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Art novels and stories

Underground Iran

Giovani, musica, cultura e libertà nell’Iran contemporaneo

L’Iran è un paese del quale in Italia si sa poco o niente.

Luoghi comuni e stereotipi ci fanno produrre una versione fasulla e semplificata della realtà, in cui tutto è bianco o nero e in cui ci sono paesi da visitare ed esplorare ed altri che non è neanche possibile menzionare.

E quando il terrore mediatico è al suo picco più alto, è ancora più difficile pensare di poter far luce sugli aspetti più umani e positivi di culture tanto lontane e diverse dalla nostra.

Nonostante ciò, ho voluto provarci lo stesso, ho incontrato e intervistato Giulia Frigieri, fotografa laureata in antropologia e media alla Goldsmiths University di Londra, che nel settembre 2014 ha fatto un lungo e affascinante viaggio in Iran.

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Foto tratte dal reportage Sar Zamin a cura di Giulia Frigieri; Copyright Giulia Frigieri
Parlaci del tuo viaggio in Iran. Perché hai sentito il bisogno di partire da sola per un avventura così particolare?

Sono partita dopo esser stata in Marocco e in Libano. Visitare questi paesi ha fatto crescere in me il bisogno di esplorare altri paesi orientali e di conoscere più da vicino il mondo arabo. Sapevo che l’estate seguente sarei andata in Turchia con un’amica e così ho deciso che avrei continuato il mio viaggio spingendomi sempre di più nel Medio Oriente. All’inizio volevo andare in Armenia. Ovviamente in Siria non potevo andare, in Iraq neppure.

Arrivare in Iran via terra è un esperienza che consiglio a tutti ed è bellissimo vedere il paesaggio che muta e il miscuglio di Turchi e Iraniani che attraversano il confine.

Alla fine una serie di avvenimenti mi ha portato a scegliere l’Iran. Al tempo lavoravo in una galleria d’arte nell’est di Londra la cui gallerista è un’iraniana espatriata. Lei mi ha descritto il suo paese in un modo stupendo, ma non può più tornarci perché non la farebbero più uscire. Io non avevo un piano ben preciso, ma sapevo che avrei preso un treno da Van (la città più a est della Turchia) e sarei arrivata a Teheran via terra. C’era sempre un piccolo ostacolo da superare per la buona riuscita del mio piano: per avere il visto per l’Iran non basta pagare, è necessaria una lettera di invito di una persona garante. Ma io avevo un contatto. Un amico di un’amica che avevo conosciuto su Facebook ha garantito per me e si offerto di ospitarmi, perciò dopo ventiquattro meravigliose ore di treno ero a Teheran. Arrivare in Iran via terra è un esperienza che consiglio a tutti ed è bellissimo vedere il paesaggio che muta e il miscuglio di Turchi e Iraniani che attraversano il confine. Infatti la Turchia è uno dei pochi paesi a cui cittadini iraniani hanno libero accesso, grazie all’antica amicizia tra i due paesi.

È stato difficile far accettare a amici e familiari la tua decisione di partire? 

Qui in Inghilterra no. Perché l’ambiente è molto cosmopolita. Tanti dei miei amici hanno a loro volta amici iraniani, quindi non ci vedevano niente di strano. In Italia invece mi hanno preso per pazza. Tutti mi chiedevano perché proprio l’Iran; mi dicevano che sarebbe stato pericoloso andare in treno e attraversare il confine. A dire la verità io mi sono sempre sentita al sicuro. La situazione in Medio Oriente era più tranquilla rispetto a tempi recenti. Si sentiva parlare di Daesh e di scontri nel Kurdistan iracheno. Ma niente di tutto ciò succedeva in Iran. La maggioranza degli iraniani sono sciiti, infatti anche le donne non devono essere completamente coperte. Ovviamente c’è chi lo fa, ma c’è anche tutto un mondo di donne che hanno lenti a contatto colorate, nasi rifatti, capelli biondi eccetera che sfoggiano a modo loro. La prima volta che ho messo l’hijab è stato nell’est della Turchia quando sono scesa dal treno al confine.

Non sappiamo assolutamente niente. In Iran la cultura dei giovani è in tutti i sensi una subcultura. Perché i giovani iraniani fanno esattamente tutto quello che facciamo noi, ma lo fanno 5 o 6 metri sottoterra, nascosti nei cantieri, nei seminterrati, nelle fattorie. E non perché è figo farlo, ma perché altrimenti ti arrestano. Tutti i miei amici hanno Facebook, ma è vietato per legge insieme ad Instagram ed altri social network. Internet ha un filtro che ti impedisce di accedere molti siti, ma è stato trovato il modo per aggirarlo e avere comunque accesso al web. Vanno tutti pazzi per i social networks occidentali. Anche Couchsurfing è illegale, ma la gente lo fa lo stesso. Io ho conosciuto un ragazzo su Couchsurfing che ho poi incontrato a Shiraz. Anche se non mi ha potuto ospitare ha voluto conoscermi per parlare inglese e portarmi in giro.

Quando ero a Teheran mi hanno raccontato di un parco in cui giovani amanti si incontrano in segreto

In generale l’Iran non è un paese che promuove la coesione sociale. Per esempio i sessi a scuola sono separati fino all’università. E anche in città è difficile incontrarsi: un uomo e una donne che vanno in giro insieme devono essere parenti o sposati se non vogliono passare guai; anche riunirsi in più di cinque persone in luoghi pubblici desta subito l’allerta della polizia. Quando ero a Teheran mi hanno raccontato di un parco in cui giovani amanti si incontrano in segreto, ma lo fanno mentre girano in macchina per non attirare l’attenzione. Si scambiano i numeri abbassando il finestrino!

Un’altra cosa interessante è che in Iran si vede un sacco di televisione americana e ci sono molti programmi per il pubblico all’estero. La mia amica gallerista lavora anche per Manoto.tv una televisione britannica che trasmette da Londra e che appunto offre programmi in Farsi per iraniani all’estero con usi e costumi occidentali.

Pensi che sia possibile un graduale attenuamento delle politiche repressive per quanto riguarda la produzione culturale e musicale in Iran?

Questa è una domanda difficile. Da quello che ho sentito c’è una forte voglia di cambiamento da parte dei giovani iraniani. Sono stanchi di politiche repressive che li costringono a nascondersi. Purtroppo non credo che la classe dirigente presente al momento permetterà questo cambiamento. Forse ci sarà un’ulteriore chiusura, forse serve solo un ricambio generazionale? Potrebbe anche succedere che niente cambi e che ci sia una fuga di cervelli come in tanti altri paesi. Sembra ci sia una tendenza per molti paesi medio-orientali a diventare ultra capitalisti e forse i giovani lo percepiscono sempre di più. Un amico si lamentava con me che molti giovani provenienti da famiglie benestanti pensano solo a rifarsi il naso, comprare macchine, vestiti e non mostrano nessun interesse nel voler cambiare l’Iran. Mentre coloro che hanno le idee e la voglia di cambiare le cose, sono scoraggiati dalla mancanza di risorse e supporto.

L’Iran purtroppo non è un paese libero, è retto da un regime. E la cosa più sconvolgente è che la gente ha tanta voglia di vivere e nonostante il paese sia molto represso, è anche un paese felice. L’Iran va visto da molti punti di vista per essere compreso a pieno. Tante persone che ho conosciuto se ne vogliono andare e hanno un forte desiderio di cambiare il paese. Forse qualcosa cambierà tra una ventina d’anni, quando gli adolescenti di oggi che sono cresciuti con principi diversi da quelli che hanno animato la rivoluzione, diventeranno la classe dirigente. Chi sa che ne sarà dell’Iran tra vent’anni! E’ possibile farsi un idea attraverso i lavori di Newsha Tavakolian una fotoreporter e documentarista iraniana. Uno dei suoi ultimi progetti è diventato copertina del Times di recente, penso che il suo approccio sia molto interessante.

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Photograph by Newsha Tavakolian—Magnum for TIME
Tempo fa mi hai consigliato un bellissimo film che ho guardato con molto piacere, I Gatti Persiani di Bahman Ghobadi (2009). Il film è ambientato nella Teheran odierna e racconta la storia di due giovani musicisti alle prese con la terribile rigidità della legge locale. Girata senza autorizzazione, questa pellicola rappresenta una forte denuncia della forzata clandestinità di band e musicisti in Iran. Ogni scena racconta un aspetto diverso del panorama musicale underground iraniano, dall’indie rock al rap, all’heavy metal.
Cosa ne pensi del film e quanto di ciò che viene raccontato hai personalmente vissuto durante il tuo viaggio?

Il film è abbastanza veritiero, ritrae bene la realtà underground iraniana. Quando ero a Teheran sono stata a casa di amici del ragazzo che mi ospitava, un’insegnante di Francese e un musicista. Ci hanno offerto l’Arak un drink tipico dei paesi arabi, dell’erba da fumare e abbiamo passato la serata a chiacchierare e suonare. In Iran le feste in casa sono molto in voga, solitamente si tengono in seminterrati mentre i ragazzi che appartengono ai ceti più abbienti si trovano in location segrete fuori Teheran.

Inoltre tutti sono molto creativi e vivono molto male il fatto che non possono esprimersi, talvolta nascondendosi anche dalla propria famiglia. Lo scenario descritto nel film è reale ma da turista non è possibile averne accesso, perché è una realtà veramente underground: è impossibile arrivarci a meno che non ci si venga portati da qualcuno del posto.

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Foto tratte dal reportage Sar Zamin a cura di Giulia Frigieri; Copyright Giulia Frigieri
Il tuo futuro ti riporterà in Iran?

Assolutamente sì. Stanno accadendo molte cose interessanti in Iran, soprattutto relative allo sport. In particolare, Waves of Freedom è un organizzazione di volontariato no-profit e scuola di surf gestita da donne nella regione del Baluchestan, che ha l’obiettivo di promuovere l’empowerment e la libertà di giovani donne e bambine. Un’altro fatto interessante di cui però non si parla: in Iran c’è anche un’attiva scena snowboard and skiing , perché ci sono zone climatiche e località montane adattissime per questi sport. Quindi, sì, sicuramente tornerò in Iran.

Voglio imparare il Farsi che è una lingua meravigliosa, perché in nessun’altra lingua al mondo ci sono dieci modi di dire grazie.


Edited by Celine Angbeletchy

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    Stories

    EAST LONDON PT. 1 – N°8

     

    Parnell Road bus stop, Old Ford Road, London
    Parnell Road bus stop, Old Ford Road, London

    Cuore dell’East End londinese.

     Prendere il bus n°8 per percorrere il tratto Roman Road-Liverpool street riserva ogni giorno peculiari sorprese.

    Roman Road è situata esattamente a metà tra i residenziali sempreverdi confini di Victoria Park ed i modesti multietnici quartieri di Bow e Mile End.  Punto di contatto con la realtà per gli abitanti della residenziale ma auratica Hackney Wick, questa antica strada romana è uno dei luoghi in cui prendono vita le drammatiche contraddizioni e le antinomie culturali che rendono unico l’est di Londra.  Viverci comporta l’essere immersi in un insieme eterogeneo di persone, colori, tradizioni, luoghi, situazioni, culture in continuo movimento. Un costante divenire in cui le regole del gioco che influenzano le vite di milioni di persone sono dettate da esigenze prettamente economiche.

    Da pendolare abitante del quartiere percorro ogni giorno lo stesso breve ma intenso percorso e, curiosa, osservo gli usi e i costumi degli strani personaggi che popolano l’area. Per questo motivo ho voluto descrivere i luoghi, le atmosfere e le specie rare di questa giungla post-moderna che tanto mi affascina.

    9:12 AM – Parnell road

    Sonno, confusione, il sapore di Yorkshire tea ancora sulle labbra, mentre lascio Morfeo e Hackney Wick alle mie spalle. Sbircio l’8 in lontanza. Leggero e aggraziato come un lottatore di wrestling ubriaco, finalmente accosta. Salgo, “tocco” la mia Oyster e l’avventura inizia.

     

    9:16 AM – Old Ford road

    Importante via di comunicazione della Britannia romana, poi estesa in era vittoriana, Old Ford Road riassume in modo semplice e immediato la dualità dell’architettura e della composizione sociale dei quartieri londinesi: da un lato della strada sulle rive di Regent’s Canal si trovano lussuosi appartamenti perfetti per gli idealtipi giovani in carriera o nuove famiglie benestanti; dall’altro lato della strada council estates, quelle che in Italia chiamiamo case popolari. Dati i nuovi trend urbanistici che producono esclusione e marginalità tramite l’organizzazione settoriale e di classe del territorio, è naturale chiedersi come sia possibile che le residenze di persone appartenenti a classi sociali opposte, l’una medio alta e l’altra medio bassa, siano separate da qualche metro di asfalto. Perchè il prezzo delle case raddoppia, se non triplica, da una parte all’altra della strada? Il significato del fenomeno studiato come gentrificazione ci spiega il motivo di questa particolare geografia sociale. In breve, le case popolari di Old Ford Road saranno presto rimpiazzate da nuovi appartamenti destinati all’elité Londinese, sempre alla ricerca di nuovi lidi trendy da conquistare. La conseguenza di questo processo è una dittatura spaziale promossa dalle logiche economiche del mercato globale che sposta a proprio piacimento fasce di popolazione sul territorio come fossero pedine di un’immensa scacchiera virtuale. La riqualificazione del quartiere limitrofo Stratford per i giochi olimpici del 2012 e’ un esempio perfetto di questo processo di radicale trasformazione del territorio.

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    9:21 AM –Ford Road / Roman Road Market

    Lo storico, colorato mercato di Roman Road è un vero e proprio punto di incontro e di socialità per centinaia di abitanti dell’Est di Londra. Riuscire a raggiungere Liverpool street nei giorni pari della settimana può essere una vera impresa, in quanto la strada si riempie di persone e merci di ogni sorta.

    Ed, che da anni siede in quel punto preciso, nel solito angolo della solita strada, è un assiduo spettatore del brulicare generale nei giorni di mercato. Giacca e pantaloni neri, stivali a punta di pelle, una quantità eccessiva gel nei pochi capelli bianchi-tendenti-al-rossiccio rimasti. Con fare amichevole ma impacciato, saluta allegro ogni singolo passante.

    Se ci si chiede quali siano le caratteristiche che permettono di definire “underground” un’area urbana e i movimenti che da essa provengono, la soluzione più ovvia è camminare per le vie di un mercato locale. Il miscuglio di generazioni, costumi ed etnie produce un melting pot che evade dalle logiche di standardizzazione e omologazione imposte dalla società dei consumi. Il mercato di Roman Road informale, alternativo e diversificato, è un perfetto esempio di questo fenomeno.

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    9:32 AM Roman Road/Grove Road

    La stanchezza continua ad avere la meglio sul caos mattutino mentre rimbalzo impassibile al ritmo di dossi e manovre. Accostiamo di nuovo. Una bellissima donna africana di mezza età mi sorride e si siede davanti a me. Guardo fuori. L’ultima cosa che voglio in questo momento è iniziare una conversazione. Non voglio iniziare una conversazione.

    “How are you, darling?” – inizia la conversazione.

    Nonostante il mio evidente divertito imbarazzo e ovvia riluttanza a socializzare, la signora – eloquentissima – riesce a rifilarmi il biglietto da visita della chiesa locale di cui fa parte. Londra pullula, letteralmente, di chiese e congregazioni religiose di ogni tipo. Per fare un esempio a Hackney Wick, quartiere che ospita il maggior numero di artisti in tutta Europa, si trovano diverse chiese battiste come The Mountain of Fire and Miracles e Places of Worship International. Una di queste la New Bethel Revival Ministry International, ha un distaccamento persino a Vicenza. Quale entusiasmo ogni domenica nel vedere adulti e bambini vestiti di tutto punto sfilare per le strade di Hackney Wick mentre nel sottofondo i bassi nei warehouse ancora pompano dalla sera prima.

     

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    9:39 AM –  Bethnal Green

    Con grande sollievo la mia malcapitata interlocutrice è arrivata a destinazione. “Bye darling, take care. God bless.”

    Il mastodontico “8” continua il suo percorso verso ovest tra i vari ostacoli di percorso. Passiamo l’incrocio con Globe Road, come al solito, ammiro il Buddhist Centre e le caratteristiche case vittoriane ad esso adiacenti. Mi manca vivere qui. Bethnal Green è sicuramente uno dei quartieri più carini ed eleganti di tutto l’East London, perfetto per creatives sulla trentina o poco più pronti a metter su famiglia.

    Ed ecco che sale la signora Joanne, “tocca” il suo freedom pass e sistema il passeggino, mentre alcuni passeggeri sorridono a Charlie, un simpatico Westie bianco a bordo di esso.
    Joanne deve essere stata molto bella da giovane, ma gli anni e la città hanno avuto la meglio su di lei. Solitamente indossa una cappotto beige e dei pantaloni stampati di un turchese accecante. Affronta sicura la folla metropolitana, sguardo fisso nel vuoto e una lunga lista di cose da fare che instancabilmente continua a ripetere ad alta voce. Oggi Joanne viaggia solo per due fermate. Barnet Grove, le porte si piegano aprendosi come un origami animato. Mentre spinge Charlie giù dal bus, la sua tenerezza attira sguardi strani. Il mio infastidito animo mattutino pensa fottetevi.

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    9:45 –  Brick Lane

    Il volto della strada cambia mentre ci avviciniamo a destinazione. I council estates e i negozi di coloratissima frutta esotica iniziano a scomparire per lasciare spazio a ateliers, tattoo studios e appartamenti nuovissimi. Ding! Un ragazzo sulla ventina con una barba rossiccia così folta e lunga da far invidia persino al fedele Agrid prenota la fermata. Impossibile non notare il capellino griffato in coordinato con i sosfisticati jeans di salvage denim. In questa parte della città la creatività si esprime in tutte le sue più bizzarre – quanto omologate – forme. Brick Lane, insieme ai quartieri di Dalston e Shoredicth, unisce moda e tradizione  creando un epico e metaforico scontro tra titani. In questa via, situata nel peculiarissimo quartiere Banglatown, i numerosi ristoranti indiani si alternano a negozi di vestiti e accessori vintage, moschee, gallerie d’arte, pub e cafè. Questo tripudio di culture e stili di vita si anima ancora di più durante il mercato settimanale, luogo ideale in cui trascorrere vivaci, soleggiate domeniche.
    Mentre pesante l’8 riparte portandosi dietro carcassa e passeggeri, il capellino e la barba gigantesca del mio fugace compagno di viaggio scompaiono in lontananza.

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    9:57 AM- Destinazione:

    Shoreditch High street, Primerose street, Liverpool street. Liverpool street!
    Scendo dal bus alla velocità della luce e come un giocatore di football americano in missione verso un touch down, attraverso la iper-affollata hall della stazione di Liverpool Street a forza di “excuse-me” e spallate.

    Tutto questo osservare per un attimo mi aveva distolta. Meglio sbrigarsi, Pimlico è lontana e devo partire per un altro viaggio, questa volta tutto underground.

    Bethnal Green Road, London | Foto di Celine Angbeletchy
    Bethnal Green Road/Shoreditch High Street, London

    |  Foto e concept di Celine Angbeletchy  |   The Factory   |

    Factory Asks

    FACTORY ASKS 0007: BEATRICE LA VISIONARIA

     

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    Nome Artista 0007: Beatrice La Visionaria

    BIO

    Per tutti sono Beatrice La Visionaria. Nata a Lucca, giovedì 13 marzo del 1986 alle 13:56 in una splendida giornata di pioggia. Dopo un po’ di candeline spente sono arrivata all’Istituto d’Arte “A. Passaglia”- finalmente! Da lì in poi ho scarabocchiato, disegnato e dipinto su tutto quello che mi è capitato tra le mani. Sebbene abbia avuto l’occasione di partecipare a diverse mostre personali, è in mezzo agli altri, nella condivisione, che amo lavorare; che sia durante un live o un dj-set, partendo da una tela bianca, seguo la musica e vado con lei. Il resto di me lo trovate nei miei lavori.

    01. Come hai intrapreso questo percorso artistico?

    Mi chiamo Beatrice. Ho cominciato a parlare a tre anni e chiaccherare non è mai stato il mio forte. Se un estraneo mi rivolgeva parola rispondevo sì, no, non so. E se insisteva rispondevo quello che voleva sentirsi dire. Le cose una volta pensate, che bisogno c’è di dirle? Come disse di me ai miei uno psicologo: “La bambina ha il sé grandioso.” Ci vollero un paio di anni alle elementari per capire che dovevo comportarmi come tutti gli altri. Il segreto era di confondersi come una sardina in un banco di sardine. Ora nessuno mi rompeva più. La mosca era riuscita a fotterli tutti. Perfettamente integrata nella società di vespe. Credevano che io fossi una di loro. Una giusta. Ma più inscenavo questa farsa e più mi sentivo diversa. Da sola ero felice con gli altri dovevo recitare. Questa cosa mi impauriva. Avrei dovuto imitarli per il resto della vita? Niente di male, sempre che non ci sia niente di male a smettere di fare quello che si vuole per essere accettati nel vespaio.

    IMG_938902. A chi o cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

    Immortalo i sentimenti del personaggio femminile che ho creato, La Visionaria, che poi sarebbe mia madre che muta e cambia nei dettagli,        ma gli stati d’animo che dipingo sono i suoi. La predilezione dell’universo femminile è sicuramente la caratteristica dei miei lavori.

    03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

    Riuscire a trasmettere con i miei lavori ciò che con le parole non so spiegare.

    04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

    La Visionaria con i suoi sentimenti, le sue passioni e le sue paure.IMG_9382

    05. Che cosa vuol dire underground per te?

    Produrre fuori dagli schemi tradizionali e commerciali.

     

     

     

    | The Factory | Beatrice La Visionaria |

    “Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”


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    | FOTO&CONCEPT BY NICOL P. |

     

    Factory Asks

    FACTORY ASKS 0006: LIIA AHOLA

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    Artist’s Name 0006: Liia Ahola

    BIO

    I was born in Finland in a family with quite artistic roots. My mother is some sort of poet, my mother’s mother crafts little clay things and my father’s father was a painter. Maybe it’s the genes, maybe the environment or perhaps some coincidence that supported my drawing hobby. However, at the beginning it was just my childish natural interest towards creating, so it’s really hard to say that at what point it turned out to be “my thing”.

    01. How did your artistic career begin?

    I used to go to an art club before teenage years. After that I decided to specialise in visual arts and design in my upper secondary school (in Finnish school system). There I studied 26 art and design courses, and I learned the basics of different techniques and theories. Though I would say that my artistic career really started after graduating. It was the beginning of the beginning. I started looking for my own voice, and I’m still on that way.

    12084850_982634965131615_1170144426_o02. What is you work mainly inspired by?

    For me making arts is sort of a way to talk with my soul, a way to face myself. And it’s more like a place to go rather than a thing to do. I go there whenever I lose myself in either the mysteries of life, or daydreams, love or pain. Human nature and feelings are an endless source of inspiration for me. Also, the people that I love inspire me. And animals. And nature. And the universe itself. Existence of everything. 

     

    03. As an artist what is your maximum aspiration?

    Well, so far each time someone wants to have my drawings or paintings on his/her wall my heart warms up. Making art feels meaningful when it gives joy to other people (and to me as well). It would also be cool to have my artworks in places where people could see them. In galleries, bars or some other suitable location. Even though, my highest aspiration at the moment is to be able to create, to enjoy and to give joy to other poeple as much as possible. It would also be very cool to collaborate with other artists, make some performances or collaborative paintings, maybe also some videos.

    04. Is there a characterising message related to your work?

    Not really. Often the message of my artworks is posive, or it’s about something that you need to think twice in order to understand, or even interest towards some phenomenon. Sometime it could be a bad joke that nobody understands. But not really.

    05. What does underground mean to you?

    I see underground art simply as something that has been done from desire of making it. From desire of saying something aloud or expressing oneself. Pure art without other things influencing it.


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    VERSIONE ITA :

    BIO

    Sono nata in Finlandia in una famiglia dalle radici artistiche. Mia madre è una specie di poeta, mia nonna produce prodotti artigianali di argilla e mio nonno era un pittore. La mia passione per il disegno, forse viene dai geni, forse dall’ambiente in cui sono cresciuta, o forse è solo una strana coincidenza.

    01. Come hai intrapreso questo percorso artistico?

    Prima dell’adolescenza frequentavo un corso d’arte. Dopodiché al liceo ho deciso di specializzarmi in arti grafiche e design nella mia scuola secondaria (sistema scolastico finlandese). Lì ho seguito 26 diversi classi di design e arti visuali e grafiche e ho imparato i fondamenti delle diverse tecniche e teorie. Il mio percorso artistico però è iniziato davvero solo dopo che mi sono laureata.

     

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    02. A chi o a cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

    Per me fare arte è un modo per comunicare con la mia anima, per confrontarmi con me stessa. Ed è più un posto in cui vado piuttosto che una cosa che faccio. Ci vado ogni volta che mi perdo nei misteri della vita, dell’amore, del dolore, o quando sogno ad occhi aperti. La natura umana e i sentimenti sono un’ infinita fonte di ispirazione per me. Anche le persone che amo mi ispirano. E gli animali. E la natura. E l’universo stesso. L’esistenza del tutto.

    03. In quanto “artista” qual è la tua massima aspirazione?

    Ogni volta che qualcuno vuole avere i miei disegni sulla sua parete mi si scalda il cuore. Fare arte ha senso quando dà gioia alle persone (e anche a me). Mi piacerebbe anche che i miei lavori fossero esposti in luoghi in cui la gente li può ammirare. Gallerie, bar o altri posti adatti. Però la mia più grande aspirazione al momento è essere in grado di creare, divertirmi e dare gioia alle persone il più possibile. Mi piacerebbe molto anche collaborare con altri artisti, creare performance, dipinti condivisi e anche video magari.

    04. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

    In realtà no. Spesso il messaggio dei miei lavori è positivo o riguarda qualcosa su cui devi riflettere bene prima di capire o l’interesse verso un particolare fenomeno. O qualche volta è una battuta che nessuno capisce.

    05. Che cosa vuol dire underground per te?

    Per me arte undeground identifica qualcosa che è nato dal desiderio di creare, di dire qualcosa ad alta voce o di esprimersi. Arte pura, senza influenze esterne.

     

    | The Factory | Liia Ahola |

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    “Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.” 

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    VOGUE, STRIKE A POSE

    Italian Version

    Queer, music, dance and social stigma mixed together bring to life a new cultural dimension that escapes from mainstream trends and gives everybody the opportunity to shine, to be someone.
    Malcolm-McLaren

    “This society – going to a football game, basketball – that’s their entertainment. You know, a ball is ours. We prepare for a ball. We may spend more time preparing for a ball than anybody would spend preparing for anything else. You know, a ball is like our world. A ball, to us, is as close to reality as we’re gonna get to all of that fame and fortune and stardom and spotlights.”

    From the documentary “Paris is Burning”, 1990
    A new dimension

    Vogue, a word that certainly doesn’t sound new. Well-know fashion magazine, unforgettable hit from the singer Madonna, but also emblematic artistic phenomenon that for decades has sparked the underground urban scene in many cities around the world.

    This word not only refers to a contemporary style of dance, but it also indicates a sub-culture rooted in the queer, LGBT, working class black and latin communities of New York and other American cities. It combines various forms of self-expression, dance in the first place, but also music and fashion, with  political and social issues such as status, ethnicity and sexual orientation. However, the element that mostly characterises this cultural movement is the dance style: vogueing. It combines plastic poses and fluid movements performed with arms and hands, and, unsurprisingly, the name refers to the influential fashion magazine, as the moves and gestures aim at recreating those iconic poses.

    ParisIsBurning122v02v
    Copyright the documentary “Paris is Burning
    Into the sub-culture

    Unlike other dance styles come to light from urban sub-cultures such as hip hop or breakdancing – where performances take place mostly on the street – the so-called “ballrooms” have a prominent role for vogueing. In these venues the various “houses” (crews of dancers organized hierarchically like real families) organize balls: competitions where the voguers or ball- walkers perform in different categories (e.g. Fantasy, Realness, etc.).

    Since the Sixties vogueing has evolved in several different styles. The Old Way, popular before 1990, can be seen as a real fight between two rivals walkers. In the famous documentary on the Vogue culture “Paris is Burning“, Willi Ninja says:

    “Now, where street gangs get their rewards from street fights, a gay house street-fights at a ball. And you street-fight at a ball by walking in the categories.”

    The New Way style, characterized by geometric, articulate movements, was mainly performed during the first half of the nineties. It diverges consistenlty from another style, the Vogue Femme, more graceful and fluid, that since 1995 has evolved significantly creating two new subcategories: Dramatics, highly energetic acrobaticstyle and Soft and Cunt, more feminine and sensual.

    The rise of vogueing

    Born from the working class communities of the american inner cities, vogueing expanded overseas. In the United Kingdom the Vogue scene has spread from London to other cities like Liverpool, Manchester and Glasgow, where it recently regained a strong importance. Every year the city of Liverpool hosts the largest national Vogue competition, the “House of Suarez Liverpool’s Ball”. The event is organized by Darren Suarez, a professional dancer and mother of the House of Suarez. For what concerns the capital, the best ways to be part of the London vogueing scene is to attend the House of Trax nights. These old-school parties are organized monthly in East London by the music label Trax Coture. It promotes club music such as Chicago, Detroit and Baltimore House, that have recently become prominent in the British underground electronic scene.

    Thanks to professional crews of dancers, fashion shows and celebrities the vogue culture reached the whole world. At the beginning of the nineties Madonna (with her single “Vogue”) and Malcom McClaren were the first to let vogueing be known outside the USA.

    Lately the british singer, dancer, producer, choreographer and director FKA Twigs, whose reputation is growing exponentially worldwide, made vogueing the hallmark of her performances. Unwillingly she has become one of the main promoters of Vogue in the current music industry by performing with professional voguers as Benjamin Milan (mother of the House of Milan) in the acclaimed shows “Congregata” and in some of  her music videos.

    A new powerfull and expressive style

    In recent years, the artistic and expressive power of this style of dance has grown as never before, reaching the Far East. In particular, this culture in Japan is a real art and fashion trend. Aya Sato and Bambi, media-artists, dancers, choreographers and models have an incredible entourage. They organize workshops and take part in international art projects. Thanks to their talent and their originality, Aya Sato and Bambi were chosen by Madonna as backup dancers for her infamous performance at the Brits Awards 2015.  With no doubt these two artists will bring new interesting outlooks to the nipponic Vogue scene.

    The artistic and conceptual mix of dance, fashion and music as forms of self-expression, make vogueing and, more generally, the Vogue culture a phenomenon of incomparable originality. Thanks to plastic poses and movements that often resemble those of a mime, Vogue put into direct contact dancers and spectators. It is a unique form of art that represents a political statement, not only it outlines social status and cultural background, it also unveils the desires, passions and dreams of an individual.

    As Madonna says:

    “Life’s a ball, so get up on the dance floor.”

    Quando queer, musica, danza e stigma sociale si uniscono e si forma l’alchimia che porta alla luce una dimensione culturale nuova, folle, che quindi evade dalle logiche mainstream e dà ad ognuno la possibilità di brillare, di essere qualcuno a modo suo.
    Malcolm-McLaren

    “This society – going to a football game, basketball – that’s their entertainment. You know, a ball is ours. We prepare for a ball. We may spend more time preparing for a ball than anybody would spend preparing for anything else. You know, a ball is like our world. A ball, to us, is as close to reality as we’re gonna get to all of that fame and fortune and stardom and spotlights.”

    Tratto dal documentario “Paris is Burning”, 1990
    Una nuova dimensione

    Vogue, è una parola che sicuramente non vi suonerà nuova. Nota rivista di moda,  famoso singolo di Madonna.

    Vogue è anche un emblematico fenomeno artistico di grande rilievo, che ha animato per decenni ed anima ancora oggi la scena underground di molte città del mondo.

    Il termine non si riferisce solamente ad uno stile di danza contemporanea. Il richiamo nascosto è in quella che viene considerata una “vera e propria cultura radicata” nelle comunità queer e LGBT della classe operaia nera e latina di New York ed altre città statunitensi.

    Dove si uniscono diverse forme di auto-espressione, come la danza, ma anche la musica e la moda, e temi di natura politico-sociale come lo status, l’etnia, l’orientamento sessuale.

    Tuttavia, l’elemento che più caratterizza questo movimento culturale è sicuramente lo stile di danza, appunto vogueing, che mescola pose plastiche a movimenti fluidi eseguiti con braccia e mani.

    Non a caso, il nome rimanda proprio alla famosa rivista, poiché le movenze e i gesti di questa danza vogliono ricreare le stesse pose e immagini di quelle iconiche pagine patinate.

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    Copyright the documentary “Paris is Burning
    Parte di una sotto-cultura

    Al contrario di altri stili di danza nati da subculture urbane come l’hip hop o la breakdance in cui le performance avvengono principalmente per strada, il luogo prediletto per il vogueing sono le cosiddette ballrooms.

    All’interno di queste sale da ballo le varie houses, ovvero crews di ballerini organizzate gerarchicamente come vere e proprie famiglie, organizzano i balls:

    • competizioni in cui i voguers o ball-walkers si esibiscono in diverse categorie (Fantasy, Realness, Solo ecc.).

    Dagli anni Sessanta fino ad oggi il vogueing è andato evolvendosi, costituendo diversi stili.

    Lo stile Old Way, stile in voga prima del 1990, si configura come una vera e propria battaglia tra due walkers rivali. Nel famoso documentario sulla cultura Vogue Paris is Burning, un giovane parlando del significato del termine “house” afferma:

    “Una house è una gang di strada gay. Se una gang di strada accresce la sua reputazione con gli street fights, una house lo fa esibendosi nelle categorie dei balls.”

    Lo stile New Way della prima metà degli anni Novanta è caratterizzato invece da movimenti geometrici e articolati, a differenza del Vogue Femme, più aggraziato e fluido. Quest’ultimo dal 1995 in poi si è evoluto, dando vita a due nuove sotto categorie:

    • Dramatics, stile acrobatico ed energetico, e Soft and Cunt, più femminile e sensuale.
    L’ascesa del vogueing

    Nato dalla dimensione comunitaria dei bassifondi delle inner cities americane, il vogueing si è poi esteso oltreoceano. Nel Regno Unito la scena Vogue si è diffusa da Londra ad altre città del paese come Liverpool, Manchester e Glasgow, nelle quali ha recentemente riacquistato una forte centralità.

    In particolare, a Liverpool ogni anno si tiene la competizione Vogue più grande a livello nazionale, il “Liverpool’s House of Suarez Ball”. L’evento è organizzato da Darren Suarez, ballerino professionista e mother, cioè fondatore, della House of Suarez.

    Per quanto riguarda la capitale, uno dei migliori modi per assistere ai più spiccati talenti della scena Vogue londinese è partecipare alle serate House of Trax.

    Questi party old-school organizzati mensilmente nell’East London, sono animati dai beat caratteristici della Chicago, Detroit e Baltimore House. Perchè sono generi che da qualche anno sono tornati in voga nella scena elettronica underground britannica.

    Tutto questo grazie a etichette come la Night Slugs, che vanta artisti del calibro di Jam City e L-vis 1990.

    Grazie a crews di ballerini professionisti, fashion shows e celebrità la cultura Vogue si è estesa in tutto il mondo.

    All’inizio degli anni Novanta Madonna con il suo singolo “Vogue” è stata una delle prime insieme a Malcolm McLaren a rendere noto alle grandi masse questo movimento culturale.

    Oggi, il merito per aver riportato all’attenzione internazionale, questo affascinante stile di danza va sicuramente a FKA Twigs.

    La cantante, ballerina, producer, coreografa e regista inglese la cui notorietà sta crescendo esponenzialmente in tutto il mondo, ha fatto del vogueing un tratto distintivo delle sue performance.

    Esibendosi con voguers professionisti come Benjamin Milan (mother della House of Milan) nei suoi spettacoli “Congregata” e in alcuni dei suoi video, Twigs ha riacceso i riflettori sul Vogue diventandone un’importante promotrice.

    Uno stile potente ed espressivo

    La potenza artistica ed espressiva di questo stile, negli ultimi anni è esplosa come non mai, arrivando anche in estremo oriente.

    Il vogueing in Giappone è una vera e propria moda.  

    Aya Sato e Bambimedia-artists, ballerine, coreografe e modelle unite sia nel lavoro che nella vita – organizzano numerosi workshops di vogueing molto partecipati e apprezzati in tutto il mondo.

    Proprio grazie al loro talento e alla loro originalità sono state volute dalla grande Madonna, come backup dancers per la sua esibizione ai Brit Awards 2015.

    E’ indubbio che il futuro di queste due artiste nella scena Vogue nipponica ci riserverà molte interessanti sorprese.

    La commistione di danza, moda e musica, rendono il “vogueing” e la cultura Vogue un fenomeno di originalità inequiparabile. Attraverso pose plastiche e movenze che spesso ricordano quelle di un mimo, questa espressione d’arte sembra mettere in contatto diretto ballerini e spettatori. Il vogueing è un vero e proprio linguaggio del corpo, e non ha solamente l’obiettivo di impressionare o emozionare. Ci racconta l’intero universo di un individuo: non delinea solamente il suo status sociale e il background culturale, ci parla dei suoi desideri, dellle passioni e dei sogni. Racchiude quello che pensiamo che la società ci impedisca di essere o di avere. I voguers usano il loro corpo per esprimersi tramite un linguaggio inclusivo e universale che proprio grazie alla sua unicità sta tornando in voga nei panorami urbani di tutto il mondo.

    D’altronde, proprio secondo Madonna:

    “life’s a ball, so get up on the dance floor!”.

    Edited by Celine Angbeletchy

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      Stories

      L’UNDERGROUND A MILANO NON E’ MORTO, E’ SEPOLTO VIVO.

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      Cox, Milano

      Nel 1961 Marcel Duchamp immaginava l’underground come la nuova via da percorrere per gli artisti che volevano distinguersi all’interno nuovo panorama culturale dominato principalmente da logiche economiche[1]. Secondo questa definizione, le forme d’arte e di espressione underground si pongono in antitesi ad una concezione dell’arte come prodotto per le masse. Le conseguenze dei processi mediatici e sociali imposti dalla nuova economia incidono profondamente sulla dimensione artistica e culturale delle grandi città di tutto il mondo.

      Dato che nel nostro paese Milano è una delle città che più risente degli effetti delle politiche economiche dettate dalla nuova economia, ho deciso di intervistare quattro dj e produttori che vivono e lavorano a Milano, per scoprire se esiste ancora una scena underground in questa città, almeno dal punto di vista musicale, e qual è il futuro di essa.

       

      1. Chi sei e di che cosa ti occupi a Milano?

      Butti: Sono Andrea Buttinelli e al momento vivo a Londra ma sono nato e cresciuto a Milano, dove tra un lavoretto e l’altro ho organizzato concerti e serate fin da quando avevo 15 anni e ho iniziato la mia carriera da dj e produttore musicale.

      Nobel: Ciao, sono Francesco, in arte Nobel, da alcuni mesi non vivo più a Milano ma ci vivevo fino a poco tempo fa. Quando ero lì, ero dj e produttore. In realtà nasco come produttore ma è da ormai parecchi anni che faccio entrambi per lo stile di musica che mi piace produrre, fare il dj è una naturale conseguenza.

      Federico – Ltd Colours: Ciao, sono Federico e faccio parte, insieme a Riccardo, del duo Ltd Colours. Sono un produttore di musica elettronica e dj. Ltd Colours affonda le sue radici nella bass music e nasce dal desiderio, da parte di entrambi, di voler sperimentare, senza porci troppi paletti, con le differenti sfaccettature e sonorità che compongono il panorama della musica elettronica. Nel nostro primo EP uscito per Infinite Machine, abbiamo cercato di trasmettere proprio questo concetto, spaziando dalla jungle alla techno, alla dubstep, alla power house.

      Riccardo – Ltd Colours: Sono Riccardo Baldoni, fonico di “Presa Diretta” e post-producer per vari studi di produzione video e ma, soprattutto sono un electronic music producer e dj nel progetto Ltd Colours insieme a Federico Nosari.

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      Ltd Colours

      1. Come descriveresti la scena artistica in cui si inserisce il tuo lavoro?

      Butti: Penso che il termine scena costituisca un limite per l’arte stessa.

      Nobel: La definirei viva e in continua evoluzione, qualcuno direbbe “satura“ ma penso che non sia il termine adatto, penso che “saturo“ sia qualcosa che si può riempire completamente e che quindi abbia un limite, una scena musicale non ha di questi vincoli fortunatamente.

      Federico – Ltd Colours: La scena della bass music a Milano è realmente qualcosa di underground. Difficilmente, infatti, si riesce ad attirare il grande pubblico a serate di questo tipo. Si tratta di un genere che affonda le radici nella tradizione musicale britannica, senza dubbio estremamente differente dalla nostra. Per questo, probabilmente, il pubblico italiano risulta un po’ scettico e restio nei confronti di qualcosa che non conosce bene e che non appartiene al proprio bagaglio culturale. Nonostante questo, esistono collettivi e promoter come Lobo, Skeng, Elita che fanno del loro meglio per promuovere serate di qualità e artisti di rilievo.

      Riccardo – Ltd Colours:  Anche se Ltd Colours trae ispirazione da molti e differenti ambienti musicali (tra i quali la scena techno berlinese, quella proto-DNB e garage londinese, quella house East Coast Americana e quella house francese) penso che il termine più efficace per descrivere la scena nella quale siamo inseriti sia Bass Music.

       

      1. Quali sono i luoghi a te più cari per quanto riguarda i movimenti underground che si sono costituiti e succeduti nella scena milanese?

      Butti: Lo SGA di Arese va assolutamente al primo posto. Ora non esiste più ma è stato per molti anni un punto di riferimento soprattutto per la musica hardcore punk. Qualcuno una volta l’ha definito il CBGB d’Italia… entrare a far parte del collettivo di questo posto è stata la mia prima esperienza nel mondo della musica. Altri locali che meritano assolutamente un posto nel mio cuore sono Magnolia, Dude, Lo-Fi, Biko, Leoncavallo (e il suo vecchio basement Dauntaun)… Ho menzionato solo quelli a me piu cari, ma ce ne sono MOLTI altri.

      Nobel: Posti importanti per la mia evoluzione musicale sono stati i Magazzini Generali, il Black Hole, il Biko, il Rocket e altri che che ora non ricordo neanche. A Milano la prima realtà musicale underground che ho seguito è stata la serata Klash ormai dieci anni fa nel 2005. La metto al primo posto sopratutto perché è stato il momento in cui ho capito che quello che ascoltavo poteva essere girato anche in chiave club. Non sono mai stato un party-harder se non forse durante un anno della mia vita, ho iniziato ad ascoltare musica IDM passando dalla Break Beat alla Big Beat fino ad arrivare all’ Electro Clash e poi a cose sempre più “club friendly”. Da quel momento ho sempre visto il mondo del clubbing come un lavoro, e andare alle serate era come andare a scuola. Ci sono due movimenti underground molto importanti per la mia carriera musicale: al primo posto assolutamente il collettivo veneto Trash Dance, che riesce ad unire (grazie alla sua forte presenza musicale e grafica) un grande seguito di persone educate su quello che vanno a sentire con una proposta musicale e artistica completamente in linea con quello che intendo io per underground. L’altro è il collettivo Weird Club Milan, anch’esso interessante nella proposta musicale e con una forte identità estetica.

      Federico – Ltd Colours: I luoghi dove le realtà che citavo prima trovano terreno fertile e riescono a svilupparsi, sono i piccoli club e spesso i centri sociali, dove da sempre, in Italia, attecchiscono culture e tendenze lontane dai movimenti di massa. Il Dude Club è stato un buon punto di riferimento; da Via Plezzo16, prima che cambiasse location, sono passati un sacco di artisti della scena bass: da Kode9 a DVA, a Objekt, Dj Spinn, Cooly G ecc. Il Dude rappresenta uno dei luoghi a cui mi sono affezionato di più da quando sto a Milano. Nella vecchia location si respirava proprio un’aria familiare. Un piccolo club con un muro di casse che superava il pubblico dal dj, senza fronzoli, con poche luci e poche pretese se non quella di far ballare ottima musica. Con il passare del tempo, il cambio di location e l’ascesa totale della techno si è progressivamente adeguato al pubblico delle grandi occasioni. Ma ritengo che sia un procedimento normale, per uno dei migliori o forse il migliore tra i club milanesi.

      Riccardo – Ltd Colours: Primo fra tutti il vecchio Dude. Poi sicuramente il Leoncavallo, Macao, il Cox, il Tunnel e il Bitte. In questi locali ho potuto assistere alle performance di alcuni dei dj e producer più importanti della scena underground europea e mondiale come Kode9, Bambounou, French Fries, Ron Morelli, Jon Hopkins, Kryptics Minds, Romare e molti altri.

      Milano, Centro Sociale Leoncavallo, inaugurazione della mostra dei graffiti, l'esterno.
      Centro Sociale Leoncavallo, Milano

      1. Data la diffusione su vasta scala di fenomeni un tempo considerati underground, come ad esempio la cultura hipster, credi che si possa ancora parlare dell’esistenza di una scena underground a Milano, o l’ossimoro ideologico è inevitabile su questo fronte?

      Butti: La musica underground a Milano esiste perché c’è chi la fa. C’è un grande spirito artistico e in un certo senso “alternativo” all’interno della mentalità delle persone che ci vivono. Quello che manca è un senso di appartenenza territoriale e culturale e di conseguenza un ideale di unità, ma credo che ci siano delle personalità che potrebbero fare da anello tra i vari “gruppi di artisti”…

      Nobel: La mia idea di underground non è la sperimentazione fine a se stessa. Un movimento musicale underground deve avere la consapevolezza e la voglia di crescere, il fatto che ora qualcosa che noi consideravamo underground non lo sia più o che arrivi molto velocemente alle masse non è una cosa per forza negativa, è negativo il fatto che ci si adagi su di questo e si cominci a fare qualcosa PER la massa.
      In secondo luogo la veloce diffusione di sonorità un tempo considerate difficili o di nicchia denota un’apertura mentale dell’ascoltatore, e anche questa è una cosa positiva. Detto questo la scena underground a Milano esiste, solo che è molto diversa da come era un tempo perché, chi spinge qualcosa di innovativo adesso lo fa provando a farsi capire da tutti senza rimanere chiuso nel suo guscio, ad esempio puntando anche sull’aspetto grafico.

      Federico – Ltd Colours: Credo che prima di poter parlare di fenomeni underground sia necessario presupporre l’esistenza di un’identità musicale. Un movimento nasce da artisti che riescono a trovare, all’interno di una comunità, gli spazi necessari per potersi esprimere e confrontare, soprattutto tra di loro. Manca questo a Milano, almeno per quanto riguarda la musica che produciamo. Spesso le serate sono organizzate dagli stessi 4 dj che si alternano per tutta la serata e per tutto l’anno. Viene quindi lasciato poco spazio ai dj locali emergenti rendendo sempre più difficile la creazione di un’identità. Manca una connessione tra le molteplici realtà che gravitano intorno alla città, ognuno si coltiva il proprio orticello inseguendo l’artista che l’anno precedente andava tanto di moda a Londra, Parigi o Berlino.

      Riccardo – Ltd Colours:  Parlare di underground in questi anni è, secondo me, molto complesso visto che nell’ultimo periodo i canali di comunicazione e promozione per i generi che prima si definivano underground e per quelli mainstream sono praticamente gli stessi. Analizzando però il concetto dal punto di vista del seguito che un certo genere può avere il discorso cambia: a Milano ci sono alcune piccole realtà che cercano di di proporre artisti di qualità e generi di musica che in Italia possono essere considerati di nicchia. Collettivi come Elita, Lobo e Skeng stanno facendo un ottimo lavoro per far conoscere generi di musica che altrimenti rimarrebbero sconosciuti alla maggior parte dei clubber milanesi.

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      Dude Club, Milano

      1. Quali nuove declinazioni culturali pensi possano scaturire dalla scena musicale e artistica milanese per com’è configurata oggi giorno?

      Butti: Citando la risposta precedente manca un senso di unità tra gli artisti milanesi e di conseguenza prevedere cosa verrà fuori domani è impossibile, che a pensarci bene è anche quello che mantiene questa città misteriosamente interessante. Le uniche ideologie comuni di cui credo e spero di essere sicuro sono l’antifascismo e l’odio per ogni tipo di discriminazione.

      Nobel: La musica da club a Milano è molto legata alla moda, ed è giusto che sia così. A noi la moda interessa e ci teniamo all’apparire, inutile negarlo. La domanda però rimane molto difficile: credo che da tutto questo usciranno prodotti e serate sempre più legate ad un’immagine estetica che intrattenga l’ascoltatore anche visivamente oltre che a livello uditivo, per poi magari arrivare all’antitesi di tutto questo eliminando tutti gli elementi grafici (il che è graficamente altrettanto potente). Sto solo viaggiando di fantasia. Che è quello che mi hai chiesto di fare sostanzialmente 🙂 Credo però  che spesso la qualità visiva è quasi più importante di quella sonora. Dubito che questo possa cambiare mai a Milano.

      Riccardo – Ltd Colours: Un altro punto da prendere in considerazione è la mancanza di comunicazione tra le piccole realtà presenti a Milano che si chiudono a riccio e non riescono comunicare e collaborare in modo costruttivo. Sono sicuro che la scena musicale milanese possa dare molto ma c’è sicuramente bisogno di investire di più su artisti emergenti.

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      artwork, Weird by SPG

      1. Secondo te, c’è un futuro per l’underground a Milano?

      Butti: Si, ma ancora, solo se con il tempo si riuscirà a creare un senso di unità e appartenenza. Penso che l’ammirazione verso le realtà estere sia normale ma che allo stesso tempo dovrebbe essere fonte di motivazione per migliorare la propria realtà. Come ho già detto per il momento vivo a Londra, che è un’ottima scuola sotto molti punti di vista, ma sto pianificando di tornare a vivere a Milano per mettere in pratica quello che sto imparando e tornare a “schierarmi in prima linea”.

      Nobel: Noi a Milano siamo molto chiusi per quanto riguarda i rapporti lavorativi e molto divisi in fazioni che si muovono parallelamente e non si incontrano mai (se non spesso per secondi fini). Questa è la cosa che non mi piace a livello personale e che inevitabilmente rallenta le cose. Ma non posso dire che non ci sia gente che provi a proporre cose nuove e non posso altrettanto dire che non ci sia gente pronta ad ascoltarle. Sicuramente non abbiamo una cultura musicale come la possono avere altri paesi. Siamo ancora giovani da questo punto di vista. Le cose stanno cambiando però e non credo sinceramente in una regressione in questo senso.

      Federico – Ltd Colours: Sono convinto che possa esistere un futuro per l’underground milanese ma è fondamentale creare prima un’identità artistica.

      Riccardo – Ltd Colours: E’ molto difficile prevedere se nasceranno nuovi generi e movimenti dalla scena artistica milanese. Quello che però si percepisce distintamente è la mancanza di un identità ben definita. Questo probabilmente deriva dal poco spazio che viene dato agli artisti emergenti che non riescono ad esprimersi a pieno e a confrontarsi tra loro.

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      Factory Asks

      FACTORY ASK 0005: MYHANDS

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      Nome artista 0005 : Myhands

      BIO

      Myhands è progetto scaturito dalla voglia di produrre qualcosa di altamente creativo e divertente riutilizzando materiale di scarto proveniente da capi di abbigliamento molto costosi. Astucci, borse, scatole, collane, porta-libri e tutto ciò che è possibile creare con jeans e altre stoffe riciclate di alta qualità; 100% hand-made.

      01. Come hai intrapreso questo percorso artistico?

      Myhands è un’idea nata a Londra nel 2011. Al tempo lavoravo per un famoso brand di jeans e tra le varie mansioni, dovevo regolarmente fare orli e modifiche a jeans e altri capi d’abbigliamento. Lo sgomento era intrattenibile nel veder buttare via quotidianamente chili e chili di stoffa costosissima e riutilizzabille. In quel periodo mi affascinavano molti i lavori di Unwaste Poetic Upcyclingdesign, perciò iniziai a portarmi via tutti questi scarti e a creare con essi qualsiasi cosa mi venisse in mente. Dopo aver accumulato creazioni per circa due anni il progetto si è spostato a Pisa, e altre due fantastiche mani, quelle di Elisa Susini, si sono aggiunte al processo creativo.

      02. A chi o a cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

      I nostri oggetti sono pezzi unici e irripetibili e nella loro produzione ci affidiamo solo al caso. Myhands trova la sua ragion d’essere nella convinzione che tutto il fabbricabile sia stato fabbricato e che per il bene del Pianeta sia arrivato il momento di smettere di produrre e iniziare a riutilizzare, soprattutto nel campo dell’oggettistica.

      03. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

      Alla base di tutte le creazioni c’è il jeans, poiché è il capo di abbigliamento più comune e largamente apprezzato che è diventato il simbolo della cultura di una generazione ribelle che ha rivoluzionato la società del secolo passato. Siamo convinte che al giorno d’oggi urga l’avvento di una nuova rivoluzione culturale e morale, ma soprattutto politica. Ovviamente non vogliamo illuderci che le nostre creazioni possano incidere sulla coscienza delle persone, ma tramite la diffusione dei nostri oggetti cerchiamo di far riflettere dimostrando che il riutilizzo non è un’utopia, e soprattutto lo si può fare con stile.

      04. Che cosa vuol dire Underground per te?

      Underground significa originalità intellettuale e artistica che evade dalle regole di consumo imposte. E’ una dimensione culturale nella quale si entra per caso e dalla quale si esce altrettanto inconsapevolente. Spesso non rendendosi conto dell’ossimoro concettuale, si fa l’errore di confondere fenomeni di massa con culture underground. Detto questo, non tutto ciò che è mainstream è negativo, ma difficilmente lascia spazio a forme d’espressione alternative che meriterebbero attenzione.
      Noi crediamo che il concept di myhands rispecchi interamente questa idea di alternatività proprio perché promuove l’idea di autoproduzione e diversità di pensiero rispetto alle logiche commerciali dominanti.

      | The Factory | Celine |

      “Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista.”

       

      Factory Asks

      FACTORY ASKS 0004 : MARTINA RIDONDELLI

      Autoritratti, Photo by Martina Ridondelli
      Bianca Garzella Photo by Martina Ridondelli, M.U.A. Isabella Biagini

      Nome artista 0004 : Martina Ridondelli

      BIO

      Nata a Pisa, diplomata all’istituto d’arte con indirizzo di “architettura e arredo” decide di approfondire la sua passione per la fotografia trasferendosi a Milano e studiando presso l’Istituto Italiano di Fotografia. Si specializza in ritrattistica e in fotografia di concerti, lavorando in buona parte nel settore musicale. Essendo la musica un’altra sua forte passione, incomincia a fare foto promozionali, artwork e a collaborare in modo sempre più diretto con i musicisti. Nel corso degli anni, approfondisce progetti personali che espone in diverse città italiane. Attualmente sviluppa i suoi lavori sia in interno, presso il suo studio, sia in esterno.

      01. Come hai intrapreso questo percorso artistico?

      Ho incominciato a far fotografie grazie a mio padre che mi regalò la prima macchina fotografica intorno ai 9 anni e posso dire che da lì è incominciato tutto.

      02. A chi o a cosa ti ispiri per quanto riguarda i tuoi lavori?

      A tutti e a nessuno o a tutto e a niente. Mi piace osservare ma non ho un riferimento ben preciso e molto spesso le influenze e le ispirazioni cambiano di mese in mese.

      03. C’è un messaggio legato ai tuoi lavori senza il quale non li chiameresti tuoi?

      Cuore e stomaco.

      04. Che cosa vuol dire Underground per te?

      Underground è qualcosa di bello ma strano perchè sembra parlare sottovoce ma urla più forte delle realtà della cultura di massa. Il concetto di “underground” in questo periodo storico di confusione estetica e concettuale assume tante forme. E’ tutto un grosso calderone dove difficilmente si riconosce cosa ci sia dentro.

       

      |  The Factory  | Martina Ridondelli  |

      “Nessun artista è stato maltrattato durante la realizzazione di questa intervista”

       

      Autoritratti, Photo by Martina Ridondelli
      Giorgio Canali Photo by Martina Ridondelli