Alessandro Nuzzo Break the Wall

Alessandro Nuzzo

Comprendere la deriva mainstream

Intervistare anche l’altra parte – il mainstream – della fetta legata alla vita notturna è una questione di oggettività del metodo. Non possiamo costruire un nuovo concetto di Club Culture senza considerare anche le sue derive, o meglio ancora: le appropriazioni del mainstream verso quegli aspetti che funzionavano bene nel vero Underground. Agendo di rottura se è il caso, ma questo è insito nello stesso titolo della rubrica: Break The Wall (qui il numero passato se lo avete perso). E allora rompiamo questo muro e andiamo alla scoperta di quei tasselli, di quelle schegge impazzite che fuori dal contesto nativo rappresentavano i migliori ingredienti di partenza. Infondo è un esercizio di ascolto.

Qual’è la sottile linea rossa che oggi unisce il mainstream alla tanto amata Club Culture? Quali sono gli elementi sottratti? Quali quelli che si prestavano a questa operazione? E quali quelli che viviamo ancora oggi come forzature?

Con le giuste cautele, grazie alla nostra inviata speciale Rozz Ella abbiamo raccolto il pensiero di un altro giovane e brillante imprenditore locale “Alessandro Nuzzo”, gestore dello storico Caino a Pisa.

Prima di lanciarci nell’intervista vera e propria occorre una premessa ulteriore: su Under-blog parliamo di Arte, Musica, come quella elettronica e di tutto ciò che che possiamo definire contro cultura. E lo facciamo con la passione del ricercatore innamorato della qualità. Per questo non siamo soliti a rappresentare retoriche mainstream.
Forse perché in prima battuta è proprio il mainstream lo spirito in antitesi dal quale parte la nostra fuga da quel rumore di fondo che ha svuotato di significato i luoghi che amiamo in favore di “facili giochetti di pancia” (cit. Carlo Affatigato). Tuttavia riteniamo maturo il cercare di spingersi anche oltre il confine del nostro settore per scoprire qualcosa di nuovo, mantenendo quindi un sano contraddittorio tra mainstream e underground almeno laddove riconosciamo elementi di qualità anche tra le proposte più commerciali.
Forse perché anche fuori dal muro ci sono elementi preziosi da recuperare per riscrivere una nuova pagina per la Club Culture.
Lumiere Mainstream
Lumiere Pisa, ZooStaff
Ciao Alessandro, cosa è per te la Club Culture?

“Club” e “Culture” sono due parole che appartengono a due mondi infiniti che si uniscono e si intrecciano in perfetta armonia. Descrivono un movimento culturale che ruota intorno ad un linguaggio universale: LA MUSICA, in tutte le sue sfaccettature.

Quel linguaggio capace di unire diverse culture e nazionalità. Quel codice che arriva dritto al cuore per regalare emozioni, sogni, nuove conoscenze, opportunità e soprattutto nuove storie. La club culture racchiude stili musicali diversi, ognuno capace di dare un colore e una tonalità differente per ogni genere di pubblico.

Dal magico mondo della musica dance alle emozioni dei live, passando anche per gli “happy hour”,  ormai sempre più apprezzati in Italia. Capaci di abbinare il mondo della musica al gusto di un aperitivo, ad una pausa relax e all’arte del “mixology”, con cocktail innovativi che si sposano ad ogni situazione e stato d’animo. Proprio per questo ho sposato il concetto di Club Culture nella sua completezza e in diversi ambienti: dalle cene e dagli “happy hour” con il Caino di Pisa, agli aperitivi in riva al mare dello Zen Beach di Gallipoli. Dalle grandi notti del Giovedì del Lumiere Pisa, a quelle frizzanti dell’Estate in Salento con il Ten Gallipoli.

Ogni fase della serata può essere scandita da un ritmo diverso, ogni attimo è quello giusto per creare nuovi spazi culturali, per condividere esperienze e confrontarsi continuamente sulle questioni di vita quotidiana. Ogni attimo ricorda un momento da raccontare, un aneddoto, un viaggio, una nuova lezione di vita.

Tante volte quando mi capita di descrivere un live o un dj set mi piace definirlo come un viaggio musicale che abbraccia diversi momenti e anni della nostra vita, un viaggio creativo ed educativo che stimola la fantasia e ci aiuta a rivalutare determinate situazioni che ci hanno resi protagonisti in questa società.

Lumiere Mainstream
Lumiere Pisa, ZooStaff
Un disco che la rappresenta? 

Il 2006 è stato proprio l’anno in cui ho iniziato a sposare il mondo della Club Culture, proprio per questo scelgo un disco di quel periodo per me ricco di significato. Qualcosa iniziava a cambiare nella mia vita e ad assumere un ritmo ben chiaro. Il disco è “I’m really hot” di Missy Elliot e Timbaland, remixato magistralmente dal dj Antonio Ferrari, in arte Ralf. Grande maestro Italiano dell’House Music, un genere che ha segnato una svolta musicale nel mondo del club: da Chicago a Londra e naturalmente anche in Italia.

Le persone frequentano sempre meno i club, molti chiudono anche in paesi ‘avanti’ come la Germania, cosa potremmo fare qui? Cosa manca? Cosa andrebbe cambiato?

Bisogna analizzare la questione dalle basi e capire attentamente la psicologia del pubblico. Ho iniziato il mio “viaggio” nel mondo del club a 18 anni. In 14 anni il mondo è cambiato e si è trasformato senza sosta. La tecnologia compie passi da gigante e cambia l’approccio, la mentalità, l’idea della gente nei confronti del clubbing. I miei primi passi li ho compiuti nel mondo delle pubbliche relazioni, a mio avviso fondamentali per studiare bene ciò che la gente desidera.

Ho iniziato a Gallipoli, città cardine del mondo dell’intrattenimento, che mi ha insegnato tanto e tutt’ora continua a darmi nuovi spunti.

Ho iniziato instaurando contatti diretti con le persone. Partendo dalla classica stretta di mano sono nate grandi amicizie, ho continuato a trasmettere il mio amore per il mio lavoro. Ho cercato di capire come si evolve la società in base ai cambiamenti.

Anche il mondo della comunicazione infondo rientra in un percorso culturale, rappresenta il biglietto da visita di un club. Senza comunicazione non si potrebbe fare Club Culture. In questo modo, nel mio piccolo e tramite le interazioni, riuscivo tante volte a comprendere cosa la gente chiedeva, quale genere di club poteva piacere, come organizzare una serata a 360 gradi: dalla musica agli effetti, dal personale all’ambiente accogliente e coinvolgente.

Mi sono immedesimato sempre nello sguardo e nelle aspettative del cliente.
E qui noi aggiungiamo che questi sono elementi fondamentali sia per l’Underground che per il Mainstream, ma spesso nel mondo dei Club Underground sono andati a perdersi. Spesso dall’altro lato della barricata si pensa che basta la “musica” e ci si stupisce quando il pubblico si porta da bere da casa. Forse la verità sta nel mezzo. Ovvero a fronte di pochissimi operatori che hanno saputo rinnovarsi nel tempo e adeguare le proposte artistiche ai cambiamenti, sono subentrati tanti operatori più improvvisati che col pensiero di “apro un bunker tutto buio con un mega impianto e tanto il resto lo fa la gente” hanno progressivamente contribuito a distruggere quella scintilla iniziale.

La crescita del mondo dei social network ha generato inconsciamente un distacco del mondo del club dal proprio pubblico, inizialmente sottovalutato e dopo sempre più crescente. È un peccato! Penso che il corretto utilizzo del social può divulgare una serata ricca di significato o un live esclusivo, ma non basta. Un gestore di un club o un organizzatore dovrebbe conoscere meglio la propria clientela e interagire direttamente, di persona, con le associazioni, con i gruppi di studenti, con la gente che apprezza questo mondo e anche con chi non lo apprezza, con l’intento di incuriosire e avvicinare nuova gente al proprio club. Bisogna armarsi sempre di pazienza e capire bene che una persona si sente a casa propria quando è coccolata, ed è una cosa normalissima. Inoltre bisognerebbe creare un legame tra la clientela e il club, promuovendo un prodotto musicale valido, proponendo “dj o artisti homemade”, ai quali affezionarsi, attuando un servizio impeccabile a partire dal personale con l’obiettivo di creare una famiglia all’interno del club stesso che trasmetta entusiasmo e valori importanti alla clientela. Ne approfitto per salutare il mio staff e i miei compagni di avventura che sono la mia seconda famiglia.

Ci teniamo a sottolineare che si tratta di un altro tema fondamentale che Alessandro tocca con la giusta delicatezza. Spesso sia nell’Underground che nel Mainstream parliamo di qualità ma poi ci dimentichiamo degli artisti locali, delle scene, di coloro che contribuiscono ad alimentare la scintilla a favore dei grandi nomi o dei facili incassi. Questo avviene in tutti e due i mondi paralleli. Siamo d’accordo con Alessandro che bisogna ripartire dalla scena locale. Lo diceva anche il nostro caro amico Fonx Fonzarelli in questa intervista per BtW.

È importante anche investire periodicamente su ospiti speciali, capaci di aumentare il blasone del club, ma senza dimenticare che l’afflusso continuativo della gente non deve assolutamente dipendere solo dalla presenza o meno dell’ospite. La creatività fa sempre la differenza.

Infine servirebbe una maggiore tutela da parte delle nostre istituzioni nei confronti del mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento, si tratta di investimenti importanti sulla cultura e sull’educazione del mondo giovanile. Serve una maggiore promozione della club culture made in Italy. Infine ci vorrebbe più unione, collaborazione e cooperazione tra i vari club presenti nella stessa città, per valorizzare il territorio e attrarre un bacino sempre più ampio di turisti. All’aumentare delle proposte di qualità, aumenta il bacino di gente.

Nuzzo Mainstream
Alessandro Nuzzo, Lumiere Pisa

Ora più che mai, in fase di pandemia, questo settore avrebbe bisogno di una grossa mano per poi essere rilanciato in grande stile. Lo meritiamo, e lo merita quel motore che lavora duramente dietro le quinte per dar vita allo spettacolo. Noi nel nostro piccolo cerchiamo di non fermarci e di nutrire tanta speranza per il futuro.

Sono diverse le iniziative social che stiamo proponendo durante il lock-down: dalla diretta del Giovedì Universitario di Pisa, alla diretta musicale della Domenica del Caino: il dj set di Marco Ruscio, tutto in vinile, con suoni ricercati, che servono a ricreare l’atmosfera dei nostri aperitivi. Per non parlare delle immagini condivise sui nostri social, con l’intento di ricordare serate speciali o momenti indimenticabili come una festa di laurea o una ricorrenza particolare. Tutto questo per infondere positività, in attesa del ritorno. Infondo, come dice Ligabue, “certe luci non puoi spegnerle”.

Quale è la Club cultura che vorresti? 

Mi piace vedere la club culture come un laboratorio e un’esplosione di idee. Un mondo in continua trasformazione, che non conosce limiti e che porta a reinventarsi continuamente, anche nei periodi più complicati. Infondo dalle difficoltà nascono sempre idee innovative. Basta non tralasciare la cura del dettaglio e la qualità, con l’obiettivo più importante di tutti: TRASMETTERE UN’EMOZIONE.

Caino mainstream
Caino, Pisa

Ringraziamo Alessandro per il suo contributo e li facciamo un grosso in bocca al lupo per tutto.

Crediamo, come emerge tra le righe che ci siano oggi molti più aspetti in comune tra chi opera – anche se in antitesi – per offrire socialità e contatto umano al centro del proprio mondo (innovazione, comunicazione diretta, utilizzo mirato delle tecnologie). Il mainstream ha saputo lavorare proprio su questo elemento, ovvero ricreare quella famiglia sociale allargata e quell’energia su cui poi instaurare legami. Se nell’Underground questo è sempre stato un elemento spontaneo, oggi è forse uno degli ingredienti mancanti. C’è chi sostiene che non si può recuperare ciò che è stato o vivere di nostalgia in eterno, verissimo. Tuttavia la domanda chiave è come alimentare nuovi movimenti spontanei e aggregazioni capaci di illuminare nuovamente le nostre notti e non solo. Tra le parole di Alessandro emerge lo stesso fascino per la Club Culture che possono avere anche le persone più lontane dalla sua proposta culturale. Certo non si può vivere di luce riflessa, tuttavia a noi piacerebbe tanto recuperare nel nostro piccolo quel bagliore originario.


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Caino sito Web Ufficiale


Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

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    Gabriele de Luca, innovazione Break the Wall

    Gabriele, Andrea e il Lumiere

    Il club come luogo di innovazione culturale capace di migliorare la vivibilità delle città.

    Oggi ci lanciamo a bomba come negli ultimi numeri di Break the Wall sull’innovazione alla portata e su alcune riflessioni spinose, ma centrali nel futuro dibattito sui Club e la Club Cultura post-epidemia. Grazie alla nostra inviata speciale Rozz Ella abbiamo raccolto il pensiero di un giovane e brillante imprenditore della cultura, Gabriele De Luca, gestore assieme al socio Andrea Vescio dello storico Lumiere a Pisa.

    Come tutti, Gabriele e Andrea stanno vivendo questo momento con molta preoccupazione, sopratutto a causa dell’assenza di risposte e misure concrete a livello istituzionale per tutti gli “operatori (associazioni), imprenditori, artisti, tecnici e lavoratori del mondo della cultura. Un mondo che noi tutti conosciamo e frequentiamo attivamente, un mondo che non ha eguali in nessun altro posto come qualità e capacità d’innovazione, ma che di fatto nel nostro paese diviene sistematicamente l’ultima ruota del carro.

    “Ci dimentichiamo troppo facilmente degli eroi del presente, di chi contribuisce oggi alla bellezza di questo paese”

    Il mondo della cultura passa così in secondo o terzo piano. Forti dei tesori del passato, come Italiani ci dimentichiamo troppo facilmente degli eroi del presente, di chi oggi cerca contro tutte le avversità del caso di sfornare nuova bellezza.

    innovazione lumiere: C'mon Tigre live
    C’mon Tigre (Live at Lumiere, Pisa)

    Per tenere viva e tutelare questa bellezza, con Gabriele cercheremo di scoprire il nesso che esiste tra cultura, club, innovazione culturale e miglioramento della vivibilità nelle nostre città.

    Ciao Gabriele, cosa è per te la Club Culture?

    Credo sia una domanda un po’ troppo troppo ampia perché possa trovare risposta in due righe, quindi mi prenderò una licenza e sforerò lo spazio, partendo con una premessa: credo si possa parlare di club cultura in due modi, uno ristretto e uno allargato.

    In senso stretto, credo che l’espressione rimandi a tutto ciò che, storicamente, ha ruotato intorno a quelli che, per capirsi, sono i luoghi in cui si balla. In senso lato invece, credo che l’espressione possa rimandare a ciò che sta intorno ad un music club in generale. Ovviamente si tratta di una distinzione un po’ artefatta, come tutte le distinzioni, dal momento che – così inizio anche a rispondere – i due aspetti – quello dance e quello più legato ai concerti – tendono a mischiarsi, o almeno, nelle esperienze più virtuose e interessanti che mi vengono in mente si sono mischiati.

    innovazione lumiere: Manzini live
    Manzini (Live at Lumiere, Pisa)

    Il club, sia esso inteso come discoteca o come live club, per me è e deve essere un essere ibrido, che pur ruotando intorno alla musica, tiene insieme molti aspetti, culturali in genere. Mi viene in mente la mostra – e ancor più il catalogo! – curata dal Vitra Museum qualche anno fa, e recentemente passata dal Museo Pecci, che affronta il fenomeno del clubbing dal punto di vista del design, dell’innovazione, anzi delle innovazioni nate all’interno dei club dal punto di vista dell’architettura e dell’interior design. Ecco, l’ho trovata illuminante perché sottolinea molto bene come il club possa essere luogo di innovazione culturale a tutto tondo, dal punto di vista dell’esplorazione di una socialità altra, da quello del design, a quello della moda, fino a quello musicale.

    “Il club come epsressione della CC, è e deve essere un ibrido, un luogo di innovazione culturale a tutto tondo”

    Io, come sai, sono il gestore di un club la cui vocazione principale è senza dubbio il live, ma nel mio lavoro io e il mio complice Andrea Vescio cerchiamo di avere un approccio il più possibile vasto, aperto. Mi piace immaginare – e fare in modo che la mia fantasia si trasformi il più possibile in realtà – il Lumiere come uno spazio di innovazione culturale, dove possano trovar spazio presentazioni di libri, dj-set, mostre, dibattiti e ovviamente concerti. Ma non si tratta solo di cosa fa un club. Forse ancor più importante per un club, e dunque per la club-cultura, è l’attitudine, la capacità di creare e proporre un’atmosfera di libertà creativa e di libertà in generale, che favorisca gli incontri, di tutti i generi.

    Un disco che la rappresenta? 

    Questa è una domanda da esperti, a cui nemmeno alcuni miei colleghi ben più esperti di me hanno saputo rispondere, quindi dirò un disco che per me rappresenta una svolta, ma una svolta personale: Drukqs di Aphex Twin. Era il 2001, avevo 19 anni, e i miei ascolti erano molto distanti dalle sonorità di quel tipo. Quel disco mi ha senza dubbio aperto una finestra su un mondo che da allora non ho smesso di frequentare e apprezzare.

    Innovazione, Aphex Twin
    Aphex Twin Drukqs (Warp Records, 2001)
    Le persone frequentano sempre meno i club, molti chiudono anche in paesi ‘avanti’ come la Germania, cosa potremmo fare qui? Cosa manca? Cosa andrebbe cambiato?

    Qui in Italia, purtroppo, da questo punto di vista siamo abbastanza lontani dalla Germania, dove i grandi club berlinesi come il Berghein o il Tresor vengono assimilati a musei piuttosto che a problemi di ordine pubblico, come tende a succedere in Italia, dove non solo non esiste praticamente nessuna forma di politica a sostegno e sviluppo dei club musicali, ma anzi si assiste ad una forma di demonizzazione basata sull’assimilazione di questi spazi a luoghi di perdizione.

    Una prima cosa da fare sarebbe riuscire ad invertire questa tendenza, facendosi riconoscere dalle istituzioni come operatori economici al pari di tutti gli altri, operatori che possono contribuire a migliorare la vivibilità delle città, operando come vettori di collegamento tra divertimento e cultura, socialità e accrescimento culturale.

    “Dovremmo invertire questa tendenza, facendosi riconoscere dalle istituzioni come operatori economici al pari di tutti gli altri, con il ruolo speciale di migliorare la vivibilità delle città”

    Tuttavia credo che si tratti di un problema culturale prima che politico. Dubito che il riconoscimento istituzionale possa arrivare a forza di richieste. Occorre piuttosto un cambiamento di mentalità (aggiungiamo noi, un innovazione). Ma i cambiamenti di mentalità sono lenti e faticosi, per cui ora come ora credo che la cosa più importante sia far bene il proprio lavoro senza tante lagne. Farsi le domande giuste. Farsi tante domande, in generale, ed essere noi per primi – noi gestori di club – a intendere i nostri spazi come vorremmo che fossero intesi dagli altri.

    “Più responsabilità da parte dei gestori come operatori culturali”

    Comprendere ed assumere senza paura, senza risparmiarsi, la responsabilità che sta dietro la gestione di un club. Non solo quella, ovvia, nei confronti dei dipendenti, delle strutture che gestiamo ecc., ma anche quella legata al nostro ruolo di operatori culturali: la responsabilità nei confronti dei nostri spettatori, dei nostri colleghi, dei vicini di casa ecc.

    Ecco, questo, a volte, manca.

    innovazione lumiere: Lee Renaldo
    Lee Renaldo (Live at Lumiere, Pisa)

    Passando al lato del pubblico, direi che manca la consapevolezza della natura complessa di questi luoghi. Mi spiego meglio, a rischio di risultare antipatico, con un esempio: se faccio – e la faccio! – una serata in cui suonano 5 gruppi e suona un dj, e decido di non imporre un biglietto d’ingresso ma di lasciar libero il pubblico di offrire ciò che vuole, e tu mi lasci una manciata di ramini, lo puoi fare, certo, ma chiaramente non hai compreso la fatica, sia materiale che economica, che sta dietro la creazione di una serata del genere, e ne mini alla base la riproducibilità.

    A me piacerebbe parecchio un mondo in cui i club venissero nazionalizzati e io dovessi preoccuparmi solo del livello artistico della mia proposta. Fino a che non succederà però, il successo della club culture non può che basarsi su una forma di cooperazione tra pubblico, artista e manager, una sorta di patto sociale.

    “Serve maggiore cooperazione tra pubblico, artista e manager”

    Chissà che l’emergenza che stiamo vivendo non serva, almeno in parte, ad andare in questa direzione. Con l’emergenza legata alla pandemia mondiale hanno chiuso tutti i club d’Italia. Ora come ora, mentre scrivo, è chiusa praticamente ogni altra attività economica del Paese. Tuttavia, mentre per quanto riguarda tutto il resto, sembrerebbe vicina la fine del lockdown, per quanto riguarda i club ancora non si parla nemmeno di riaperture. Ci sarà dunque senza alcun dubbio una lunga fase in cui si tornerà ad una vita più o meno normale, ma senza club. Chissà che questo vuoto, questa assenza, non serva a far percepire la mancanza, e dunque l’importanza e il valore di certi luoghi. Non ci spero molto. Credo che le cose si capiscano meglio facendole che non facendole. Ma chissà, magari mi sbaglio. Lo spero.

    “Durante il lockdown tutto sembra tacere per quanto riguarda i club e i lavoratori della cultura”

    Personalmente, in questa fase di stop, quello che sento con particolare forza, e che mi manca, è la comunità che sta intorno al club che gestisco: rapporti umani, incroci, una fitta rete di intrecci, creativi e personali, che ora come ora manca, anche se cerchiamo di tenerla viva con tutti i mezzi a nostra disposizione. L’iniziativa stay @live che abbiamo proposto nelle prime settimane di lockdown andava proprio in questa direzione: non tanto e non solo un appello agli artisti che sono passati dal club di Vicolo del Tidi a concederci un concertino in streaming, ma una chiamata alle armi per tutta la nostra comunità, dai nostri dipendenti ai nostri clienti, dai nostri amici ai nostri collaboratori.

    Quale è la Club cultura che vorresti? 

    Sogno una club cultura piena di curiosità, con meno culto del grande nome e più spirito d’avventura, che sappia divertire e sorprendere, che faccia pensare e ballare. 

    innovazione lumiere: Silvia Calderoni
    Silvia Calderoni (Dj Set at Lumiere, Pisa)

    Alcuni preziosi links:

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    Caracol Pisa Break the Wall

    Cristiano Manetti

    R-esistire per rilanciare la curiosità e l’aggregazione

    In questo momento non è facile esprimere certi pensieri, sopratutto parlare di aggregazione sociale e culturale. Siamo sommersi costantemente da un sacco di informazioni positive e negative e in più c’è la forte pressione emotiva che sentiamo a causa della stasi globale. Tuttavia è anche forte il bisogno di confrontarsi e di comunicare anche se distanziati dai nostri schermi, conservando la speranza di tornare a promuove e fare aggregazione, socialità, cultura.

    “Servono nuove esperienze autentiche e non-riproducibili”

    Con molto piacere in questa nona puntata di Break the Wall abbiamo il piacere di riflettere con Cristiano Manetti (Re-paly, Carcol) che ci porterà in uno dei luoghi nella nostra città di Pisa, dove da tempo si cerca di riportare al centro della discussione una riformulazione della cultura club a 360 gradi. Non a caso, è anche lo spazio che ospita, o meglio ospitava prima della pandemia, il nostro progetto Club Cultura con una serata al mese. Avete capito, parliamo del Caracol, ma non è il club il solo tema di questo episodio. Ringraziamo la nostra inviata speciale Rozz Ella per questa ulteriore e preziosa intervista.

    Prima di perdervi in questo nuovo episodio, vi chiediamo tuttavia di prestare 5 minuti del vostro tempo e se riterrete importante sostenere e condividere una campagna che il Caracol ha avviato da pochi giorni qui.

    Cosa è per te la Club Culture?

    La Club Culture per me è l’idea che esistano degli spazi in grado di fare aggregazione, di dare e ricevere stimoli riguardo a tutto quello che si muove in ambito culturale, con particolare attenzione alle esperienze più autentiche ed innovative. Posti che evolvono nel corso del tempo e contribuiscano alla formazione in ambito culturale di chi li frequenta, dando al contempo la possibilità di esprimersi a chi è animato da sincera passione. Posti che si pongano nei confronti degli artisti e dei frequentatori con un atteggiamento aperto e rispettoso, garantendo standard il più possibile elevati riguardo all’acustica, alla strumentazione tecnica, mantenendo prezzi accessibili e non chiudendosi alle collaborazioni esterne, se compatibili con la propria sensibilità artistica.

    Un disco che la rappresenta? 

    Eh… non saprei, sono talmente tanti. Credo che sceglierei una compilation. Tipo quella del 2006 dell’Hacienda, dove ci sono molti artisti in campo elettronico che hanno contribuito alla formazione di una nuova scena.

    Fonte Ultrasonica
    Quale è la Club cultura che vorresti? 

    Vorrei soprattutto che venisse riconosciuto il valore di esperienze (di aggregazione) che non mettono al primo posto il risultato immediato delle serate, in termini di affluenza e incassi, consentendo ad ognuno di fare scelte effettivamente innovative o comunque libere dalla necessità di  mediare per garantirsi la sopravvivenza. Vorrei che fossero riconosciute e tutelate alcune professionalità, come quella dei dj, dei fonici, dei facchini  in modo da garantire un livello adeguato delle proposte e non tagliarle fuori in momenti come questo che stiamo vivendo. Purtroppo su questo terreno l’Italia non è il posto migliore dove aprire un club o pensare di costruirsi un futuro in ambito creativo. 

    Fonte Il Tirreno, I Be Forest
    Dal ” vecchio Caracol” ad oggi, cosa è  successo?

    Se ti riferisci ai due spazi, diciamo che il primo nacque un po’ per caso come luogo di aggregazione culturale e venne adattato alle nostre esigenze mantenendo però diversi aspetti critici a livello strutturale, riguardo ad esempio alla disposizione degli spazi alla collocazione del locale, ecc. mentre il secondo abbiamo avuto la possibilità di progettarlo in modo più libero e forti dell’esperienza precedente. Se ti riferisci invece ai due periodi storici in ambito culturale, sono successe diverse cose. E’ aumentata l’offerta ma è forse diminuita la curiosità e l’abitudine a frequentare certi spazi, specie nelle generazioni più giovani. Alcune proposte “indipendenti” sono diventate “mainstream”, attirando l’interesse dell’industria discografica, il che è stato un bene per loro ma ha trascinato tutto il movimento su livelli difficilmente sostenibili per i locali e tagliato fuori, a livello di visibilità le realtà più piccole. 

    Fonte: La Kinzica, Jackdaw with Crowbar
    Cultura e arte sono tra le più colpite dalle necessarie attuali misure emergenziali, a causa della loro profonda necessità di relazioni sociali, di eventi in-presenza, di partecipazione. Succede però che, in maniera forse inaspettata, si è messo in moto un meccanismo spontaneo in cui si sta diffondendo sempre di più una produzione e una fruizione artistica e culturale online sia a livello quantitativo (un’esplosione di performance, dj- e live-set, ecc.), che qualitativo (il mezzo – telecamere, tecnologie di comunicazione a distanza alla portata di tutti – che dà vita a oggetti culturali nuovi e mai visti). Una produzione e una fruizione dal basso, orizzontale e diffusa. Cosa ne pensi? Sta nascendo un nuovo underground?

    Non lo so, sono molto confuso su questo punto. Credo che questo meccanismo dal basso sia nato, lodevolmente, da una certa forma di “resistenza” alla situazione, un modo per mantenere i contatti, reclamare di esserci ancora, sostenere chi si è trovato di colpo chiuso in casa senza un sacco di cose. La mia idea di club cultura però prevede come componente fondamentale l’aggregazione, la non-riproducibilità dell’esperienza dal vivo, sia essa riguardo ai concerti che riguardo al ballare. L’impatto sonoro è  una delle cose che rende significativamente differente l’ascolto di un disco rispetto alla sua esecuzione dal vivo.

    “Resistenza, contro-cultura, aggregazione, non-riproducibilità”

    E poi c’è la componente “rituale”, consistente nell’essere in un posto, insieme ad altre persone, che magari urlano ed entrano nei microfoni delle bands o dei dj, rendendo tutto molto diverso e più comunitario. Mi spaventano un po’, inoltre, le possibili prospettive riguardo allo streaming a pagamento. Sento già alcune istituzioni parlare di possibili “Netflix della musica”, una cosa che personalmente mi fa inorridire.

    Abbiamo visto l’effetto dello streaming sui cinema, che in gran parte hanno chiuso, sui negozi di dischi con l’avvento di spotify, sul calcio con la vendita dei diritti tv. Pensare a Netflix che si compra l’esclusiva sul rock, sky dell’elettronica e i dj, amazon del rap, e così via, mi terrorizza. Temo inoltre che siano soluzioni che possano fare molto gola a chi è stato sempre insofferente nei riguardi della “movida” così come chi ha mascherato da lotta alla violenza degli stadi una spietata commercializzazione di qualcosa che era popolare e svolgeva una funzione sociale e aggregativa con pochi paragoni. Quindi, in conclusione, starei attento a parlare di “nuovo underground” o nuove forme creative, perché il rischio è di condannarsi all’estinzione (noi aggiungiamo senza aggregazione non può esserci la rivoluzione e tantomeno la produzione culturale).

    Cosa pensi che ne resterà a emergenza finita (oppure è troppo presto per parlarne)?

    Penso che sia troppo presto per parlarne. Siamo tutti ancora molto coinvolti e sconvolti e le previsioni che possiamo fare al momento possono essere troppo pessimistiche o troppo ottimistiche al riguardo. Credo che sia il momento di tenere duro e di confrontarsi, certo, per non restare impreparati, ma senza farsi prendere troppo dall’emotività del momento.


    Save your Club – Aiuta il Caracol:

    In questo momento il Caracol come moltissimi altri club si trova a dover fronteggiare una tempesta. Questa come altre non sono solo la storia di un Club che rischia di chiudere, ma quella di persone e idee che hanno fatto molto per tutti noi e per la città. Aiutare il Caracol non significa solo permettere a questo fiore di continuare il suo percorso, ma di mantenere vivo un ideale, nella speranza che continui a diffondere i suoi messaggi e benefici.

    Se potete vi chiediamo di sostenere attivamente questa realtà con un contributo simbolico (dona qui)

    Se non potete vi chiediamo almeno di diffondere questo messaggio e far si che possa essere apprezzato da tutti.

    Difendere il Caracol significa garantire il futuro della comunità artistica e dell’aggregazione in città che con esso e altri posti come il Caracol si sviluppa. Come una famiglia chiediamo a tutti di raccoglierci attorno a questo tavolo virtuale e stringerci per superare questo momento.