tuo cappello magico?

          Ho passato anni ad ascoltare quella che qualcuno definirebbe “moderna world music”. Sono davvero contento e orgoglioso di questo percorso. Sento di aver raggiunto una sorta di diploma, in cui ho prima studiato, poi testato e infine interiorizzato ritmi non europei. Ora quei ritmi sono parte di me. Ma non ho più voglia ne stimoli nel volerlo mostrare per forza. Non ti verrò più a sbattere in faccia che sto facendo cumbia e dembow, lo faccio e basta perché ormai non me ne rendo più nemmeno conto. Forse il nuovo disco è solo un po’ più dancefloor degli altri. O forse no. Non sono bravo a capire certe cose.

          Nicola Napoli - cultura
          Fonte Rumoremag: Artwork di Nicola Napoli del nuovo album di Populous, in uscita il 22 maggio per Wonderwheel Recordings e La Tempesta International
          Cultura e Arte sono tra le più colpite dalle necessarie attuali misure emergenziali a causa della loro profonda necessità di relazioni sociali, di eventi in-presenza, di partecipazione. Succede però che, in maniera forse inaspettata, si è messo in moto un meccanismo spontaneo in cui si sta diffondendo sempre di più una produzione e una fruizione artistica e culturale online sia a livello quantitativo (un’esplosione di performance, dj- e live-set, ecc.), che qualitativo (il mezzo – telecamere, tecnologie di comunicazione a distanza alla portata di tutti – che dà vita a oggetti culturali nuovi e mai visti). Una produzione e una fruizione dal basso, orizzontale e diffusa. Cosa ne pensi? Sta nascendo un nuovo underground?

          Questa roba stravolgerà tutto. Ovvio che toccherà anche la cultura. Sta modificando equilibri umani, facendo mutare amicizie, relazioni, rapporti lavorativi, tutto. Anche la cultura verrà cambiata. Non ho ancora avuto modo di fermarmi a riflettere, ma è esattamente in situazioni come queste che l’underground (ri)nasce, si rafforza e resta impresso nella mente delle persone. 

          Cosa pensi che ne resterà a emergenza finita (oppure è troppo presto per parlarne)?

          Quando prima dicevo che non avevo ancora avuto modo di pensare era proprio a questo che mi riferivo. La gente imparerà qualcosa da tutto questo? Capirà che c’era qualcosa di profondamente sbagliato nel nostro comportamento? Alcuni si. Ma altri, con quella sensibilità di merda che si ritrovano, ci metteranno un paio di settimane a rimuovere tutto e ricominciare a comportarsi da coglioni. Se questa cosa può in qualche modo essere stimolo per migliorare certi aspetti malati e insostenibili della scena club, ben venga.

          Martina Loiola - cultura
          Pink by Martina Loiola

          Links:

          W sta per Women” insghts sul nuovo album di Populous su Rumoremag

          Il nuovo ritmo di Populous, intervista sul penultimo lavoro dell’artista “Azulejos” (soundwall)


          Rozza - cultura

          Edited by Domenica Carella. Domenica in arte Rozz Ella è una DJ impegnata e appassionata di musica elettronica. Il suo percorso artisitico nasce nella sua città di nascita (Taranto) e si sviluppa a Pisa, nei centri sociali e non solo, legali e non. Da ultimo la vediamo sulle frequenze della bass music con Neanderthal della crew di Space Vandals e come resident per il format ClubCultura al Caracol Pisa. In passato ha collaborato con la redazione di AutAut.

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            Break the Wall

            Direct Y & Nodezero Electronics

            La Musica al Centro, e in particolare l’Electro

            Intervista all’artista e produttore romano Direct Y 

            Oggi ci sposteremo nella musica della Capitale per Break the Wall. Si, avete capito bene, quella Roma della “rave generation” e parleremo di Underground: quello fatto di spazi sociali e di energie positive in cerca di una collocazione “stabile” sul territorio; di Club Culture e di aggregazione. attorno alla musica.

            Oggi esploreremo l’Electro con la “E” maiuscola. Non si tratta di una moda effimera, ma piuttosto di una perpetua parte di un percorso musicale che ha abbattuto le regole del tempo.

            Si avete capito bene! Oggi parleremo di produzione musicale indipendente.

            Lo faremo con un artista davvero interessante e poliedrico, passando attraverso la sua “spaziale” label.

            Oggi vi presentiamo con molto piacere, Fabrizio Rega aka Direct Y che assieme al socio Ivan Zanon (AHK) ha fondato da anni quella splendida realtà musicale che si chiama Nodezero Electronics e nella quale possiamo ridefinire il suo Electro made in Roma.

            Direct Y - Musica
            Nodezero official Logo

            Se vi va di perdervi tra le loro produzioni, vi assicuriamo che ne rimarrete colpiti. Troverete dei suoni “nuovi” ed energici accompagnati a delle ritmiche coinvolgenti e con quel pizzico di oscurità che ti lasciano semplicemente a bocca aperta. Prima di continuare, vi consigliamo di prendere un po’ di tempo. Alzate il volume. Se vi siete persi il precedente numero di #BtW, oppure è la prima volta che vi trovate qui, questa è una rubrica di UNDER-BLOG che vuole portare nuova conoscenza nella Cultura Club, ogni volta con il prezioso e fondamentale contributo degli ospiti che intervengono.

            Un vero e proprio percorso di ricerca nella speranza di contribuire a riscrivere una nuova pagina di CC! Buon Viaggio!

            Chi sei?

            Mi chiamo Fabrizio, sono di Roma, faccio musica elettronica con lo pseudonimo Direct Y e sono un papà.

            Quale musica elettronica ti rappresenta?

            L’Electro.

            Quando è iniziato questo amore?

            Vengo da un quartiere (Ostia Lido) dove nei primi 2000 la mia generazione aveva già un’eredità elettronica che veniva direttamente dal territorio.

            Ad Ostia esisteva una realtà chiamata Spaziokamino (SPZK), che negli anni 90 è stato parte di un movimento culturale “rave”, poi sgomberato nel 2001. Da questa esperienze le energie e i giovani attivi della zona furono dislocate su diverse realtà e posti che non citerò.

            Personalmente ho contribuito con degli amici all’organizzazione di party fatti con energie totalmente locali e senza guests, a meno di qualcuno che aveva più esperienza degli altri. Il contesto prevedeva l’interazione con l’audio, la console, l’acid techno e una non semplicissima gestione di situazioni sociali che includevano il consumo di sostanze stupefacenti.

            “Energie locali, senza guests, e con la musica al centro”

            In quel periodo facevo musica con un collettivo chiamato AudioResistance che già da diversi anni faceva uscite e compilation rivendicando un modello do it yourself e no copyright. Eravamo discretamente attivi sia nella produzione che nell’ascolto di materiale e ci sono ancora testimonianze del lavoro di quegli anni. Anche se non c’era un riferimento ad una vera e propria produzione discografica, molti artisti che parteciparono al progetto erano validissimi e sono tutt’ora attivi.

            Successivamente a quell’esperienza nel 2010 ho creato il collettivo Nodezero che è poi divenuto la label “Nodezero Electronics” portata avanti da me e il mio socio Ivan (AHK) incentrata sullo stile Electro, che ormai era divenuto per me un riferimento che mi permetteva di spaziare tra viaggi cosmici e break più orientati al dancefloor.

            Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre?

            Roma è una grande città e inevitabilmente ci sono diversi club che fanno musica e proposte interessanti, ma è un sistema fatto di piccole organizzazioni, guests e tanto capitalismo.

            Credo che in tutti questi anni non sia stato raggiunto un obiettivo a parer mio fondamentale: quello di alimentare le scene musicali del territorio. La mia città è un grande contenitore di energie e di tanti artisti che non hanno nulla da invidiare a nomi affermati del settore, ma ci sono poche valvole di sfogo, il confronto con la maggior parte dei proprietari dei locali si fa con i numeri e si rischia di incappare in pericolose avventure con alte possibilità di fallimento economico.

            “Bisognerebbe alimentare le scene musicali del territorio”

            La chiave potrebbe essere proprio la lungimiranza dei proprietari e dei gestori di club, chi di questi ha un background specifico ed è spinto dalla passione e dall’amore per quello che sta facendo, ha in mano un’arma potentissima. Bisogna metterci dentro la Culture, altrimenti è solo un Club, per quanto confortevole esso sia.

            Quali sono le principali criticità?

            Forse le ho appena descritte.

            Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture?

            Non credo di avere la soluzione in tasca, probabilmente si tratta di investire cercando di far parte di un network incentrato sulla musica e costituito da produttori, dj, etichette, studi, tecnici, negozi di dischi, uffici stampa, club e distribuzioni, che si supportano a vicenda e mirano a creare solidi rapporti, spinti da un’energia di base: la musica, che dovrebbe essere sempre al centro della narrazione.

            E quali sono i pro (e i contro)?

            Domanda di riserva?

            Quali sono gli aspetti positivi del fare musica al giorno d’oggi?

            Fare musica, come le altre forme d’arte, ci permette di distrarci per un po’ dall’implacabile ritmo della nostra società globalizzata, di prenderne dei pezzi, rielaborarli e “talvolta” rivomitarli con eleganza ed ispirazione.

            Quali sono le sensazioni che hai verso il tuo ultimo EP / album?

            Sono molto positivo (nonostante mentre sto scrivendo le risposte a queste domande mi trovi in isolamento per lockdown covid-19) e nell’ultimo periodo ho collaborato con diverse persone, artisti che sono poi divenuti degli amici. La mia etichetta, Nodezero Electronics, ha diverse uscite su cui lavorare ed è in corso di preparazione “Spin Sonic Division 3”, compilation annuale che rappresenta a pieno la rete che siamo riusciti a costruire partendo proprio dal territorio, che come di consueto conterrà un mio pezzo. Consiglio vivamente di ascoltare la precedente, “Spin Sonic Division 2” a volume sostenuto.


            Links:

            Direct Y – Facebook

            Nodezero – Bandcamp

            Soundcloud

            Facebook

            Direct Y – The Electric Sheep – intervista su The Formant

            Direct Y - Musica
            Direct Y, The Electric Sheep
            BIO (EN – written by Mischa Mathys)

            Direct Y, aka Fabrizio Rega, has forged a unique musical sound from the Electro language of machines. It’s a language the artist knows intricately, translating it for the dystopian club land of Italy through tech-hybrid tracks that range from Electro to four to the floor Techno. Making his initial mark in 2006 with the aptly titled Human Vs Computer, Direct Y cemented the ideas behind his music within the bowels of the no-copyright project, Audioresistance.

            It was through this project where his abstract view of the dance floor was first established, taking its cues from the underground rave scene of Rome and classic science fiction novels. Nodezero followed in 2008 and alongside AHK, Direct Y has been using the outlet to deliver the subterranean sounds of Europe’s nightlife to the world including that of the collective’s two remaining members.

            The project, re-launched in 2012 as the independent label Nodezero Electronics, has been a nurturing environment for both AHK and Direct Y, allowing the latter the freedom to mature and develop his artistry since 2012, and leading to the seminal EP, Electric Sheep.

            Direct Y continues to be a staple in Rome’s underground electronic scene while his work persistently finds new avenues of exploration in the realm of the electronic beat, decoding the language of machines.


            Edited by Daniele V.

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              artista daria palotti Factory Asks

              Daria Palotti

              Manteniamoci sensibili, vibranti, intelligenti e curiosi

              Recentemente su medium siamo incappati in un articolo di Devyn Springer molto interessante che cercava di descrivere il perché le parole “creativo” e “creativi” hanno poco a che fare con l’Arte e l’Artista con un ruolo nel processo di emancipazione, autonomia e indipendenza, andando invece nella direzione opposta, fianco a fianco con il mercato e la visione mercificata e capitalista del creare qualcosa. Questo numero molto illuminante concludeva rinnovando il ruolo dell’artista che con tutti i suoi potenti mezzi oggi come oggi può contribuire attivamente nel cambiare il mondo.

              Siamo molto felici di presentarvi qualcosa che va in questa direzione per Factory Asks. Non occorrono grandi gesti o parole per farvi capire come il processo artistico di Daria Palotti abbia in se i geni della rivoluzione. Basta ammirare le sue opere. Lei un’artista visuale che dipinge e modella, con un tocco sensibile, vibrante e intelligente, funzionale ad instillare il seme della curiosità in chi guarda. In fondo basta poco per attivare la scintilla del cambiamento.

              Per tutti quelli che apprezzano il lavoro di Daria e per quelli che oggi ne hanno scoperto l’esistenza. Per tutti coloro che sono molto curiosi e vorrebbero vederla all’opera, vi ricordiamo che domenica 3 Maggio, qui su #CCTv ospiteremo un live painting di Daria con la musica prodotta dal artista/musicista DEVICE (socializza l’evento).

              Come hai intrapreso questo percorso artistico?

              L’ho intrapreso fin da piccola, un po’ per scelta, un po’ per caso, un po’ perché avevo una predisposizione, e tanto incoraggiamento da parte della famiglia. Perché mi piaceva e continua a piacermi: sto bene quando dipingo, modello, quando in qualche maniera faccio arte. E mi viene da aggiungere che il percorso artistico e il percorso della vita non sono distinti.

              artista daria palotti
              Foto: Daria Palotti al lavoro
              Cosa ispira il tuo lavoro?

              Tutto quello che vedo, vivo, leggo, conosco, ascolto, tutto quello che mi piace e che non mi piace. Mi ispiro a tutto e tutti. Del passato e del presente.

              In quanto “artista” qual’è la tua massima aspirazione?

              Mi fa ridere che scrivi artista con le virgolette, anche perché, le metto sempre anch’io. Quando mi chiedono cosa faccio, solitamente, ci sono queste virgolette che aleggiano e rispondo nominando tutto quello che faccio senza mai usare la parola artista. Come se dire artista, fosse da superbi o fosse troppo, e qualcosa che non corrisponde al vero. Per poi finire a domandarsi: cos’è un artista, cos’è l’arte.. fai davvero arte? Non è artigianato? (Nessun artigiano si mette le virgolette.) Comunque l’aspirazione è… fare solo arte, vivere di arte, produrre arte. E aver sempre voglia e stimoli, di fare arte, e di migliorare sempre.

              C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

              No. La cosa che ricorre c’è, e sono io. Ma non mi sento di essere un messaggio.

              artista daria palotti
              Foto: Daria Palotti, Umano Germinare
              Che cosa vuol dire underground per te?

              Niente.
              Tutto.
              Sottoterra.
              Metropolitana.
              Inghilterra.
              Notte
              Alcol.
              Musica.
              Cultura
              Adolescenza, giovinezza.
              Rientri all’alba.
              Visioni.
              Sonno.
              Sigarette, acre, acredine.
              Punk.
              A bestia e non.

              Nel tempo che stiamo vivendo cosa dovrebbero fare le nuove generazioni?

              Non so cosa dovrei fare io, figuriamoci se so cosa dovrebbero fare le nuove generazioni. Spero che siano consapevoli, antifasciste, e attente ai diritti di ogni minoranza. Pacifisti. Artistici e poetici. Giusti. Impegnati, ecologisti. Ma questo lo spero per le nuove e per le vecchie generazioni. E per me. Ma non è facile fare come si dovrebbe.

              Cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro?

              Bo – Direi che è la risposta migliore, (come nel finale dell’adorato film “C’eravamo tanto amati”). Bo! Non lo so.
              E non è che non lo so adesso, in seguito alla pandemia, non lo so in generale. D’istinto viene da pensar che andrà male, ma forse chissà, ci stupiremo di noi stessi. Comunque la risposta più sincera è “non lo so”. In effetti non so neppure pianificare il mio futuro a breve..da qui a qualche mese. L’altro giorno mi è stato chiesto, così all’improvviso, come m’immagino tra dieci anni..e non ho avuto nessuna risposta. Buio. Non riesco ad immaginare niente di diverso da adesso.
              Come vivere un eterno presente. La domanda mi era stata fatta per stimolarmi a pianificare il presente, per impostare il futuro, ma ha generato “panico”. Va bene pianifichiamo. O almeno proviamoci. Ma cosa aspettarci non lo so.

              artista daria palotti
              Foto Daria Palotti

              E che ruolo possono avere i piccoli gruppi e le associazioni come la nostra molto legate al proprio territorio e alla comunità di riferimento, che si muovono nel sottobosco di molte provincie e periferie italiane tra sopravvivenza, controcultura e ricerca di una scena?

              Mantenerci sensibili e vibranti. Intelligenti e curiosi. Allertati. Coscienti e consapevoli. Vivi.

              Grazie Daria, a presto!

              Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista

              Links:

              Visita il sito di Daria Paolotti per ulteriori info e vedere i suoi ultimi lavori


              Rozza - cultura

              Edited by Domenica Carella. Domenica in arte Rozz Ella è una DJ impegnata e appassionata di musica elettronica. Il suo percorso artisitico nasce nella sua città di nascita (Taranto) e si sviluppa a Pisa, nei centri sociali e non solo, legali e non. Da ultimo la vediamo sulle frequenze della bass music con Neanderthal della crew di Space Vandals e come resident per il format ClubCultura al Caracol Pisa. In passato ha collaborato con la redazione di AutAut.

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                Danijel Žeželj Factory Asks

                Danijel Žeželj

                Underground and independent as a way to build-up an everyday creative process that never ends

                It is an honor for our Under-blog to host an interview to a visual artist of the caliber of Danijel Žeželj. He is a great man and one of the greatest visual artists ever, words in some cases do not add much compared to the contribution of his Art.

                We already had the honor of hosting Danijel a few weeks ago on our streaming channel (CCTv) for a live streaming performance and it was simply super! He did a special live painting show with music performed by a young artist from Pisa Underground Movement, DEVICE. Danijel welcomed this initiative with enthusiasm, asking us to be able to highlight during the live one of the Italian’s fundraising initiatives to deal with coronavirus emergency and we thought it might be the opportunity for Tuscan hospitals. It was a beautiful afternoon and many followed us (see at the end the video extract).

                After, we asked Danijel to participate in our Factory Asks with few questions, thinking that would be a great inspiration for many other artists and people who follow our blog and our activities.

                Who are you? Please describe yourself in few sentences

                I’m a visual artist, I make graphic novels, paintings, prints, animations, live painting & live music performances. The common thread of all these works is visual narration, exploration of storytelling through images. That’s what keeps me going, finding the narrative line in a single image or a sequence of images. ­

                LUNA PARK, 2009. Kevin Baker and Danijel Žeželj
                160 pages, DC Vertigo, USA, 2009; Magic Press, Italy, 2010
                How did your artistic career begin (just an anecdote)?

                The very first work that I have “published”, or make public, was a painting on the wall I secretly made with a couple of friends in the underground passage in Zagreb’s train station. I was 16 or 17 years old. It was a painting of a boxer with the makeup of a clown. Although I started publishing my first comics a few years later I always felt that this clown boxer was my first “official” artwork. But the wall painting was quite bad:)

                What is you work mainly inspired by?

                The relationship. In every possible sense: the relationship between friends and enemies, the relationship between man and his dog, the relationship between a broken window and the street bellow, the relationship between an orange and apple, between art and politics, between black and white, between light and shadow, etc. It’s all about the relationship and the balance.

                RED RIDING HOOD REDUX – trailer from Danijel Zezelj on Vimeo.

                As a visual artist what is your maximum aspiration?

                I work with my hands. I paint, draw, cut, spray, stamp, erase and then do it all over again. I guess my aspiration is to keep working and stay excited about it as long as possible.

                What does underground/independent mean to you, if still mean something?

                It means a lot, always. Underground and independent to me means being ready and willing to use your own mind and hands to construct and build something, to create. It does not have to be “Art” as in traditional classification of Arts, it could be carpentry, cooking, programing, geology, woodwork, any craft you learn and become good at. If you learn a craft, you have an instrument for building things up, and you can keep building and learning. It’s an everyday creative process that never ends.

                What do you think about Art communities in your city and beyond?

                I have never been too deeply involved in working within any art community or movement, I prefer to keep my independence and stay away from established rules of any group. I spent many years living abroad, in Italy, Seattle and New York, so I learned that your home and community is wherever you are, and in my experience, it is more important what you can give than what you receive. Also, today and more than ever before, we definitely all live in a global village, so the idea of community has much broader meaning. Never the less, the sense of community and home comes down to your own personal choice of right or wrong, positive or negative, and whatever direction you decide to take and however you spend your time and energy.

                What are your next projects?

                Because of the ongoing pandemic, some of the exhibitions and live painting projects have been canceled, but other work is ongoing. I just finished a graphic novel about Vincent van Gogh and it will be published in France in September, by Glénat Editions, with an exhibition in Paris (if corona permits). I’m also starting work on a new animation movie “The Drummer”, and then another couple of graphic novels, one written by myself and the other by Ales Kot, for USA publisher Image.

                THOUSAND from Danijel Zezelj on Vimeo.

                Thank you Danijel!

                Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista

                Links:

                Danijel is a well-known and respected visual artist, he has published and exhibited for: The New York Times, Marvel Comics, Washington Chronicle, DC Comics, the San Francisco Guardian, Harper’s Magazine, Dark Horse, L’Espresso, Il Grifo, De Agostini, Image Comics, Dargaud, Editions Mosquito, Hazard Edizioni Eris Edizioni and others.

                Please check his website for additional info.

                DANIJEL ZEZELJ – BLUE Live Painting on CCTv – Music by DEVICE

                Other interviews:

                EtnaComics

                Lospaziobianco: The dream is mightier than the gravity – Danijel Zezelj


                Edited by Roberta Ada Cherrycola www.instagram.com/ada.cherrycola

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                  Gabriele de Luca, innovazione Break the Wall

                  Gabriele, Andrea e il Lumiere

                  Il club come luogo di innovazione culturale capace di migliorare la vivibilità delle città.

                  Oggi ci lanciamo a bomba come negli ultimi numeri di Break the Wall sull’innovazione alla portata e su alcune riflessioni spinose, ma centrali nel futuro dibattito sui Club e la Club Cultura post-epidemia. Grazie alla nostra inviata speciale Rozz Ella abbiamo raccolto il pensiero di un giovane e brillante imprenditore della cultura, Gabriele De Luca, gestore assieme al socio Andrea Vescio dello storico Lumiere a Pisa.

                  Come tutti, Gabriele e Andrea stanno vivendo questo momento con molta preoccupazione, sopratutto a causa dell’assenza di risposte e misure concrete a livello istituzionale per tutti gli “operatori (associazioni), imprenditori, artisti, tecnici e lavoratori del mondo della cultura. Un mondo che noi tutti conosciamo e frequentiamo attivamente, un mondo che non ha eguali in nessun altro posto come qualità e capacità d’innovazione, ma che di fatto nel nostro paese diviene sistematicamente l’ultima ruota del carro.

                  “Ci dimentichiamo troppo facilmente degli eroi del presente, di chi contribuisce oggi alla bellezza di questo paese”

                  Il mondo della cultura passa così in secondo o terzo piano. Forti dei tesori del passato, come Italiani ci dimentichiamo troppo facilmente degli eroi del presente, di chi oggi cerca contro tutte le avversità del caso di sfornare nuova bellezza.

                  innovazione lumiere: C'mon Tigre live
                  C’mon Tigre (Live at Lumiere, Pisa)

                  Per tenere viva e tutelare questa bellezza, con Gabriele cercheremo di scoprire il nesso che esiste tra cultura, club, innovazione culturale e miglioramento della vivibilità nelle nostre città.

                  Ciao Gabriele, cosa è per te la Club Culture?

                  Credo sia una domanda un po’ troppo troppo ampia perché possa trovare risposta in due righe, quindi mi prenderò una licenza e sforerò lo spazio, partendo con una premessa: credo si possa parlare di club cultura in due modi, uno ristretto e uno allargato.

                  In senso stretto, credo che l’espressione rimandi a tutto ciò che, storicamente, ha ruotato intorno a quelli che, per capirsi, sono i luoghi in cui si balla. In senso lato invece, credo che l’espressione possa rimandare a ciò che sta intorno ad un music club in generale. Ovviamente si tratta di una distinzione un po’ artefatta, come tutte le distinzioni, dal momento che – così inizio anche a rispondere – i due aspetti – quello dance e quello più legato ai concerti – tendono a mischiarsi, o almeno, nelle esperienze più virtuose e interessanti che mi vengono in mente si sono mischiati.

                  innovazione lumiere: Manzini live
                  Manzini (Live at Lumiere, Pisa)

                  Il club, sia esso inteso come discoteca o come live club, per me è e deve essere un essere ibrido, che pur ruotando intorno alla musica, tiene insieme molti aspetti, culturali in genere. Mi viene in mente la mostra – e ancor più il catalogo! – curata dal Vitra Museum qualche anno fa, e recentemente passata dal Museo Pecci, che affronta il fenomeno del clubbing dal punto di vista del design, dell’innovazione, anzi delle innovazioni nate all’interno dei club dal punto di vista dell’architettura e dell’interior design. Ecco, l’ho trovata illuminante perché sottolinea molto bene come il club possa essere luogo di innovazione culturale a tutto tondo, dal punto di vista dell’esplorazione di una socialità altra, da quello del design, a quello della moda, fino a quello musicale.

                  “Il club come epsressione della CC, è e deve essere un ibrido, un luogo di innovazione culturale a tutto tondo”

                  Io, come sai, sono il gestore di un club la cui vocazione principale è senza dubbio il live, ma nel mio lavoro io e il mio complice Andrea Vescio cerchiamo di avere un approccio il più possibile vasto, aperto. Mi piace immaginare – e fare in modo che la mia fantasia si trasformi il più possibile in realtà – il Lumiere come uno spazio di innovazione culturale, dove possano trovar spazio presentazioni di libri, dj-set, mostre, dibattiti e ovviamente concerti. Ma non si tratta solo di cosa fa un club. Forse ancor più importante per un club, e dunque per la club-cultura, è l’attitudine, la capacità di creare e proporre un’atmosfera di libertà creativa e di libertà in generale, che favorisca gli incontri, di tutti i generi.

                  Un disco che la rappresenta? 

                  Questa è una domanda da esperti, a cui nemmeno alcuni miei colleghi ben più esperti di me hanno saputo rispondere, quindi dirò un disco che per me rappresenta una svolta, ma una svolta personale: Drukqs di Aphex Twin. Era il 2001, avevo 19 anni, e i miei ascolti erano molto distanti dalle sonorità di quel tipo. Quel disco mi ha senza dubbio aperto una finestra su un mondo che da allora non ho smesso di frequentare e apprezzare.

                  Innovazione, Aphex Twin
                  Aphex Twin Drukqs (Warp Records, 2001)
                  Le persone frequentano sempre meno i club, molti chiudono anche in paesi ‘avanti’ come la Germania, cosa potremmo fare qui? Cosa manca? Cosa andrebbe cambiato?

                  Qui in Italia, purtroppo, da questo punto di vista siamo abbastanza lontani dalla Germania, dove i grandi club berlinesi come il Berghein o il Tresor vengono assimilati a musei piuttosto che a problemi di ordine pubblico, come tende a succedere in Italia, dove non solo non esiste praticamente nessuna forma di politica a sostegno e sviluppo dei club musicali, ma anzi si assiste ad una forma di demonizzazione basata sull’assimilazione di questi spazi a luoghi di perdizione.

                  Una prima cosa da fare sarebbe riuscire ad invertire questa tendenza, facendosi riconoscere dalle istituzioni come operatori economici al pari di tutti gli altri, operatori che possono contribuire a migliorare la vivibilità delle città, operando come vettori di collegamento tra divertimento e cultura, socialità e accrescimento culturale.

                  “Dovremmo invertire questa tendenza, facendosi riconoscere dalle istituzioni come operatori economici al pari di tutti gli altri, con il ruolo speciale di migliorare la vivibilità delle città”

                  Tuttavia credo che si tratti di un problema culturale prima che politico. Dubito che il riconoscimento istituzionale possa arrivare a forza di richieste. Occorre piuttosto un cambiamento di mentalità (aggiungiamo noi, un innovazione). Ma i cambiamenti di mentalità sono lenti e faticosi, per cui ora come ora credo che la cosa più importante sia far bene il proprio lavoro senza tante lagne. Farsi le domande giuste. Farsi tante domande, in generale, ed essere noi per primi – noi gestori di club – a intendere i nostri spazi come vorremmo che fossero intesi dagli altri.

                  “Più responsabilità da parte dei gestori come operatori culturali”

                  Comprendere ed assumere senza paura, senza risparmiarsi, la responsabilità che sta dietro la gestione di un club. Non solo quella, ovvia, nei confronti dei dipendenti, delle strutture che gestiamo ecc., ma anche quella legata al nostro ruolo di operatori culturali: la responsabilità nei confronti dei nostri spettatori, dei nostri colleghi, dei vicini di casa ecc.

                  Ecco, questo, a volte, manca.

                  innovazione lumiere: Lee Renaldo
                  Lee Renaldo (Live at Lumiere, Pisa)

                  Passando al lato del pubblico, direi che manca la consapevolezza della natura complessa di questi luoghi. Mi spiego meglio, a rischio di risultare antipatico, con un esempio: se faccio – e la faccio! – una serata in cui suonano 5 gruppi e suona un dj, e decido di non imporre un biglietto d’ingresso ma di lasciar libero il pubblico di offrire ciò che vuole, e tu mi lasci una manciata di ramini, lo puoi fare, certo, ma chiaramente non hai compreso la fatica, sia materiale che economica, che sta dietro la creazione di una serata del genere, e ne mini alla base la riproducibilità.

                  A me piacerebbe parecchio un mondo in cui i club venissero nazionalizzati e io dovessi preoccuparmi solo del livello artistico della mia proposta. Fino a che non succederà però, il successo della club culture non può che basarsi su una forma di cooperazione tra pubblico, artista e manager, una sorta di patto sociale.

                  “Serve maggiore cooperazione tra pubblico, artista e manager”

                  Chissà che l’emergenza che stiamo vivendo non serva, almeno in parte, ad andare in questa direzione. Con l’emergenza legata alla pandemia mondiale hanno chiuso tutti i club d’Italia. Ora come ora, mentre scrivo, è chiusa praticamente ogni altra attività economica del Paese. Tuttavia, mentre per quanto riguarda tutto il resto, sembrerebbe vicina la fine del lockdown, per quanto riguarda i club ancora non si parla nemmeno di riaperture. Ci sarà dunque senza alcun dubbio una lunga fase in cui si tornerà ad una vita più o meno normale, ma senza club. Chissà che questo vuoto, questa assenza, non serva a far percepire la mancanza, e dunque l’importanza e il valore di certi luoghi. Non ci spero molto. Credo che le cose si capiscano meglio facendole che non facendole. Ma chissà, magari mi sbaglio. Lo spero.

                  “Durante il lockdown tutto sembra tacere per quanto riguarda i club e i lavoratori della cultura”

                  Personalmente, in questa fase di stop, quello che sento con particolare forza, e che mi manca, è la comunità che sta intorno al club che gestisco: rapporti umani, incroci, una fitta rete di intrecci, creativi e personali, che ora come ora manca, anche se cerchiamo di tenerla viva con tutti i mezzi a nostra disposizione. L’iniziativa stay @live che abbiamo proposto nelle prime settimane di lockdown andava proprio in questa direzione: non tanto e non solo un appello agli artisti che sono passati dal club di Vicolo del Tidi a concederci un concertino in streaming, ma una chiamata alle armi per tutta la nostra comunità, dai nostri dipendenti ai nostri clienti, dai nostri amici ai nostri collaboratori.

                  Quale è la Club cultura che vorresti? 

                  Sogno una club cultura piena di curiosità, con meno culto del grande nome e più spirito d’avventura, che sappia divertire e sorprendere, che faccia pensare e ballare. 

                  innovazione lumiere: Silvia Calderoni
                  Silvia Calderoni (Dj Set at Lumiere, Pisa)

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