Brucio - autonomia Factory Asks

Marco Degl’innocenti

Underground come ricerca della propria autonomia

Con estremo piacere vi portiamo oggi alla scoperta dei pantoni segreti di un talentuoso artista a cui siamo molto affezionati. Marco è uno che l’underground o le produzioni dal basso, o meglio ancora, le autoproduzioni le vive in totale autonomia. Lui si distingue con quell’intensità e passione che è davvero rara da trovare in giro oggi come oggi. Lui si fa chiamare Brucio.

Inizia la sua carriera nel 2008 disegnando per diversi festival musicali e LP.

Nel 2009 inizia a esporre le sue opere in locali e Festival in giro per l’Italia. Fin dall’inizio il suo lavoro si estende su diverse aree del design e dell’arte, pittura acrilica, illustrazioni di libri, così come fumetti e graphic novel, volantini e copertine di dischi e decorazioni murali.

Ha organizzato eventi e mostre d’arte in Liguria e Toscana (molti si ricorderanno la sua mostra a Pisa presso l’Arsenale). In aggiunta, tiene corsi e laboratori su disegno e musica.

Paint by Brucio
Come hai intrapreso questo percorso artistico?

Beh di sicuro in autonomia. Ho iniziato disegnando lettere (Crazy/Bruh/Brucio). Ovvero quel tipo di grafica fatta di outline-inline che mi ha influenzato molto nei fumetti per le linee spesse e nette e nei quadri acrilici per le campiture.

Disegnare o produrre qualcosa è sempre stato un antidoto alla solitudine e ai pensieri ossessivi, che in questo modo si trasformano in qualcosa che mi fa stare bene sia nell’azione che nel prodotto finale.

A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

Se intendiamo “ispirazione” come corrente artistica, allora a partire dal writing anni 90-00 da cui ho imparato le linee e i movimenti taglienti, il fumetto underground italiano degli anni ottanta sia per temi che per atmosfere, e infine l’arte psichedelica (Bad Trip artista mio concittadino in primis per i colori forti e la sensazione di movimento continuo delle opere).

La distorsione da “fumettaro” mi fa ricercare sempre storie diverse

Tuttavia devo dire che l’ispirazione vera e propria della mia produzione è da ricercare di più nella vita quotidiana. Questo perchè la distorsione da “fumettaro” mi fa ricercare sempre storie diverse nelle persone interessanti che incontro. Immaginate gli inconvenienti che mi capitano, e così mi ritrovo nelle incomprensioni e nella voglia costante di scappare via da tutto, mi perdo in paesaggi vivi, psichedelici e vuoti allo stesso tempo.

Paint by Brucio
In quanto “artista” qual’è la tua massima aspirazione?

Forse cercare di far capire quello che c’è dentro i quadri e i disegni.

Lo sforzo il lavoro di ricerca in autonomia continua per trovare una tecnica originale e un modo diverso di fare le cose, tra cui anche riuscire a camparci non mi dispiacerebbe, ma questo è un altro discorso eh!.

C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

Produco un sacco di disegni diversi, per capirsi, dai volantini dei miei amici della mitica “Baracchetta” a Lerse, fino ai fumetti e ai quadri.

Quando ero più giovane mi interessava di più dare un’interpretazione univoca. Spesso polemica e critica della  realtà, (il mio amico Baldu diceva che prima facevo dei disegni più intelligenti).

Ora mi interessano più le suggestioni. Dare due input per innescare un ragionamento aperto più che esprimere un messaggio o una soluzione a qualcosa che dipende da dinamiche che non conosco (logico che delle idee di fondo ci sono).

Forse l’unico modo in cui mi sentirei snaturato sarebbe quello di cercare di dare un’interpretazione univoca della realtà imposta da altri...

In questo senso la pubblicità mi mette un po’ in difficoltà (diverso è il caso della Baracchetta dove condivido tutto il modo di fare), oltre probabilmente a non avere i mezzi tecnologici per farla in quanto disegno per lo più a mano e preferisco usare il computer il meno possibile.

Paint by Brucio
Che cosa vuol dire underground per te?

Ho sentito recentemente una trasmissione su Radiorogna dove parlavano di quando la parola underground è stata iniziata ad usare in relazione ai movimenti culturali e in opposizione alla cultura di massa e dell’intrattenimento (mi sembra 1961, Duchamp).

Oggi spesso viene forse usata a sproposito o non ha un confine definito, forse è sempre stato così o forse è proprio così.

Negli anni culture che si potevano definire “underground” sono state metabolizzate

Rimasticate e riproposte in una veste diversa a livello mainstream, dalla moda alla musica, basti guardare la cultura hiphop, la street art ma anche la musica Dark, l’Indie e tante altre…

Per quel che mi riguarda ho sempre preferito cercare di tenermi un po’ fuori dai tormentoni e da quelle espressioni facilmente etichettabili che spesso magari garantiscono un successo più facile o un accesso più semplice a quelli che sono i circuiti “alternativi” in termini di serate eventi ecc…

Nel momento in cui tutti vogliono fare la stessa cosa è probabile che la qualità si diluisca o lo stesso messaggio possa essere usato per veicolare altri significati così come la stessa parola può avere più significati.

Forse per me “underground” significa proprio una diversità di approccio e un’autonomia di contenuti rispetto a quelle che sono le correnti più in voga in un determinato momento storico.

Questo non vuol dire che la mia produzione abbia un valore maggiore, anzi!, spesso mi posso permettere di sbrodolare o fare cose a caso per il gusto di farlo.

Le mie cose non hanno la pretesa di essere “underground”. Alcuni quadri o temi ricorrenti più decorativi e naturalistici, potrebbero rimanere uguali nell’immagine anche se entrassero in un circuito più grande.

forse, se si esclude l’impacchettamento e il fatto che i supporti son presi per lo più dalla rumenta

Lo sono perché girano in ambienti diversi dalle gallerie, altro discorso credo che valga per i fumetti più abbozzati e genuini che sono praticamente invendibili.

Paint by Brucio

Per paradosso in alcuni casi è il mercato a definire cosa sia una cosa e cosa l’altra. Basta pensare a come certi argomenti oggi di gran moda, in passato erano un tabù, oppure a come certi supporti diventano oggi quasi dei feticci.

In definitiva: forse mezzi/contenuti/media/moda/mercato/attitudine.
Nel tempo che stiamo vivendo cosa dovrebbero fare le nuove generazioni?

Non mi sento nella posizione di dare consigli a nessuno!. Quello che penso l’ho già scritto sopra, buona fortuna…

Cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro? E che ruolo possono avere i piccoli gruppi e le associazioni come la nostra molto legate al proprio territorio e alla comunità di riferimento, che si muovono nel sottobosco di molte provincie e periferie italiane tra sopravvivenza, controcultura e ricerca di una scena?

Ora come ora è bigia la situazione tutti a casa, ma le associazioni come PUM, per me sono state sempre un punto di riferimento, basta pensare le tante volte che vi sono venuto a trovare da Spezia e da Firenze a Pisa. Anche a Sp e a Fi ci son associazioni fotoniche Axmo, Three Faces, il laboratorio Artistico o realtà come Mescaleroscrew, Lo-ficomics, TypeKonnektion Crew e tante altre.

Con questo virus dev’essere pesante andare avanti, soprattutto per alcune situazioni specifiche che non riescono a finanziarsi e continuano ad avere spese fisse.

Spero che il terreno mantenga fertile oltre che per le associazioni anche per i centri sociali e i piccoli locali illuminati che continuano a far qualcosa di concreto in autonomia tra attività, mostre, laboratori e concerti, speriamo di ri-brindare presto.

Grazie per la tua disponibilità e la bella chiacchierata Marco, a presto!

Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista

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Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

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    artista daria palotti Factory Asks

    Daria Palotti

    Manteniamoci sensibili, vibranti, intelligenti e curiosi

    Recentemente su medium siamo incappati in un articolo di Devyn Springer molto interessante che cercava di descrivere il perché le parole “creativo” e “creativi” hanno poco a che fare con l’Arte e l’Artista con un ruolo nel processo di emancipazione, autonomia e indipendenza, andando invece nella direzione opposta, fianco a fianco con il mercato e la visione mercificata e capitalista del creare qualcosa. Questo numero molto illuminante concludeva rinnovando il ruolo dell’artista che con tutti i suoi potenti mezzi oggi come oggi può contribuire attivamente nel cambiare il mondo.

    Siamo molto felici di presentarvi qualcosa che va in questa direzione per Factory Asks. Non occorrono grandi gesti o parole per farvi capire come il processo artistico di Daria Palotti abbia in se i geni della rivoluzione. Basta ammirare le sue opere. Lei un’artista visuale che dipinge e modella, con un tocco sensibile, vibrante e intelligente, funzionale ad instillare il seme della curiosità in chi guarda. In fondo basta poco per attivare la scintilla del cambiamento.

    Per tutti quelli che apprezzano il lavoro di Daria e per quelli che oggi ne hanno scoperto l’esistenza. Per tutti coloro che sono molto curiosi e vorrebbero vederla all’opera, vi ricordiamo che domenica 3 Maggio, qui su #CCTv ospiteremo un live painting di Daria con la musica prodotta dal artista/musicista DEVICE (socializza l’evento).

    Come hai intrapreso questo percorso artistico?

    L’ho intrapreso fin da piccola, un po’ per scelta, un po’ per caso, un po’ perché avevo una predisposizione, e tanto incoraggiamento da parte della famiglia. Perché mi piaceva e continua a piacermi: sto bene quando dipingo, modello, quando in qualche maniera faccio arte. E mi viene da aggiungere che il percorso artistico e il percorso della vita non sono distinti.

    artista daria palotti
    Foto: Daria Palotti al lavoro
    Cosa ispira il tuo lavoro?

    Tutto quello che vedo, vivo, leggo, conosco, ascolto, tutto quello che mi piace e che non mi piace. Mi ispiro a tutto e tutti. Del passato e del presente.

    In quanto “artista” qual’è la tua massima aspirazione?

    Mi fa ridere che scrivi artista con le virgolette, anche perché, le metto sempre anch’io. Quando mi chiedono cosa faccio, solitamente, ci sono queste virgolette che aleggiano e rispondo nominando tutto quello che faccio senza mai usare la parola artista. Come se dire artista, fosse da superbi o fosse troppo, e qualcosa che non corrisponde al vero. Per poi finire a domandarsi: cos’è un artista, cos’è l’arte.. fai davvero arte? Non è artigianato? (Nessun artigiano si mette le virgolette.) Comunque l’aspirazione è… fare solo arte, vivere di arte, produrre arte. E aver sempre voglia e stimoli, di fare arte, e di migliorare sempre.

    C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

    No. La cosa che ricorre c’è, e sono io. Ma non mi sento di essere un messaggio.

    artista daria palotti
    Foto: Daria Palotti, Umano Germinare
    Che cosa vuol dire underground per te?

    Niente.
    Tutto.
    Sottoterra.
    Metropolitana.
    Inghilterra.
    Notte
    Alcol.
    Musica.
    Cultura
    Adolescenza, giovinezza.
    Rientri all’alba.
    Visioni.
    Sonno.
    Sigarette, acre, acredine.
    Punk.
    A bestia e non.

    Nel tempo che stiamo vivendo cosa dovrebbero fare le nuove generazioni?

    Non so cosa dovrei fare io, figuriamoci se so cosa dovrebbero fare le nuove generazioni. Spero che siano consapevoli, antifasciste, e attente ai diritti di ogni minoranza. Pacifisti. Artistici e poetici. Giusti. Impegnati, ecologisti. Ma questo lo spero per le nuove e per le vecchie generazioni. E per me. Ma non è facile fare come si dovrebbe.

    Cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro?

    Bo – Direi che è la risposta migliore, (come nel finale dell’adorato film “C’eravamo tanto amati”). Bo! Non lo so.
    E non è che non lo so adesso, in seguito alla pandemia, non lo so in generale. D’istinto viene da pensar che andrà male, ma forse chissà, ci stupiremo di noi stessi. Comunque la risposta più sincera è “non lo so”. In effetti non so neppure pianificare il mio futuro a breve..da qui a qualche mese. L’altro giorno mi è stato chiesto, così all’improvviso, come m’immagino tra dieci anni..e non ho avuto nessuna risposta. Buio. Non riesco ad immaginare niente di diverso da adesso.
    Come vivere un eterno presente. La domanda mi era stata fatta per stimolarmi a pianificare il presente, per impostare il futuro, ma ha generato “panico”. Va bene pianifichiamo. O almeno proviamoci. Ma cosa aspettarci non lo so.

    artista daria palotti
    Foto Daria Palotti

    E che ruolo possono avere i piccoli gruppi e le associazioni come la nostra molto legate al proprio territorio e alla comunità di riferimento, che si muovono nel sottobosco di molte provincie e periferie italiane tra sopravvivenza, controcultura e ricerca di una scena?

    Mantenerci sensibili e vibranti. Intelligenti e curiosi. Allertati. Coscienti e consapevoli. Vivi.

    Grazie Daria, a presto!

    Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista

    Links:

    Visita il sito di Daria Paolotti per ulteriori info e vedere i suoi ultimi lavori


    Rozza - cultura

    Edited by Domenica Carella. Domenica in arte Rozz Ella è una DJ impegnata e appassionata di musica elettronica. Il suo percorso artisitico nasce nella sua città di nascita (Taranto) e si sviluppa a Pisa, nei centri sociali e non solo, legali e non. Da ultimo la vediamo sulle frequenze della bass music con Neanderthal della crew di Space Vandals e come resident per il format ClubCultura al Caracol Pisa. In passato ha collaborato con la redazione di AutAut.

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      Danijel Žeželj Factory Asks

      Danijel Žeželj

      Underground and independent as a way to build-up an everyday creative process that never ends

      It is an honor for our Under-blog to host an interview to a visual artist of the caliber of Danijel Žeželj. He is a great man and one of the greatest visual artists ever, words in some cases do not add much compared to the contribution of his Art.

      We already had the honor of hosting Danijel a few weeks ago on our streaming channel (CCTv) for a live streaming performance and it was simply super! He did a special live painting show with music performed by a young artist from Pisa Underground Movement, DEVICE. Danijel welcomed this initiative with enthusiasm, asking us to be able to highlight during the live one of the Italian’s fundraising initiatives to deal with coronavirus emergency and we thought it might be the opportunity for Tuscan hospitals. It was a beautiful afternoon and many followed us (see at the end the video extract).

      After, we asked Danijel to participate in our Factory Asks with few questions, thinking that would be a great inspiration for many other artists and people who follow our blog and our activities.

      Who are you? Please describe yourself in few sentences

      I’m a visual artist, I make graphic novels, paintings, prints, animations, live painting & live music performances. The common thread of all these works is visual narration, exploration of storytelling through images. That’s what keeps me going, finding the narrative line in a single image or a sequence of images. ­

      LUNA PARK, 2009. Kevin Baker and Danijel Žeželj
      160 pages, DC Vertigo, USA, 2009; Magic Press, Italy, 2010
      How did your artistic career begin (just an anecdote)?

      The very first work that I have “published”, or make public, was a painting on the wall I secretly made with a couple of friends in the underground passage in Zagreb’s train station. I was 16 or 17 years old. It was a painting of a boxer with the makeup of a clown. Although I started publishing my first comics a few years later I always felt that this clown boxer was my first “official” artwork. But the wall painting was quite bad:)

      What is you work mainly inspired by?

      The relationship. In every possible sense: the relationship between friends and enemies, the relationship between man and his dog, the relationship between a broken window and the street bellow, the relationship between an orange and apple, between art and politics, between black and white, between light and shadow, etc. It’s all about the relationship and the balance.

      RED RIDING HOOD REDUX – trailer from Danijel Zezelj on Vimeo.

      As a visual artist what is your maximum aspiration?

      I work with my hands. I paint, draw, cut, spray, stamp, erase and then do it all over again. I guess my aspiration is to keep working and stay excited about it as long as possible.

      What does underground/independent mean to you, if still mean something?

      It means a lot, always. Underground and independent to me means being ready and willing to use your own mind and hands to construct and build something, to create. It does not have to be “Art” as in traditional classification of Arts, it could be carpentry, cooking, programing, geology, woodwork, any craft you learn and become good at. If you learn a craft, you have an instrument for building things up, and you can keep building and learning. It’s an everyday creative process that never ends.

      What do you think about Art communities in your city and beyond?

      I have never been too deeply involved in working within any art community or movement, I prefer to keep my independence and stay away from established rules of any group. I spent many years living abroad, in Italy, Seattle and New York, so I learned that your home and community is wherever you are, and in my experience, it is more important what you can give than what you receive. Also, today and more than ever before, we definitely all live in a global village, so the idea of community has much broader meaning. Never the less, the sense of community and home comes down to your own personal choice of right or wrong, positive or negative, and whatever direction you decide to take and however you spend your time and energy.

      What are your next projects?

      Because of the ongoing pandemic, some of the exhibitions and live painting projects have been canceled, but other work is ongoing. I just finished a graphic novel about Vincent van Gogh and it will be published in France in September, by Glénat Editions, with an exhibition in Paris (if corona permits). I’m also starting work on a new animation movie “The Drummer”, and then another couple of graphic novels, one written by myself and the other by Ales Kot, for USA publisher Image.

      THOUSAND from Danijel Zezelj on Vimeo.

      Thank you Danijel!

      Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista

      Links:

      Danijel is a well-known and respected visual artist, he has published and exhibited for: The New York Times, Marvel Comics, Washington Chronicle, DC Comics, the San Francisco Guardian, Harper’s Magazine, Dark Horse, L’Espresso, Il Grifo, De Agostini, Image Comics, Dargaud, Editions Mosquito, Hazard Edizioni Eris Edizioni and others.

      Please check his website for additional info.

      DANIJEL ZEZELJ – BLUE Live Painting on CCTv – Music by DEVICE

      Other interviews:

      EtnaComics

      Lospaziobianco: The dream is mightier than the gravity – Danijel Zezelj


      Edited by Roberta Ada Cherrycola www.instagram.com/ada.cherrycola

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        Teresa Basili Factory Asks

        Teresa Basili

        Il “Make-up”, una nuova forma espressiva

        Una giovanissima make-up artist, Teresa. Nasce il 12 novembre del 1990. Inizia a studiare musica da parecchio piccina con il pianoforte. Tra amore e odio iniziali riesce a farselo amico fino ai 20 anni, lasciandolo poi per trasferirsi a Milano dopo aver frequentato il Liceo Artistico Musicale di Lucca, per iniziare gli studi di scenografia all’Accademia di Belle Arti a Brera. Dopo la laurea intraprende quello che sarà il suo futuro da make-up artist alla scuola di trucco BCM di Milano.

        01. Come hai intrapreso il percorso artistico del make-up?

        Fin da piccina mi dilettavo a colorare la faccia di mio fratello con le matite acquerellabili bagnate sputandoci su, ma finiva sempre a schiaffi. Ho iniziato frequentando il corso di scenografia all’accademia di Milano. Un giorno dall’aula accanto alla mia spunta una donna che aveva i capelli come Doc di Ritorno al Futuro, era un’insegnante. Chiese se ci fosse qualcuno disponibile a fare da modello per un ragazzo che doveva realizzare un trucco teatrale… : “vengo io!”. Così mi sono fatta impiastricciare la faccia e mi sono innamorata per la prima volta nella vita. Quando ho iniziato la scuola per truccatori ho incontrato di nuovo la donna con i capelli di Doc, è stata la mia insegnante di effetti speciali. Ho iniziato così.

        TERESA BASILI make-up
        Foto: Nicol P. Claroni
        02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

        Tutto. Qualsiasi cosa io veda, senta, tocchi o ascolti. Sono molto curiosa, questo mi aiuta. Quando lavoro per commissioni, che siano film o spettacoli teatrali, faccio mille ricerche per capire cosa vogliono e come arrivare al progetto finito. Quando lavoro per i miei progetti di make-up personali faccio la stessa cosa ma sentendomi molto più libera. Do sfogo a quello che penso perché è il mio progetto e posso scegliere ciò che voglio, dire e trasmettere cose molto più personali.

        03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

        Poter riuscire a creare, esprimere attraverso corpo e colori in totale libertà. E allo stesso tempo trasmettere sensazioni, di qualsiasi genere, agli altri.

        TERESA BASILI make-up
        Foto: Nicol P. Claroni
        04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

        Credo di si, nei miei progetti esiste sempre un tema che è quello del doppio. della specularità, bianco e nero. E bianco e nero siamo noi, un dualismo di cui non ci libereremo mai.

        05. Che cosa vuol dire underground per te?

        Underground è la creatività che non viene trasmessa attraverso i normali canali commerciali, è sperimentazione libera da ogni vincolo imposto.

        Concept Foto di Nicol P. Claroni, Make up di Teresa Basili

        Grazie Teresa per la tua disponibilità e la bella chiacchierata, a presto!

        Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista
        Links:

        Sito Web di Teresa Basili


        Edited by Roberta Ada Cherrycola www.instagram.com/ada.cherrycola

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          PLATO - AWAKE Factory Asks

          PLATO

          L’Underground come laboratorio

          Musicista di formazione pianista, di sicuro uno dei talenti nascosti del bel paese. Vi presentiamo oggi su Factory Asks un caro amico, Pasquale Lauro in arte Plato.

          Ho iniziato con la musica nel 1996, con dei compagni di scuola ci trovavamo davanti al Teatro Regio di Torino per ballare e fare freestyle su beat registrati un’ora prima a casa. Da lì a poco avrei iniziato a fare qualche serata in alcuni locali torinesi. Ho studiato chitarra classica e pianoforte presso il Centro Jazz di Torino suonando poi negli anni in parecchi progetti, spesso band o collettivi. Tra i miei collaboratori/amici storici, con i quali lavoro tutt’ora, figurano Imo, ottimo producer (con cui seguo il progetto Unlimit in collaborazione con il cantante e performer londinese Randolph Matthews) e Mdns che da sempre cura tutto l’aspetto grafico e visual dei miei lavori.

          01. Come hai intrapreso il tuo percorso da musicista?

          Ho iniziato quasi per caso. Avevo 14 anni e un giorno con altri due amici trovammo un annuncio: vendevano due technics usati, un mixer 2 canali di una marca sconosciuta, due casse passive e un amplificatore, più una raccolta di vinili di musica elettronica di svariati generi, dance, trance, progressive e hardcore alla modica cifra di 900 mila lire. Perché non approfittare? Uno dei due amici aveva una stanza poco più grande di uno sgabuzzino e il giorno dopo l’acquisto iniziammo a metterci sui piatti a fare pratica, tutti i pomeriggi lì a macinare dischi. Poi dopo poco tempo mi venne voglia di iniziare a produrre, fu quell’anno che scoprii i primi software. Iniziai con Acid 1.0 della Sonic Foundry e da lì, passando da un po’ di generi, non ho più smesso.

          PLATO - AWAKE
          PLATO – AWAKE
          02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

          Come musicista, cerco di ispirarmi con qualsiasi cosa mi capiti sotto gli occhi, musica, libri, un articolo, un concetto, un avvenimento, tutto può servire per scrivere un pezzo o tirare giù un beat. 

          PLATO LIVE
          PLATO-AWAKE

          Ho sempre lavorato su un mio suono cercando di rimanere sempre attuale ispirandomi anche a generi diversi dall’elettronica. Per citare alcuni dei miei artisti preferiti al quale spesso mi ispiro: Apparat, James Blake, Synkro, Robot Koch, l’italianissimo Clap! Clap!, Jon Hopkins.

          03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

          Credo che la massima aspirazione, per me come per la maggior parte degli artisti, sia creare cose che piacciano a se stessi e poi agli altri in una misura sempre più grande.

          04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

          Il messaggio che credo accomuni tutti i miei lavori da musicista è di matrice emotiva, suoni che cercano di traghettarti oltre l’estetica di genere. Nei pezzi cerco sempre di bucare in profondità, di catturare l’attenzione ma a livelli più profondi, mi piace creare tessuti sonori riconducibili in un periodo storico ma che superino il tempo e mi auguro di riuscirci.

          PLATO LIVE
          PLATO – LIVE
          05. Che cosa vuol dire underground per te?

          E’ il laboratorio per un musicista, la base senza la quale il mainstream non potrebbe esistere. E’ li che avviene la vera sperimentazione, dove ci si sporca le mani insomma, l’esempio più famoso è il dubstep, in cima alle classifiche grazie alla devozione e la passione di a producer come El B, Skream. o Burial. Gente come Skrillex deve molto a loro. In ogni città è sempre importante avere uno o più zone dove l’underground possa crescere e svilupparsi, purtroppo qui a Torino negli ultimi anni tutto ciò è venuto a mancare con la chiusura di posti come i Murazzi, centro nevralgico non solo della movida ma anche di tutti i movimenti sotterranei.

          PLATO LIVE
          PLATO LIVE

          Grazie Pasquale, un abbraccio!

          Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista
          Links:

          Bandcamp

          Sideshape records


          Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

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            Factory Asks

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            BIO:

            Mi chiamo Lorenzo anno 1993, sono nato a Bologna. Ho sempre apprezzato l’arte, non ho seguito scuole di musica. Mi sono formato autonomamente nell’ambito musicale, da lì mi sono spinto in vari ambiti artistici.
            Al momento lavoro a progetti come Broken Mirror (presentato al festival P.U.M. del Dicembre 2015) in cui mi occupo di installazioni per VideoMapping e collaboro con Marco Rossitto ad un progetto di VideoMaking. Invito a partecipare chiunque sia interessato alle nostre attività. Siamo un bell’agglomerato di gioventù per lo più Pisana.

            01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

            Percorso? Quale percorso? Penso di non aver mai scelto un percorso, o meglio, non mi sono mai accorto di aver fatto una scelta per essere dove sono o per essere quello che sono. Posso dire che i miei genitori mi hanno sempre supportato/sopportato nell’incremento della mia cultura artistica e non. Ho mosso i miei primi passi nell’ambito musicale, ma sono sempre stato attratto da qualsiasi tipo di forma artistica.

            02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

            Beh, diciamo che mi faccio aiutare dalle mie emozioni. Mi accorgo che al giorno d’oggi l’ambito artistico, come quasi tutti gli ambiti, si sta evolvendo nella nostra cultura del multitasking. Molto spesso, sopratutto negli ultimi anni, stiamo optando quasi sempre per “rappresentazioni” che sfocino in molteplici campi, per dare sfogo a molteplici voci e a molteplici collaborazioni, questo perchè siamo ispirati da molteplici flussi.

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            03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

            Penso di essere realista da questo punto di vista, non aspiro alla massima onorificenza o anche al semplice “portare la pagnotta a casa”. Io spero che la mia arte, ma non solo la mia, un giorno possa essere libera. Sarebbe bello avere spazi dove persone comuni possano esporsi, scambiarsi idee, informazioni, contatti o anche solo complimenti e critiche. Sono convinto che un’opera d’arte al di fuori del valore economico che può esserle assegnato, debba avere un’importante valore socio-culturale.

            04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

            Credo sia impossibile non innamorarsi della propria opera, completa o incompleta che sia.  È come una relazione che nasce e che inevitabilmente è destinata a finire prima o poi. Può sembrare triste vederla così, ma nel momento in cui espongo qualcosa, essa diventa materia di analisi da parte di chi la osserva; molte volte anche se concretizzata, può capitare che l’osservatore stesso non riesca a percepire le emozioni che si celano dietro quel Lavoro perché non sono partecipi della mia evoluzione/crescita nel realizzarla.  Alla fine l’osservatore sovrapporrà il proprio punto di vista su quello dell’autore, ogni “fottutissima” volta.
            Per concludere e rispondere alla domanda, esplico: non c’è bisogno di lasciare un vero e proprio messaggio ogni volta, basta saper essere, saper rappresentare e saper metabolizzare ogni esperienza… L’arte è solo un rubinetto aperto dal quale bisogna decidere se idratarsi o no.

             

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            05. Che cosa vuol dire underground per te?

            Ormai faccio poca distinzione tra cosa è Underground e cosa è alla “Moda”… sono due facce della stessa medaglia. Solo che nella “Moda” girano un sacco di soldi, e una volta che ti sei fatto un nome l’opera più banale può essere valorizzata al “Must” della cultura. Penso che i movimenti Underground servano a persone come me e i miei colleghi, che nel mondo della “Moda” sanno bene che vestirebbero abiti stretti, sempre che si riesca a varcare quella soglia sottilissima tra Moda e Underground.

            06. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

            Mi sono immerso in questo fantastico ambiente culturale fondato dal P.U.M.  A dire il vero mi avevano chiamato per supportare il lavoro del VJ, compito che non avevo mai preso realmente in considerazione, fino a quando non sono stato istruito e supportato da Giacomo Dell’Apina, che per giunta ho avuto la fortuna di ospitare a casa tre giorni, durante i quali abbiamo legato un sacco. Abbiamo dedicato un sacco di tempo per montare uno “schermo” dove proiettare le opere Visual. Alla fine del festival questa esperienza mi ha invogliato ad organizzarmi con un altro ragazzo per la progettazione di nuovi pannelli, il progetto si chiama Broken Mirror e speriamo che per il prossimo festival vi si possa lasciare senza fiato.

            deviceHand Job – Lorenzo Puccini – PUM ART FEST // Foto di Nicol P.

            Oltre a questo mi sono dilettato nell’ambito della scultura insieme ad una amica, per progettare un logo per il P.U.M.,  l’opera si chiama HandsJob (coraggioso gioco di parole che richiama il lavoro “manuale”).

            L’idea era semplice: tre mani in gesso che dovevano comunicare le lettere P, U e M… Nulla di complicato, vero? Ad essere sincero, sì! Grazie ai consigli di un professore dell’Istituto Artistico di Pisa, sono riuscito a creare delle mani lontane dall’anamorfismo (compito che mi ero preposto per l’opera), senza dover ricorrere a calchi su calchi, e sopratutto spendendo il giusto.
            Devo essere sincero, questa scultura in fase di assemblaggio ha avuto un sacco di problemi, che grazie alla pazienza e alla manualità di mia madre siamo riusciti a risolvere, giusto in tempo per la mostra… Il risultato? Penso sia piaciuta… Anche se la maggior parte dei visitatori non ha riconosciuto le lettere, ma è riuscita a spiegare semplici gesti riconducendoli addirittura ad ambienti socioculturali questo a dimostrazione che l’osservatore sovrappone il proprio punto di vista su quello dell’autore e alla fine il bello dell’arte e dei festival che la ospitano, è anche questo.

            07. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso

            In realtà non abbiamo bisogno di molto, basterebbe un luogo dove poter lavorare, dove poter investire tempo, più che soldi. Mi interesserebbe vedere un posto dove gli artisti di tutta Pisa, possibilmente anche di tutta Italia/Europa/Mondo/Universo, possano sentirsi liberi di esprimersi senza mediazioni.

            Vorrei che l’arte fosse contagiosa, vorrei che ogni giorno la gente sentisse il bisogno di esprimere qualcosa, vorrei che ci provassero tutti, anche senza riportare a casa dei risultati… La vita è effimera, l’arte è immortale.

             

            | The Factory | Device |

            “Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

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            FACTORY ASKS 0017 : M45

            Nome Artista 0017 : M45

            BIO

            Sono un figlio degli anni ’90 convinto che per saltare esista solamente il tasto A , ho spalmato i miei primi neuroni sopra “sprite” di videogiochi che la gioventù di adesso considererebbe talmente difficili e frustranti da sembrare test per l’università degli X-man o degli enigmi di “Cicada 3301” (questo riferimento lo capiranno in tre sì e no). Nel frattempo disegnavo dove potevo, sopratutto dove non potevo, finché i due mondi si sono toccati vedendo i lavori della GRL (Graffiti Research Lab) e scoprendo che non ero l’unico a essere cresciuto a inchiostro e pixel.

            1. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

            La risposta più breve sarebbe a casaccio, o meglio “trovandomici”… la mia filosofia di base è “iterate faster and release early and often” e “c’è sempre un modo”. Questa tendenza all’essere “MacGyver digitali” (senza la permanente e il capello biondo) viene sostanzialmente dal non avere budget e dall’avere un innegabile spirito “hack-to-learn”. Ho avuto la fortuna di lavorare con gente veramente meravigliosa a bellissimi progetti e anche di essere sfruttato in malo modo per cose di cui non ho preso merito. Quindi riassumendo, come ho intrapreso il mio percorso artistico? Come la Parigi-Dakar in mono-ciclo.

                                                              foto di Studio 47

            2. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

            Mi ispiro alla gente, banale ma vero…mi pongo sempre dal lato dell’utente e cerco di fare qualcosa che alla fine non sia un aulico “l’artista voleva rappresentare la palingenetica obliterazione dell’io siderale che si avviluppa tra le pieghe dello spazio tempo”, ma che prima di tutto diverta, poi che possa essere vista come un gioco, un mezzo o un’ esperienza. Penso che gli spazi espositivi siano già spazi ostici per il pubblico “comune”, se poi metti quattro ore di inquadratura su una mela e lo chiami “decadimento della materia” ci sta che la gente non venga…

            3. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

            Aggiungere almeno altre dieci virgolette intorno alla parola artista. Non morire di gastrite. Avere abbastanza soldi per poter comprare pizza e caffè (ma questo è più un obbiettivo nella vita). La pace nel mondo?

            4. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

            Non credo, forse più il sapore DIY (do it yourself) e quella poca cura dei dettagli …del messaggio mi occupo poco, il mezzo è il messaggio, è triste ma è così, fateci pace.

            foto di Studio 47

             

            5. Che cosa vuol dire underground per te?

            Domanda spinosa: purtroppo esiste il mercato dell’underground che in alcuni casi è peggio di quello mainstream, un marasma di gente con scarse competenze che sta in una situazione perché “fa figo” ma poi manca la sbatta, manca il sudore. Ma il termine “underground “ è perfetto perché sotto terra trovi fango, melma e vermi…ma ogni tanto trovi anche gente brillante come i diamanti, preziosa come l’oro e forte come il ferro e che ti ripaga di tutto il fango che hai spalato.

             

             

            6. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

            Ho portato un mio “giocattolo” che per mancanza di termini migliori si chiama “loop music”: tecnicamente una variante di reactable usando la libreria reactivision e i segnali osc/tuio per controllare ableton e triggerare loop quantizzati e divisi in tipi di suoni. Se non vi siete ancora addormentati la versione breve è “metti cubetto sul tavolo e parte un loop di batteria, ne metti un altro parte il basso e via dicendo”. Per me significa democratizzazione del gesto di composizione musicale, far provare a tutti la gioia di “suonare” senza necessariamente saperlo fare. In più ho partecipato assieme a Micol e Lorè all’ allestimento delle tre serate per quanto riguarda visual, montaggio, smontaggio, rollaggio cicchini, caffè, conversioni video, bestemmie, cioccolate calde alle 5, etc etc.

            PUM ART FEST / Foto di Nicol P.

            7. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso?

            Ovviamente è una cosa importante e sinceramente bisognerebbe dare più spazio a chi organizza queste cose, ma quando dico spazio intendo spazio fisico -non “attenzione giornalistica”- e spazio di azione convertito in vil denaro. Inoltre sarebbe bello avere uno spazio dove allestire esperimenti, workshop, residenze artistiche e quant’altro.

             

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            “Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

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            Don’t think twice

            pillola #1

            La pillola n.1…ricordo che imperversava l’estate ed il sottoscritto contava i tre soldi che gli restavano nelle tasche, come sempre.

            Tre soldi erano parecchi perché in effetti non aveva una ragazza a cui pagar la cena (sono uno che cambia poco e lo fa lentamente, per cui non prendetevela) ma solo parecchi amici che comunque costavano meno della ragazza che non c’era.

            Allora nel brodo di pensieri e riflessioni (altresì note come seghe mentali da cui tutti siamo affetti più o meno intensamente) giunsi alla conclusione che potevo farne un interesse condiviso (poiché appunto il disagio è cosa diffusa e presente, non prendetevela neppure questa volta). 


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            Così nasce la rubrica don’t think twice, che si fa promotrice del soprappensiero e del pensare intenso, spesso paralizzante, omicida di qualsiasi azione, in comode pillole.

            Non si tratta di una sola pillola o consiglio ma piuttosto di una sottospecie di conforto che magari, per errore o per puro caso, può condurre ad una fortuita accettazione del sé, mica cazzi.


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            Mettiamola così, tutti abbiamo visto quella puntata dei Simpsons in cui Marge ripete ossessivamente a Lisa che è riuscita a cambiare suo padre Homer, come un mantra, per convincere sé stessa e tentare vanamente di convincere la povera Lisa.

            Se non l’avete vista andate a vederla, sia chiaro però che non ho la più pallida idea di quale cazzo di stagione si tratti delle millantamila disponibili della serie… forse wikipedia può aiutare, forse decisamente no.

            Ma tutto questo cosa c’entra col resto o con questa dannata rubrica? come te lo spiego… il tema è il mutamento che mettiamo in atto quando vogliamo piacere all’altro, cioè le molteplici seghe mentali, i super filtri che molti (non tutti eh) di noi mettono in atto per far trasparire la parte più splendida di sé. m’è capitato per esempio di cominciare ad ascoltare i Chemical Brothers per capire meglio cosa ascoltasse la ragazza dai capelli rossi (true story, non si tratta dei peanuts). è stato un abbozzo di cambiamento finito lì, perché oltre non mi sono spinto, non ce n’è stato bisogno, trasmettevo e trasmetto tutt’ora troppo l’idea del dissociato… i più buoni dicono che ricordi un professore stressato di cambridge.

            …in ogni caso cambiamo poco e lentamente più di quanto ci piaccia credere, non parliamo poi delle abitudini mattiniere, un disastro. nella pillola di questa settimana una dichiarazione di sconfitta, l’ennesima.
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            La rubrica don’t think twice si fa promotrice del soprappensiero e del pensare intenso, spesso paralizzante, omicida di qualsiasi azione, in comode pillole. Non si tratta di consigli ma piuttosto di una sottospecie di conforto che magari, per errore o per puro caso, può condurre ad una fortuita accettazione del sé, mica bruscolini.


            Edited by Davide L.

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              Factory Asks

              FACTORY ASKS 0016 : BRUCIO

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              Nome Artista 0016: Brucio

              BIO

              Nasco nel 1985. Faccio parte di alcune associazioni di promozione culturale e cerco di partecipare a più progetti fallimentari possibili, ho girato un po’ negli ultimi anni portando in giro le mie tavole di legno dipinte ad acrilico guadagnando il maldischiena.

              01. Come hai intrapreso il tuo percorso artistico?

              Mi è sempre piaciuto disegnare, prima col writing poi coi fumetti e ora con gli acrilici, è sempre stato una buona alternativa a quello che avrei dovuto realmente fare e visto che mi veniva decentemente ho continuato.

              02. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

              Prima dal lettering dei writer, i movimenti delle lettere e le colorazioni, poi i classiconi del fumetto underground italiano e americano (Crumb, Paz, BadTrip…), sono tutte cose che rivedo nei miei disegni.
              Anche i libri che leggo e la musica che ascolto influenzano quello che sto disegnando in un dato periodo, come soprattutto le cose che mi accadono direttamente, gli stati d’animo e i luoghi che vivo. Assorbo tutto ma poi cerco sempre di non copiare e trovare un modo diverso e personale di fare le cose.

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              03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

              Non so rispondere a questa domanda. Mi sono impegnato ma mi vengono in mente solo cagate.

              04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

              Ho cambiato un sacco di temi nei miei disegni anche a seconda delle tecniche, un quadro è difficile che lanci lo stesso messaggio di un fumetto o di una vignetta, credo e spero che tuttavia siano legati da un’atmosfera di fondo.
              Ci sono però messaggi che non metterei mai nei miei lavori. Almeno per ora.

              05. Che cosa vuol dire underground per te?

              Sotto terra.
              È dove andremo quando moriremo, e pensare di starci anche da vivo non è del tutto confortante anche se la gente è più simpatica, la musica è più bella e l’arte è più spontanea, le persone non se la menano col copyright e se possono aiutarti o insegnarti qualcosa di solito lo fanno, si mangia un sacco di pasta al sugo vegetariano e si dorme mezzi collassati su dei materassi di solito accanto ad altri uomini, la gente fuma un sacco di sigarette, le bariste e i baristi di solito sono molto simpatici ma fanno i cocktail a caso perché sono sbronzi anche loro, però io me ne frego perché spesso mi porto da bere da casa.

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              06. Che progetto hai portato al festival e cosa ha significato per te?

              Ho portato alcune tavole di legno dipinte ad acrilico e alcuni fumetti di Lo-Fi comics.

              07. Quanto sono importanti secondo te occasioni come il festival per promuovere i giovani creativi locali e cos’altro vorresti che venisse fatto in questo senso?

              Ogni festival è un occasione di incontro e di scambio di conoscenze un modo per creare una rete di collaborazioni.

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              Foto di Nicol P.

              | The Factory | Brucio |

              “Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

               

              Stories

              FRACTAL ART ØØØØ

              The story of this young Italian artist based in London proves that supporting young talents it’s always worth it.

              Matteo Zamagni is a 23 years old from Rimini and he was chosen from the Barbican Centre to be part of the Fish Island Labs project. This art laboratory located in Hackney Wick (London) was born from the joint forces of the renowned cultural centre – The Barbican – and the social enterprise The Trampery. The project’s core concept aimed at putting together fifty young artists in a iconic studio space with the objective of exploring the many artistic possibilities created by the mix of arts and new technological tools, ranging from sculpture to digital art. After 12 months of hard work, the Fish Island Labs’ artists have summed the ethos of their artistic and technological experimentation in an exhibition held in August at the Barbican Centre, Interfaces.

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              Undoubtedly, Matteo’s installation Nature Abstraction was the highlight of the exhibition, attracting the attention of enthusiasts and experts. In the wide landscape of media art, he has chosen a very niche avant-garde, virtual reality. By exploring the mathematics of fractals and complex 3D graphic techniques Matteo successfully managed to turn the mathematical representation of organic forms into visual art. I had already seen some of Matteo’s previous projects, but my curiosity grew even more when I arrive at the exhibition and I saw the long and patient line of people waiting to try the Oculus Rift. I was completely blown away by his installation and I realised the real extent of fractal art and the artistic experience it can recreate.

              I met Matteo to find out more about how he started his artistic career, which technologies he uses and what are his future plans.

              Tell us about your experience in the Fish Island Lab.
              Sharing such a space with artists with similar interests to mine has been absolutely incredible. Even though, each individual artist is a blend of interdisciplinary skills ranging from shadow puppetry, sculpture, data visualisation, fashion and fine art, there was always something to learn from each other. Moreover the Lab hosted many workshops, collaborations and events, making it a great opportunity for us all.

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              What about your installation Nature Abstraction for the Barbican Centre exhibition?
              Interfaces was undoubtedly one of the most constructive and exciting experiences of my life so far.  After a long time and hard work it was amazing to see my installation Nature Abstraction complete. When something starts from an abstract idea, making it real it’s an indescribable feeling. And it was even more exciting to see the reaction of the public walking into the cube and trying the Oculus Rift. In fact, the installation is designed in order to recreate a contemplative environment by using a cube whose faces are projected with images of organic forms filmed through a microscope; these are merged with analog visual effects (such as refraction and reflection, or other physical properties of light) and then filmed again. In this way, the viewer is invited to enter the cube, wear the Oculus Rift and explore a surreal 3D world created mathematically.
              In my opinion, art exceeds its limits more than ever in this new digital era. New technologies facilitate the multisensory interaction of the observer, allowing the artist to fully express himself.

              Why did you choose virtual reality and the mathematics of fractals ?
              With my installation Nature to Abstraction I wanted to create an environment in which the viewer could ” switch off” for 10 minutes and enter a surreal world made up of 3D fractals. Essentially these are a 3D representation of mathematical formulas that visually lead back to biological and architectural forms. The idea of using the Oculus Rift along with other electronic equipment has been very useful to amplify the experience for the observer. In fact by stimulating sight and hearing it is possible to almost induce the audience  in a state of trance.

              What technologies do you use?
              The tools always vary from project to project. Many softwares are available online for what concerns video editing, special effects, 3D, realtime graphics, photo-scanning etc. In addition, there are auditory sensors that detect audio frequencies or other types like the Kinect or the Leap Motion that trace back the body movements through infrared sensors. Some of these tools are relatively cheap and they offer endless possibilities. With regards to my work, the abstract idea always comes first. Then I look for the tools to develop and implement my idea in the physical world. I am currently exploring many 3D realtime and offline softwares such as Cinema4D and Houdini (also used for Visual FX in Hollywood productions), specific softwares for 3D fractals, photogrammetry and other softwares for vj-ing and projection mapping.

              How would you define the artistic scene in which your work fits into?
              From my point of view: it’s FANTASTIC.
              It’s a digital movement, born from the internet and from the disclosure of artistic practices online. There is a huge online network of media artists gathered discussing and sharing topics of interest.

              What are you working on at the moment and what are your future plans?
              I have lots of projects going on at the moment. I’m developing a second installation which aims recreating an OBE (Out of Body Experience) literally projecting the audience elsewhere. I’m still in the initial stage and it will take at least a year to develop properly. Moreover I’m trying to put together an online collective of digital artists which will consist of a platform where they’ll be able to share ideas, collaborate and express concepts in relation to astral worlds and the relationship between science and spirituality, a dear topic to many artists around the world.

               

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