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Sterling, foto Martina Ridondelli Break the Wall

Sterling

La regola del fare, costanza, impegno e risultati

Intervista ad un nuovo producer di musica elettronica: Sterling aka Gabriele Bartolucci 

Oggi raggiungiamo la prima cifra doppia per Break the Wall. Decima puntata che festeggiamo assieme ad un nostro grande amico, compagno d’avventura. Un artista vulcanico, dotato di talento e metodo. Oggi vi presentiamo Gabriele Bartolucci aka Sterling che proprio in questi giorni ha raggiunto anche lui un primo importante traguardo. Parliamo dell’uscita del suo nuovo “ANAHEIM EP” per la teutonica Bunny Tiger di Sharam Jey.

Per chi in questi anni ha seguito le attività del PUM, o di recente ha avuto modo di partecipare a qualche serata per Club Cultura al Caracol (Pisa), si ricorderà di Sterling. I suoi set coinvolgenti, in grado di far ballare la pista, per ore. Lui, un producer amante del learning by doing, negli ultimi anni di esperienza ne ha maturata tanta, sia in studio che sulla pista. Innumerevoli notti senza dormire, inseguendo diversi demoni. Maturando nel contempo una forte versatilità, diverse capacità stilistiche e tecniche, atteggiamento, resistenza e l’esperienza necessaria per portare tutto al next level.

“Learning by doing, impegno ed esperienza hanno portato ad Anaheim EP per Sharam Jey”
Foto by Martina Ridondelli

Se vi siete persi il precedente numero di #BtW, oppure è la prima volta che vi trovate qui, #BtW è una rubrica di UNDERBLOG che vuole portare nuova conoscenza nella cultura club, ogni volta con il prezioso e fondamentale contributo degli ospiti che intervengono. Un vero e proprio percorso di ricerca nella speranza di contribuire a riscrivere una nuova pagina di CC! Buon Viaggio!

Chi c’è dietro al producer di nome Sterling?

L’idea del nome nasce da un personaggio di una serie televisiva americana di qualche anno fa “Mad Men”, le prime volte l’ho utilizzato come dj radiofonico del programma Fingertips su Radio Roarr e in Dj set back2back assieme a Dadapop nelle prime wild nights del colorificio occupato, si parla del 2012.

Inizio a fare musica molto prima di quel periodo, sperimentando inizialmente con diverse digital audio workstation (DAW) come Cubase e Reason, successivamente poi Ableton live. L’influenza musicale era quella dell’elettronica d’autore: Vitalic, Aphex Twin, Four Tet, Plastikman, Boards of Canada etc.. successivamente poi da quell’ ondata è nata l’elettronica come la conosciamo oggi.

“Il punto di partenza è l’elettronica d’autore: Aphex Twin, Four Tet, Plastikman etc.”

Parto dalla minimal elettronica, un must di metà anni 2000 per arrivare poco dopo alla dubstep che mi vedrà impegnato negli anni seguenti come dj del duo Bang’a’bros. 

Da li poi i vari progetti Machine Overdrive più sulle sonorità Moderat e John Hopkins, Wagual che riprende il sound Four Tet, Max Cooper e attualmente Tribalanza che punta decisamente sul dancefloor e sull’elettronica internazionale da Festival. Suono pure la chitarra e cerco quando possibile di riportare certe soluzioni chitarristiche ritmiche e melodiche all’interno delle mie tracce.

Cosa è per te la musica elettronica?

E’ l’espressione musicale dominante di questi anni, è il naturale sviluppo dell’espressività artistica nella musica nell’era del digitale e della rete. Piano piano i suoni sintetici hanno sostituito sempre di più quelli “reali” legati alla performazione di uno strumento usuale (con tutte le sue caratteristiche fisiche) come una chitarra o un pianoforte.

Da questo processo è nata l’estetica della musica elettronica e i suoi codici hanno sostituito molti punti di riferimento dati per scontati nel corso dei decenni precedenti. Oltre a questo è una forma creativa che permette molta libertà come si stà vedendo recentemente nel nuovo Rnb, nell’hip hop e anche nel Pop più in generale, generi che stanno vivendo una nuova rinascita stilistica. Oggi è l’universo dei suoni digitali scelti con parsimonia e processati in maniera maniacale dai producer di mezzo mondo attraverso effetti e plugin di ogni sorta, l’elettronica ad oggi sembra dare più possibilità combinatorie.

“L’elettronica ha sostituito i codici classici ma sembra dare più possibilità combinatorie”

Più in generale l’elettronica è il nuovo rock e si vede come le star di ibiza e del tomorrow land trovino nelle nuove generazioni un terreno più fertile per lanciare un nuovo mondo di suoni e di suggestioni legate alla loro musica. Adesso i ritmi e i suoni digitali sono il pane quotidiano, una generazione cresciuta con la minimal ha il background giusto per godere a pieno di questa musica e delle sue future (ulteriori) contaminazioni.

Come vedi la Club Culture in Toscana e dintorni?

Potrebbe andare meglio, ci sono tante piccole realtà poco sviluppate ma tenaci che non si coordinano tra di loro, c’è molta dispersione e si rischia come sempre in questi casi di non raggiungere l’obiettivo (comune) prefissato: la creazione di una scena che abbia una sua vitalità e che si tramuti anche in opportunità economica per tutti.

Non mancano realtà forti e che si muovono bene, così come producer di talento. Tra gli addetti ai lavori penso al Lattex Plus e a qualche altro club Fiorentino che è sul pezzo, poi chiaramente il Caracol con CC…ma sono di parte!

Il tuo nuovo Ep è appena uscito sull’etichetta tedesca Bunny Tiger… parlacene
Sterling – Anaheim Ep – Bunny Tiger

E’ un Ep che è nato nei ritagli di tempo del progetto Tribalanza con un altro producer di grande spessore, Alessandro del Fabbro (Dj Gomma) che negli ultimi anni mi ha impegnato (e insegnato) molto. Sono ritornato anche grazie ad Alessandro a Cubase che nel frattempo è molto migliorato diventando una delle migliori DAW sul mercato. Sono partito da una serie di tracce influenzate principalmente da Maceo Plex, Rampa e dalla Innervisions, una delle realtà più futurische e sul pezzo all’interno della nuova scena elettronica, volevo qualcosa di pulito e con pochi suoni che fosse il linea col momento attuale, più un lavoro tecnico-creativo e di sound design.

“Uno sguardo al futuro, non può mancare come ingrediente chiave”

Grazie a Sharem Jey e alla sua Bunny Tiger che ha creduto al mio suono e a queste tracce. Adesso sto lavorando a una decina di tracce tutte molto simili tra di loro e principalmente pensate per la pista e per la danza.


Alcuni preziosi link:

Beatport

Tribalanza

Ascolta “ANAHEIM EP” qui:

Foto by Ivo Almilamaro

Sterling aka. Gabriele Bartolucci inizia a sperimentare con la musica elettronica nel 2002 ed il primo EP esce nel 2005 sotto il nome di “Minimal Illness”. Nel 2009 inizia un percorso all’interno della musica uk bass, dubsteb lanciando il duo Bang’a’bros. Sotto lo pseudonimo di Sterling insieme a Dj Darius conduce 3 stagioni del formato radiofonico “Fingertips”, magazine settimanale di approfondimento legato alle ultime tendenze della musica elettronica.

Nel boom dell’elettronica Pisana, Fingertips è stato un punto di riferimento”

Insieme a Dadapop, Neuro e Chino fonda i Machine Overdrive, quartet live analog elettronico che si isprira alle sonorità di Vitalic e Moderat, nel 2013 esce il loro ep su Type Konnection. Nel 2014 nasce il Pum ed è uno dei fondatori. Nel 2016 insieme a Dadapop fonda il duet afro-ethnic-house Wagual. Dal 2017 collabora stabilmente con Alessandro del Fabbro e Daniele Vergamini all’interno del progetto Tribalanza, recenti le uscite su Traum Schallplatten, Opilec Music e prossimamente su Perplex!


Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

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    Caracol Pisa Break the Wall

    Cristiano Manetti

    R-esistire per rilanciare la curiosità e l’aggregazione

    In questo momento non è facile esprimere certi pensieri, sopratutto parlare di aggregazione sociale e culturale. Siamo sommersi costantemente da un sacco di informazioni positive e negative e in più c’è la forte pressione emotiva che sentiamo a causa della stasi globale. Tuttavia è anche forte il bisogno di confrontarsi e di comunicare anche se distanziati dai nostri schermi, conservando la speranza di tornare a promuove e fare aggregazione, socialità, cultura.

    “Servono nuove esperienze autentiche e non-riproducibili”

    Con molto piacere in questa nona puntata di Break the Wall abbiamo il piacere di riflettere con Cristiano Manetti (Re-paly, Carcol) che ci porterà in uno dei luoghi nella nostra città di Pisa, dove da tempo si cerca di riportare al centro della discussione una riformulazione della cultura club a 360 gradi. Non a caso, è anche lo spazio che ospita, o meglio ospitava prima della pandemia, il nostro progetto Club Cultura con una serata al mese. Avete capito, parliamo del Caracol, ma non è il club il solo tema di questo episodio. Ringraziamo la nostra inviata speciale Rozz Ella per questa ulteriore e preziosa intervista.

    Prima di perdervi in questo nuovo episodio, vi chiediamo tuttavia di prestare 5 minuti del vostro tempo e se riterrete importante sostenere e condividere una campagna che il Caracol ha avviato da pochi giorni qui.

    Cosa è per te la Club Culture?

    La Club Culture per me è l’idea che esistano degli spazi in grado di fare aggregazione, di dare e ricevere stimoli riguardo a tutto quello che si muove in ambito culturale, con particolare attenzione alle esperienze più autentiche ed innovative. Posti che evolvono nel corso del tempo e contribuiscano alla formazione in ambito culturale di chi li frequenta, dando al contempo la possibilità di esprimersi a chi è animato da sincera passione. Posti che si pongano nei confronti degli artisti e dei frequentatori con un atteggiamento aperto e rispettoso, garantendo standard il più possibile elevati riguardo all’acustica, alla strumentazione tecnica, mantenendo prezzi accessibili e non chiudendosi alle collaborazioni esterne, se compatibili con la propria sensibilità artistica.

    Un disco che la rappresenta? 

    Eh… non saprei, sono talmente tanti. Credo che sceglierei una compilation. Tipo quella del 2006 dell’Hacienda, dove ci sono molti artisti in campo elettronico che hanno contribuito alla formazione di una nuova scena.

    Fonte Ultrasonica
    Quale è la Club cultura che vorresti? 

    Vorrei soprattutto che venisse riconosciuto il valore di esperienze (di aggregazione) che non mettono al primo posto il risultato immediato delle serate, in termini di affluenza e incassi, consentendo ad ognuno di fare scelte effettivamente innovative o comunque libere dalla necessità di  mediare per garantirsi la sopravvivenza. Vorrei che fossero riconosciute e tutelate alcune professionalità, come quella dei dj, dei fonici, dei facchini  in modo da garantire un livello adeguato delle proposte e non tagliarle fuori in momenti come questo che stiamo vivendo. Purtroppo su questo terreno l’Italia non è il posto migliore dove aprire un club o pensare di costruirsi un futuro in ambito creativo. 

    Fonte Il Tirreno, I Be Forest
    Dal ” vecchio Caracol” ad oggi, cosa è  successo?

    Se ti riferisci ai due spazi, diciamo che il primo nacque un po’ per caso come luogo di aggregazione culturale e venne adattato alle nostre esigenze mantenendo però diversi aspetti critici a livello strutturale, riguardo ad esempio alla disposizione degli spazi alla collocazione del locale, ecc. mentre il secondo abbiamo avuto la possibilità di progettarlo in modo più libero e forti dell’esperienza precedente. Se ti riferisci invece ai due periodi storici in ambito culturale, sono successe diverse cose. E’ aumentata l’offerta ma è forse diminuita la curiosità e l’abitudine a frequentare certi spazi, specie nelle generazioni più giovani. Alcune proposte “indipendenti” sono diventate “mainstream”, attirando l’interesse dell’industria discografica, il che è stato un bene per loro ma ha trascinato tutto il movimento su livelli difficilmente sostenibili per i locali e tagliato fuori, a livello di visibilità le realtà più piccole. 

    Fonte: La Kinzica, Jackdaw with Crowbar
    Cultura e arte sono tra le più colpite dalle necessarie attuali misure emergenziali, a causa della loro profonda necessità di relazioni sociali, di eventi in-presenza, di partecipazione. Succede però che, in maniera forse inaspettata, si è messo in moto un meccanismo spontaneo in cui si sta diffondendo sempre di più una produzione e una fruizione artistica e culturale online sia a livello quantitativo (un’esplosione di performance, dj- e live-set, ecc.), che qualitativo (il mezzo – telecamere, tecnologie di comunicazione a distanza alla portata di tutti – che dà vita a oggetti culturali nuovi e mai visti). Una produzione e una fruizione dal basso, orizzontale e diffusa. Cosa ne pensi? Sta nascendo un nuovo underground?

    Non lo so, sono molto confuso su questo punto. Credo che questo meccanismo dal basso sia nato, lodevolmente, da una certa forma di “resistenza” alla situazione, un modo per mantenere i contatti, reclamare di esserci ancora, sostenere chi si è trovato di colpo chiuso in casa senza un sacco di cose. La mia idea di club cultura però prevede come componente fondamentale l’aggregazione, la non-riproducibilità dell’esperienza dal vivo, sia essa riguardo ai concerti che riguardo al ballare. L’impatto sonoro è  una delle cose che rende significativamente differente l’ascolto di un disco rispetto alla sua esecuzione dal vivo.

    “Resistenza, contro-cultura, aggregazione, non-riproducibilità”

    E poi c’è la componente “rituale”, consistente nell’essere in un posto, insieme ad altre persone, che magari urlano ed entrano nei microfoni delle bands o dei dj, rendendo tutto molto diverso e più comunitario. Mi spaventano un po’, inoltre, le possibili prospettive riguardo allo streaming a pagamento. Sento già alcune istituzioni parlare di possibili “Netflix della musica”, una cosa che personalmente mi fa inorridire.

    Abbiamo visto l’effetto dello streaming sui cinema, che in gran parte hanno chiuso, sui negozi di dischi con l’avvento di spotify, sul calcio con la vendita dei diritti tv. Pensare a Netflix che si compra l’esclusiva sul rock, sky dell’elettronica e i dj, amazon del rap, e così via, mi terrorizza. Temo inoltre che siano soluzioni che possano fare molto gola a chi è stato sempre insofferente nei riguardi della “movida” così come chi ha mascherato da lotta alla violenza degli stadi una spietata commercializzazione di qualcosa che era popolare e svolgeva una funzione sociale e aggregativa con pochi paragoni. Quindi, in conclusione, starei attento a parlare di “nuovo underground” o nuove forme creative, perché il rischio è di condannarsi all’estinzione (noi aggiungiamo senza aggregazione non può esserci la rivoluzione e tantomeno la produzione culturale).

    Cosa pensi che ne resterà a emergenza finita (oppure è troppo presto per parlarne)?

    Penso che sia troppo presto per parlarne. Siamo tutti ancora molto coinvolti e sconvolti e le previsioni che possiamo fare al momento possono essere troppo pessimistiche o troppo ottimistiche al riguardo. Credo che sia il momento di tenere duro e di confrontarsi, certo, per non restare impreparati, ma senza farsi prendere troppo dall’emotività del momento.


    Save your Club – Aiuta il Caracol:

    In questo momento il Caracol come moltissimi altri club si trova a dover fronteggiare una tempesta. Questa come altre non sono solo la storia di un Club che rischia di chiudere, ma quella di persone e idee che hanno fatto molto per tutti noi e per la città. Aiutare il Caracol non significa solo permettere a questo fiore di continuare il suo percorso, ma di mantenere vivo un ideale, nella speranza che continui a diffondere i suoi messaggi e benefici.

    Se potete vi chiediamo di sostenere attivamente questa realtà con un contributo simbolico (dona qui)

    Se non potete vi chiediamo almeno di diffondere questo messaggio e far si che possa essere apprezzato da tutti.

    Difendere il Caracol significa garantire il futuro della comunità artistica e dell’aggregazione in città che con esso e altri posti come il Caracol si sviluppa. Come una famiglia chiediamo a tutti di raccoglierci attorno a questo tavolo virtuale e stringerci per superare questo momento.

    Dj Michele Fonx Fontanelli Break the Wall

    Dj Fonx

    Riformare la CC, tre livelli su cui intervenire ma serve un maggiore coordinamento tra Club

    Con molto piacere in questa ottava puntata di Break the Wall, ci spostiamo con Michele Fontanelli aka Dj Fonx per parlare di coordinamento e Club Culture. Due temi fondamentali che cercheremo di esplorare grazie alla sua esperienza e visione attraverso una riflessione che guarda al futuro con lucidità e prospettiva. Ringraziamo la nostra inviata speciale Rozz Ella per questa nuova ed interessante intervista.

    Cosa è per te la Club Cultura?

    Eh, in due righe mi sembra difficile, più che altro che cosa si intende per club culture? Sarò un’pò provocatorio. Dai tempi delle prime vere situazioni (Paradise garage, Loft, etc. e poi dopo tutta la scena Inglese) che hanno portato alla nascita di quello che oggi conosciamo, sono cambiate tantissime cose, a livello sociale, culturale, tecnologico ed economico.

    Paradise Garage coordinamento
    Fonte: m.dagospia, Paradise Garage (New York, 1977)

    Questa “cultura”, se così vogliamo chiamarla, è nata in posti piccoli, con un humus umano che proveniva dagli ambienti più bistrattati e marginali, il pubblico medio di queste situazioni era composto da Gay Afro-Ispanico-Americani con tendenze tossicomane. Diciamo l’esatto opposto del modello italico che si è diffuso di più, discotecone fotoniche con tanta gnocca in bella evidenza, fighettismo diffuso, molti soldi e sostanze illecite di vario tipo (questo forse unico aspetto che ci accomuna con le esperienze estere citate). E la provocazione parte da qui: di quale club cultura vogliamo parlare? Di quella italiana? Perché il fenomeno veramente di massa in italia è stato quello dei ’90, con la progressive prima con l’house dopo fino ad arrivare alla Minimal dei 2000, quindi megadiscoteche e discorso fatto sopra.

    “un humus umano che proveniva dagli ambienti più bistrattati e marginali”

    Per il mio percorso personale, sia come dj/producer che come promoter ma anche come semplice clubber, la discoteca “ ufficiale” è arrivata dopo, quando in quegli ambienti si sono accorti, con quasi dieci di ritardo, che nel mondo la musica da ballo era cambiata, riguardava uno spettro più ampio di sonorità e ritmi, rispetto ad un solo tipo di cassa dritta (e anche le prime cose americane e tedesche qui venivano viste minacciosamente). Ci sono state esperienze in posti che erano sul pezzo con quello che stava succedendo nel mondo, ma non appartenenti a quegli ambienti, come ad esempio: Pergola a Milano, il Link ed il Livello57 a Bologna, il Maffia a Reggio Emilia, Agatha a Roma.

    “Un tempo c’erano i centri sociali..”
    L57 coordinamento
    Fonte: segnalidivita.com, L57, Bologna 1998

    Situazioni considerate off, molti di questi erano Squat o Centri sociali. Poi c’è stata tutta la scena dei rave e delle feste illegali. Chiamiamolo Underground? Anche se a me questa definizione non piace. In questi ambienti si respirava fondamentalmente controcultura, o subcultura, musicale, visiva e sociale. Non si delegava al sistema ufficiale dell’intrattenimento di proporci anche le cose “alternative”, ma queste situazioni diventavano esse stesse le Alternative.

    “In Italia non c’è una cultura diffusa a livello di Club..”

    Penso che in Italia non si possa parlare di una vera e propria cultura diffusa a livello di Club (aggiungiamo noi è forse mancato il coordinamento), penso piuttosto che ci siano state e ci siano ancora oggi realtà che si sono mosse in una direzione virtuosa (spesso anche mitologica, si pensi all’esperienza pionieristica della “ Baia degli angeli” e al fenomeno del cosiddetto afro, a gente come Baldelli e Mozart andrebbe fatto un monumento), ma spesso non molto collegate fra loro, e ognuna dipendente dalle proprie dinamiche territoriali.

    Altre persone ti diranno che il Tenax, l’Insonnia o l’Imperiale sono state il top, è una questione di gusti, percorsi personali e quindi molto soggettiva; e secondo me è anche il bello di questo ambiente, ogni suono e ritmo ha avuto la “sua casa”, l’importante sarebbe non fare i fondamentalisti. Alla fine la club culture, è una cosa molto semplice: musica proposta da un dj, un buon impianto audio che la riproduca e persone che hanno voglia di far festa e ballare. Come la si fa è la discriminante fra fare cultura e fare solamente business ed intrattenimento.

    Un disco che la rappresenta? 

    Domanda molto soggettiva e difficile, un disco che la rappresenti mi sembra impossibile…proprio per quello che ti ho detto prima, ognuno, per la propria esperienza, avrà dei riferimenti musicali diversi, per me sono parte della club culture anche la scena dei Sound System o la scena degli Allnighter, dipende dai punti di vista. 

    Le persone frequentano sempre meno i club, molti chiudono anche in paesi ‘avanti’ come la Germania, cosa potremmo fare qui?

    Già da qualche anno la scena è, a mio avviso, alle prese con una trasformazione epocale. Per i giovanissimi “club culture” è un’espressione senza significato. I djs sono divi pop, Miley Cyrus vale quanto Guetta o Marshmellow. E non interessa più se sei bravo a mixare, se sei un cultore dei vinili, se hai la capacità di mettere i dischi per sei ore tenendo le persone incollate alla pista. Oggi conta solo lo show. E se poi il dj sul palco preme solo un tasto, poco importa. Sono nati tantissimi Festival di elettronica, e molto pubblico si è spostato su questo tipo di eventi, creando anche un’effetto negativo a cascata sui club, dato i cachet che vengono pagati ai Festival, non sono competitivi con quelli dei club, limitando la possibilità di programmazione di questi ultimi, che spesso si ritrovano a fare gli stessi nomi per non rischiare soldi.

    Poi i Social e gli schiuma party di Ibiza (come esempio da seguire), con i suoi privée e i dj superstar hanno fatto il resto, ‘mercificando’ una scena club diventata cartolina e obbligando a epocali door selection il resto, nell’illusione che lo spirito originale possa in qualche modo sopravvivere nei muscoli dei buttafuori.

    Assenza di coordinamento il modello delle cattedrali nel deserto (Ibiza)
    Fonte: Ibiza Spotligh, Club Cartolina

    Quindi la club culture non esiste più. O meglio, da fenomeno per pochi al successo popolare, oggi quella più autentica è ridiventata un fenomeno non per i molti. E secondo me deve ripartire dalle origini, dai piccoli spazi, dalle serate dove ancora si coltiva l’idea che il club è un luogo di sperimentazione. Un’occasione per condividere divertimento e musica. Noi aggiungiamo manca coordinamento.

    “Ripartiamo dai clubbers”

    Se si chiama club culture allora ripartiamo dai club e dai clubbers, cercando di creare percorsi inclusivi per far crescere delle reali scene locali, con numeri si spera superiori a quelli di una festa delle medie. Da una parte i soliti nomi hanno rotto le palle, ma anche i dj locali, che te la fanno pesare come se i generi che “ suonano” li avessero inventati loro, non sono il massimo.

    Lo so, non sarò molto simpatico, ma è meglio dirsi le cose per come sono (essendo io anche dj), l’ autoreferenzialità è un limite abbastanza comune di chi fa cose “Underground” in Italia, non capendo che l’obiettivo deve essere quello di fare più proseliti, come moderni evangelizzatori, e non stare a dare patentini di credibiltà  e purezza a questo o quello. Se si vuole affrontare seriamente il problema, va proprio rifondato un movimento. Un movimento multiforme e soprattutto “croccante”! (citazione da uno dei più genuini clubbers del Deposito!).

    coordinamento all'interno del bar25, Berlino
    Clubbers in Bar25, Berlin
    Cosa manca?

    Sono tre i livelli che mancano e un coordinamento tra questi: 

    Uno, istituzionale 

    inesistente, come sempre per quello che riguarda musica, cultura e divertimento “intelligente” in Italia. Questo settore viene considerato una rottura, trattato come un problema di ordine pubblico, una accolita di debosciati. L’esperienza tedesca è lontana anni luce rispetto alla nostra; 

    Due, Club e Addetti ai lavori

    Agenzie di booking per prime che non si aiutano. I Club molto impegnati a far quadrare i propri conti, non disdegnando anche scazzi con gli altri Club. Che scommettono poco sulle novità, e cercano di andare sul sicuro. E che per avere esclusive sugli altri Club, fanno il gioco delle peggiori agenzie di booking per riuscire a fare ospiti con prezzi fuori mercato. Le agenzie italiane si distinguono per questa oscillazione dei cachet degli artisti esteri (e spesso succede anche per gli artisti italiani), a Tizio gli chiedono X e a Caio Y, per poi scoprire dalla fonte estera che spesso i ricarichi sono anche del 30/40% di quello richiesto dal management dell’artista; 

    Tre, il Pubblico 

    ormai sempre più dipendente dall’hype di quell’artista o di quel club, senza uno sviluppo serio di un gusto personale e “critico”. Basta inseguire sempre e solo i soliti nomi, i “brand internazionali” del clubbing. Sarebbe positivo inoltre prestare attenzione anche ai “local heroes” e ai talenti più freschi ed inediti, perché in origine il clubbing era avventura e scoperta, non rassicurazione e teatrini da backstage. Fare più attenzione alla musica e meno agli aspetti accessorii, cercare le situazioni che fanno proposte artistiche non convenzionali ed originali, e non la solita pappa pronta coi soliti nomi. 

    Cosa andrebbe cambiato?

    Credo di aver già parlato di alcuni cambiamenti auspicabili, in più dovrebbero svilupparsi ulteriori aspetti: maggiore collaborazione tra i Club; coordinamento tra Club per evitare sovrapposizioni di programmazione; fronte unico con le istituzioni; fare rete per poter contrattare a livello nazionale, tour di artisti, direttamente con i management, bypassando molte inutili agenzie, per promuovere artisti minori in modo che possano girare in Italia, e altrettanto il lavoro contrario, in modo che anche talenti italiani arrivino a l’estero.

    Costruire serate dal basso, facendo crescere un vivaio di dj locali, creando (attraverso il coordinamento) delle reali scene locali, e non “scenette” virtuali che si fermano esclusivamente all’ambito dei social network. Senza fare guerre ideologiche agli artisti più noti o alle agenzie e management, ci sono persone che hanno fatto molto per lo sviluppo di questa scena, ma si tratta piuttosto di riordinare e riequilibrare un po’ le dinamiche, come dobbiamo farlo per l’ecosistema e per l’economia, per il bene di tutti. Nessuno escluso. Darsi tutti una bella calmata, soprattutto dal punto di vista economico.

    Ultima domanda quale è la cc che vorresti? 

    Ritornare all’attitudine originale,  ritrovarsi in spazi dove la prima cosa da fare è abbinare il divertimento alla qualità e cercare di trasmetterlo al pubblico. Chi riuscirà in questa formula (e aggiungiamo ancora, serve coordinamento) saprà dare dignità alla parola clubbing. Diversamente il discorso verterà unicamente sulla scena più commerciale, come è sempre stato in Itaglia.

    Cosa pensi che ne resterà a emergenza finita (oppure è troppo presto per parlarne)?

    Immaginarsi ora come potrà essere il dopo è difficile, perché ci sono in ballo diverse variabili, te ne cito alcune: Come si comporteranno le istituzioni? Saremo sicuramente gli ultimi a ripartire, poi non abbiamo (dal punto di vista istituzionale ma non solo) valenza culturale come il teatro o il cinema o la musica classica, siamo i “ peggio”, quelli che fanno casino, si ubriacano e si drogano. Quindi chi riuscirà a tenere botta fino al momento della riapertura sarà già un grande, perché penso aiuti per noi non ci saranno, siamo un’Associazione e non una Società (nuovamente un coordinamento non sarebbe male!).

    insisteremo ancora di più sulla sostenibilità della programmazione (e il coordinamento), alla qualità deve corrispondere un giusto valore

    Pensare che dopo siano rispettate le distanze di sicurezza in posti dove si balla, si sta insieme, e si fa baldoria? Le persone saranno sempre così smaniose di trovarsi in luoghi chiusi? A stretto contatto con perfetti sconosciuti? Sinceramente non ho risposte a queste domande, so solo che quando ci penso mi prende una grossa angoscia. Se sarà trovato un vaccino, potremmo sperare di tornare a prima della reclusione forzata, in caso contrario la vedo parecchio hardcore.

    Già avere tirato su un posto con l’identità del Deposito Pontecorvo è una scommessa enorme, per la provincialissima Pisa, poi non poterlo fare in condizioni di normalità rende tutto un’avventura che sa di contemporanei Don Chisciotte. Sicuramente, per quanto mi riguarda, se ci saremo ancora, insisteremo ancora di più sulla sostenibilità della programmazione (e il coordinamento), alla qualità deve corrispondere un giusto valore economico altrimenti le cose non si fanno,  lascio volentieri il campo agli hipster del momento. 


    Alcune info preziose:

    Michele Fonx Fontanelli – Dj e Producer

    Dj Fonx, Deposito Pontecorvo

    Dj eclettico, nel vero senso della parola, il suo suono spazia dalla black music delle origini (funk, soul, jazz, reggae e disco) fino alle sue espressioni contemporanee (Hiphop, Drum’n’bass/Jungle, dubstep, breakbeat, nudisco, elettro, bassmusic). Ed ha fatto girare i dischi nei posti più diversi: dai centri sociali ai club, dai paddock della Formula 1 alle feste di quartiere per strada, dalle jam di b-boys ai più rinomati jazz club. Inizia a dedicarsi ai Giradischi e ai Vinili, come dj, nel ’ 6, con la crew SVC. E’ fondatore e animatore di Casseurs Foundation. Dopo varie esperienze negli ambienti Hip Hop-Breakbeat-Drum’n’bass toscani, nel 2001 fonda con il milanese Painè (Compl8/Temposphere rec) I Maniaci Dei Dischi e così inizia a lavorare sulle produzioni e suona mensilmente @ Cox 18 (Milano), oltre a molte date in giro per l’Italia e passaggi su varie radio (RadioRai2/Weekendance; Popolare Network).

    La prima testimonianza, pubblicata, di questa collaborazione è il singolo del secondo album di Painè (“Spontaneous”), per Temposphere records, dal titolo BENE feat. dj Fonx e con remix di: The Herbaliser (Ninja Tune-Uk), Quantic (Tru-Thoughts-Uk), Boogie Drama (Soundplant records-It).

    In seguito esce il primo EP de I Maniaci Dei Dischi ‘OUR HOUSE EP’ seguito da un’altro ep dal titolo “SMILING FACES EP” entrambi su Temposphere records (sub label di Right Tempo), oltre a un remix per Baixinho (Vitaminic/Royality) e tracce licenziate in Giappone ed Austria (primavera 2003). Inizio 2004 viene pubblicato il primo album de I Maniaci dei Dischi, dal titolo “Hey presto!”, su Temposphere Rec. 

    Da Dicembre 2003 fino al 2010 cura, insieme a Matteo Pzzo Chellini, ogni sabato sera, su Controradio (radio fiorentina a copertura regionale affiliata al circuito nazionale di Radio Popolare), una trasmissione radiofonica settimanale dal titolo RITMO, un viaggio nelle musiche da ballo di domani, di ieri e di oggi.  

    Nel 2012 esce con The Brother Green…

    E’ uno degli animatori della NuCombo crew, insieme a Nove, con cui è stato resident dj dell’appuntamento Massive Night, presso il DressCode (ex Insomnia, Pisa) dal 2004 al 2011, condividendo la consolle con il meglio della scena drum’n’bass/jungle europea ed italiana. Ha anche dato vita alla crew Black Friday, girando dischi in tutta la Toscana, all’insegna del suono black più puro, ovvero funk, soul, afrobeat, rap, disco e reggae.

    Nel 2012 esce con The Brother Green, collettivo con il tastierista/organista Paolo Peewee Durante, Roberto “Bombo” Fiorentini al basso, e Piero Gesuè alla voce. Pubblica l’album “No Country for young men”: un disco trascinante che contamina la matrice funk con l’elettro, la disco, il soul, l’hip hop, il blues ed una spruzzata di jazz. Ha fondato e gestito l’etichetta Burnow, che ha fatto uscire gli albums di: The Brother Green, Pezzone ed Apes on Tapes. E’ tra i fondatori, e ne è anche presidente, del Deposito Pontecorvo, music club situato a Pisa.

    Ha collaborato e fatto girare dischi con:
    • Casino Royale;
    • SanAntonioRockSquat;
    • Sun Wu Kung collective;
    • Esa aka El Presidente Otr/Gente Guasta;
    • Richard Dorfmeister (Austria);
    • Daddy G (Massive Attack/Uk);
    • Rayner Truby (Ge); Rich Medina (Usa);
    • Boots Ryley (The Coop/Usa);
    • Deda/Katzuma;
    • Gopher;
    • Dre Love;
    • Andrea Mi;
    • Biga;
    • Rob Luis (Tru-Thoughts/Uk);
    • Paul Murphy (Uk);
    • Congo Natty (Congo Natty records/Uk);
    • Rob Swift (Usa);
    • Dj Rocca/Ajello (Maffia Sound System/CrimeaX);
    • Volcov;
    • Michael Rutten (Jazzanova-Sonar Collective/ Ger);
    • Lele Sacchi; Sergio Messina;
    • Claudio Sinatti;
    • Serial Killaz (Uk);
    • Benny Page (Uk);
    • Royalize;
    • Andy Smith (Uk);
    • Dj Vadim (Uk/Usa);
    • Nick Record Kicks;
    • Victor Duplayx;
    • Rocco Pandiani;
    • Gak Sato (Jp);
    • Alien Army;
    • General Levy;
    • Bonnot;
    • Next One;
    • Roll Deep (Uk);
    • XCoast;
    • Gilles Petterson;
    • Taxman;
    • Sigma (uk);
    • Pendolum (au);
    • Shy Fx (Digital Soundboy/Uk);
    • Rosalia De Souza;
    • Nicola Conte;
    • Ardiman Mc;
    • Kleopatra j;
    • Beans (Usa);
    • Manitoba (oggi Caribou);
    • dj Marky (Bra);
    • Hype (Uk);
    • Khalab;
    • Aphrodyte (Uk);
    • Colle der Fomento;
    • Apes on Tapes;
    • Fricat;
    • Popolous;
    • HomeGroove-Red Bull Music Academy;
    • Eastpack Italia;
    • Associazione Culturale M.Y.A.;
    • Circolo ExWide;
    • Associazione Culturale Cantiere S. Bernardo;
    • Controradio Firenze;
    • Cox18 Milano;
    • Arezzo Wave Love Festival/Fondazione Italia Wave

    Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

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      Tommy Wallwork 5ve records

      Wallwork

      Wallwork, 5 per andare sul sicuro e buttare giù tutto!

      Terzo appuntamento con #5ve_R! Una bussola preziosa per orientarsi nel mare della musica. Oggi scopriamo i 5 dischi preferiti di uno dei nomi più promettenti della scena elettronica/dance UK, parliamo di Tommy Wallwork. Avete capito bene, parliamo di una delle menti creative dietro a Nervous Horizon – label di punta della dance made in London – un nostro caro amico, per metà Pisano, per metà Inglese.

      La sua e quella dei suoi compagn* d’avventura (TSVI, Locane, RzR, Luru and many others!) è una storia, dalle origini Italiana, anzi tutta Toscana, meritata e sudata fino all’ultima goccia; il suono è quello del mondo come giustamente scrive anche Damir Ivic in un recente articolo su Soundwall dove ci racconta nel dettaglio il successo di Tommaso e di Nervous Horizon (Label del mese su RA!). Siamo pertanto felici di potervi raccontare i 5 dischi che Tommy custodisce nella sua valigetta, un tesoro utile davanti alle folle danzanti nei migliori warehouse londinesi ma anche davanti alle folle composte della Boiler Room e speriamo presto di poterlo riavere a Pisa e magari di condividere qualche serata con lui! Godiamoci questa nuova avventura con #5ve r!

      #5VE_R!
      Read more “Wallwork”

      Syd e Alessandro Break the Wall

      Alessandro Favilli

      Un viaggio al centro dell’Underground Italiano con Alessandro Favilli

      Grazie alla pazienza e alla meticolosa passione da ricercatore di Sebastiano Ortu per noi Seba, ci spostiamo in questo nuovo episodio di #BTWall07 con Alessandro Favilli testimone e protagonista di un periodo lungo e importante della scena musicale di Pisa e non solo. Ringraziamo quindi Seba e Alessandro per questo grande contributo al nostro tentativo di ricomporre – tassello dopo tassello – un nuovo senso comune per la scena musicale underground.

      Foto: Ivo Almiramaro “Alessandro Favilli e Sebastiano Ortu @Factory PUM”

      Incontriamo Alessandro alla Factory del Pisa Underground Movement (PUM) uno degli ultimi avamposti della scena musicale locale, in una calda serata di questo strano inverno, una delle ultime prima della clausura e dell’isolamento imposti dal “virus”.

      Partiamo dall’inizio. Cosa caratterizzava la scena musicale e artistica degli anni ’70?
      San Zeno Pisa luogo cult per la scena musicale indipendente
      Chiesa di San Zeno (Pisa)

      I miei primi incontri con la scena musicale pisana risalgono alla seconda metà degli anni 70. Ricordo un certo fermento e un’attenzione particolare per i progetti più sperimentali. Pisa era una sosta obbligata per chi veniva da altre città o addirittura dall’estero perché offriva situazioni ideali. C’erano musicisti che si fermavano anche per settimane per suonare con altri musicisti, in maniera spontanea e molto producente. Ricordo Rafael Garrett o il violoncellista Tristan Honsinger. Questa attitudine aveva segnato spazi e luoghi: ricordo concerti sparsi in varie parti della città, come la chiesetta sconsacrata di San Zeno o il Giardino Scotto, ma anche in altri contesti meno informali, come piazza dei Cavalieri. Chi veniva da altre città trovava un ambiente estremamente stimolante, che dava luogo alla formazione di band occasionali, diciamo… improvvise! E richiamava un pubblico non soltanto “specialistico”, ma sostanzialmente formato da amanti della musica che venivano a curiosare.

      Ricordo i concerti memorabili di Don Cherry a Tirrenia, Art Ensemble Of Chicago, Archie Shepp.

      …ed era un’accoglienza in qualche modo organizzata o spontanea?

      D’estate in Umbria c’era “Umbria Jazz” e, siccome non era particolarmente lontano da Pisa, succedeva che molti si spostassero dall’Umbria perché si sapeva che a Pisa c’era il C.R.I.M. , il Centro per la ricerca sull’improvvisazione musicale: una tappa obbligata per chi seguiva il jazz. A Pisa in quegli anni c’era una scena musicale jazz assai sviluppata, molto più del rock o di altre tipologie di musica.

      Cosa era il C.R.I.M.?

      CRIM e scena musicale noise Pisana
      Copyright: Pisa Improvvisa, Tuttomondonews

      Ai tempi ero un ragazzino. Diciamo che era una sorta di “entità” che raccoglieva musicisti (pisani e non) e dava luogo a una sorta di filiazionecontinua di gruppi, che si trovavano occasionalmente per suonare e sperimentare e creare articolazioni sempre diverse di jazz. I musicisti pisani più attivi erano Roberto Bellatalla, Stefano Bambini, Eugenio Sanna, Gianni Canale, Fabio Pellegrini, Edoardo Ricci.

      A Pisa c’era solamente il jazz o cominciava anche a fiorire o a crearsi qualche altro tipo di movimento o di tendenza musicale?

      Il movimento del’77 è stato un periodo incredibile, da tutti i punti di vista. C’era un grande fermento, sia politico che culturale. Di conseguenza c’era una grossa circolazione di contenuti, di idee e di forze che venivano messe in campo. E questo ricadeva, evidentemente, anche sull’aspetto musicale. Dopo il rapimento di Aldo Moro nel ’78, iniziò il periodo del terrorismo e della repressione che segnò un arretramento delle istanze del movimento.

      Con il passare del tempo, in un’altra nazione, l’Inghilterra, emerse una realtà che si dirigeva nella stessa direzione ma con un approccio più nichilistico. Nasceva il punk, che esplose e sparigliò completamente le carte. Sotto la spinta dell’urgenza di espressione iniziarono a formarsi band di ragazzi che imparavano a suonare e, me compreso, a mettere in piedi una band. Nacquero così nuovi gruppi in tutta Italia.

      Tutta la Toscana il quel periodo fu un centro importante di questa nuova tendenza…
      Immagine cult per la scena musicale del Granducato Hardcore
      Copyright Urla Dal Granducato, registrato al Victor Charlie

      Si, perché in tutta Italia l’aspetto musicale si andò a saldare con il circuito dei centri sociali, che stavano iniziando a nascere. Facendo un passo indietro: dopo il periodo della repressione nel ’77 -’78 fino a inizio anni 80, cominciarono a spuntare i primi centri sociali come il Virus di Milano. Un modo diverso di porsi rispetto alla cultura e alla politica. Si occupavano spazi e talvolta si autoriduceva il costo del biglietto quando era troppo caro: potrei raccontarti mille aneddoti da questo punto di vista.

      Autoriduzioni ai concerti, intendi?

      Sì. Ricordo, ad esempio, un concerto del 1983 di Black Flag e Minutemen, due delle più importanti bands americane del periodo, all’Odissea 2001 di Milano. Il biglietto era troppo caro e ci fu un’irruzione di massa con i ragazzi che entrarono forzando il portone di ingresso. I musicisti uscirono per capire cosa stava accedendo: in America non sarebbe mai potuto succedere. A parte questo, si cominciarono a creare nuovi punti di aggregazione. Non bisogna dimenticarsi che non avevamo i social network, internet o altro.

      Vero! Quali canali di comunicazione utilizzavate per la diffusione degli eventi, per far conoscere i gruppi della vostra scena musicale?

      Usavamo il telefono (fisso) e ci spedivamo il materiale via posta. Le fanzine cominciarono a strutturarsi. Proprio mentre venivo qui alla vostra PUM Factory ripensavo a come riuscivamo a realizzare la nostra fanzine, che si chiamava Nuove dal Fronte… Con le fotocopie! Non c’era il computer, per cui usavamo trasferibili, ritagli di giornali e disegni fatti da noi o da altri per poi comporre le pagine che venivano fotocopiate, spillate. Non era una cosa da poco: riuscivamo a venderne qualche centinaio.

      Intorno a questo circuito che si andava strutturando nacquero vari centri di aggregazione. Uno di questi era il Virus, mentre a Pisa c’era il Victor Charlie, un fenomeno estremamente peculiare rispetto al resto dei centri sociali, perché non era un locale occupato. Era un circolo Arci in cui si organizzavano soprattutto concerti, che richiamavano gente da tutta Italia: ricordo i pullman che arrivavano dalla Puglia. Cominciammo a diffondere queste pubblicazioni al Victor Charlie in un piccolo spazio in cui si potevano trovare anche magliette autoprodotte, fanzine, appunto, e i primi dischi che cominciammo a far circolare.

      Sta di fatto che cominciavano a moltiplicarsi realtà analoghe in altre città come Firenze, Parma, Bologna, Ferrara, Bari, Roma, Torino e molte altre. Per contenere i costi delle telefonate all’estero in nostro soccorso venivano degli “espedienti”; ad esempio, conoscevamo un tipo che lavorava per la Sip che ci dava le chiavi per aprire i telefoni delle cabine telefoniche. Aprivamo le cabine e con una tecnica molto banale avevamo credito illimitato!

      Era il meccanismo del do it yourself, del fai da solo, organizzati!

      … meccanismo che funzionava, anche perché c’era generalmente molta disponibilità: chi aveva qualcosa, la condivideva con tutti gli altri. Questo significava, ad esempio, che eri quasi obbligato a ospitare ragazzi che venivano da altre città e a dargli alloggio a casa tua.

      Si creò una circolazione, per il Victor Charlie, molto importante; tant’è che cominciarono a venire fuori i primi problemi…

      Di quale periodo stiamo parlando?
      Victor Charlie documento della scena musicale underground
      Locandina d’epoca del Victor Charlie

      Stiamo parlando dell’ ’85-’86. Non so se conosci dov’è il Lungarno Guadalongo, Corte Tiezzi [zone di Pisa, ndr]; successe che nonostante il locale fosse insonorizzato gli abitanti del quartiere si rivolsero alla sede locale del Pci di quartiere per protestare del continuo viavai. Fu una cosa abbastanza ridicola, perché ci convocarono alla sede provinciale per dirci che la presenza del Victor in quel quartiere stava facendo perdere voti al partito. Da lì cominciò la parabola discendente di questo posto assolutamente straordinario. Al Victor Charlie fu tolta l’affiliazione all’Arci, per cui tutto diventò più complicato. Nonostante le proteste, tra cui uno sciopero della fame, e altre iniziative, l’esperienza si andò a concludere. Altri spazi in altre città resistettero più a lungo…

      Wide documento della scena musicale underground
      Locandina d’epoca del Last white Christmas

      Tornando all’aspetto musicale, nel frattempo stavano crescendo varie realtà: io ed altri ragazzi fondammo la Belfagor Records nel 1984 e cominciammo a stampare prima dei 7” e poi degli LP, e a scambiarceli da città a città. La cosa si stava sviluppando perché, effettivamente, c’era una certa attenzione per questo tipo di prodotti e, contemporaneamente, cresceva la circolazione dei gruppi, che trovavano sempre spazi nuovi per ospitare la propria musica: storico fu il concerto chiamato Last White Christmas nella chiesina di San Zeno a Pisa il 4 dicembre 1983. Invitammo un casino di persone che vennero da fuori.

      Ricordi alcuni di questi gruppi?

      Sì, c’erano Brontosauri, Raw Power Juggernaut, Stato di polizia, Putrid Fever, Dements, Useless Boys, War Dogs, A’uschlag, Cheetah Chrome Motherfuckers, I Refuse It!, Traumatic (presenti nella pubblicazione della BCT ma non al concerto), Dements.

      Era il GranDucato Hardcore…

      Sì, e fra tutti i Cheetah Chrome Motherfuckers.

      Successe che, attraverso le corrispondenze che avevamo con varie fanzines, ne seguissimo una che aveva una tiratura molto importante, Maximum Rock’n’roll,a cui eravamo abbonati. Il caporedattore di questa fanzine, parlando di aneddoti, era un collezionista degli Abba... La cosa allucinante era che non solo collezionava tutti i dischi della band svedese ma ne collezionava tutti i dischi di tutte le stampe uscite nelle diverse nazioni! Non chiedetemi perché, ma era così!!

      Maximum Rock'n'Roll documento della scena musicale underground

      Maximum Rock’n’Roll ospitava report da tutto il mondo, per raccontare quale fosse la situazione in Brasile, Cecoslovacchia… Dappertutto! Maximun Rock’n’Roll collaborava dunque con tutta una serie di realtà, e pubblicò a un certo punto un articolo sulla band hardcore pisana Cheeta Chrome Motherfuckers, della quale sono stato bassista dal 1984. Intorno ai CCM cominciò a crescere un certo interesse, anche perché i concerti erano famosi per l’intensità della performance della band. Ogni concerto era un evento, che aveva anche una certa sua “sacralità”… Comunque sia: uscì questo articolo importante e, se non ricordo male, andammo in copertina e riuscimmo ad avere una rilevanza internazionale. Poi successe che ad Antonio [Cecchi, primo bassista, poi chitarrista della band, ndr.] fu proposto un tour in America. Era il 1986. Fu un un tour piuttosto esteso, registrammo un disco… Ne successero di tutti i colori, ci vorrebbero 3 ore per raccontarle tutte! Ma ne uscimmo vivi… Era già qualcosa! Poi ritornammo in Italia e continuammo a suonare, facemmo anche un tour europeo. Ma alla fine ci sciogliemmo.

      Come nasce l’esperienza della Wide Records?
      Wide records
      Copyrights Wide Records

      Sentivo il bisogno di fare qualcos’altro e, alla fine, successe che, avendo avuto la possibilità di acquisire nuove competenze, cominciai a ragionare insieme ad altri amici sulla possibilità di lavorare in ambito discografico. Eravamo all’incirca nel 1987quando iniziammo a mettere in piedi un “mailorder”: importavamo dei dischi dall’estero e li rivendevamo per posta. Lo step successivo fu quello di contattare i distributori internazionali delle label che ci piacevano ma non avevano una rappresentanza in Italia. Il passo successivo fu la nascita di Wide Records, inizialmente solo un distributore nazionale che dal 2006 diventò, a detta di molti, uno dei migliori negozi di dischi in Italia.

      Ma proprio in quegli anni la fruizione della musica aveva cominciato ad affidarsi in misura sempre più massiccia alla rete, a internet. In che modo la Wide si è rapportata con un cambiamento epocale?

      Non ci volle molto a capire che i dischi cominciavano a essere scaricati liberamente e con semplicità. Iniziarono i problemi nella scena musicale. Primo perché la musica cominciò a girare in questo modo e il mercato discografico fu azzerato quasi totalmente, in una maniera che in parte avevamo previsto ma che non pensavamo potesse avvenire così velocemente e con quelle dimensioni. Alla fine fummo travolti e chiudemmo sia la distribuzione che il negozio. Con l’esperienza acquisita dalla promozione dei dischi che distribuivamo creammo allora Prom-O-Rama, una sorta di spin-offdi Wide, un’azienda parallela che si occupava e si occupa tuttora da più di venti anni della promozione di artisti di vario genere.

      Tu vivi dall’interno le dinamiche della produzione musicale attuale. Puoi fare un confronto tra un passato recente e quello che sta accadendo oggi?

      Sicuramente, in primis, c’è il fatto che la musica è diventata “liquida” dappertutto. Oggi c’è un’attenzione “di ritorno” per i vinili. Però secondo alcune indagini chi li compra, in realtà, non li ascolta quasi mai. Si ascolta la musica quasi totalmente dalle piattaforme online. Spesso i vinili sono semplicemente un feticcio, perché si ha bisogno di un approccio materico che comprende il toccare, vedere il vinile che gira, eccetera… A parte questo aspetto, è cambiato tutto dal punto di vista commerciale. Spotify, tanto per dire, è quotato in borsa. E per gli artisti è diventato tutto molto più complicato: a ogni passaggio di un brano viene pagato all’artista un compenso in termini di centesimi di euro. Quindi o raggiungi molti stream o, diversamente, è durissima. Molti musicisti inizialmente si sono opposti. In seguito si è trovata una sorta di equilibrio. Tutti sono costretti ad adattarsi a questo tipo di situazione, non ci sono grosse alternative.

      E allora è ancora possibile in questa situazione parlare ancora di underground? C’è un underground nella scena musicale odierna?

      Quando io e altri ragazzi cominciammo a mettere in piedi un’etichetta (mi riferisco agli anni intorno al ’95-’96) dovevamo fare i dischi, e mi trovai in una stamperia a Roma (che stampava peraltro, all’epoca, solo dischi per le Edizioni Paoline!) davanti a una scena del tutto imprevista: ero in questa stanza in cui c’era, da una parte in terra, un mucchio di vinile nero e un tizio che con la pala buttava il vinile dentro un macchinario che lo scioglieva. In seguito veniva inserito in una pressa che serviva a stampare il disco. Fortunatamente le stamperie esistono ancora, magari delocalizzate in Polonia o dove costa meno… Ma esistono. La maggior parte delle band sono underground, nel senso che non hanno visibilità e lavorano per averla. L’obiettivo è raggiungere un rapporto virtuoso tra entrate e uscite, tra quanto si percepisce e quanto si investe nel proprio progetto, non soltanto in termini economici ma anche di ore di lavoro. Il sito rockit.it ha censito ad oggi oltre 31.000 band italiane. La competizione è durissima. Ben vengano quindi sostegni economici per i progetti meritevoli di attenzione.

      Factory PUM scena musicale odierna
      La fondazione stagione 2, Factory PUM
      Alcuni preziosi link:

      About Alessandro Favilli, PROM-O-RAMA


      Edited by Sebastiano Ortu, Rozz Ella, Fabio F., Daniele V.

      Interview by Sebastiano Ortu


      Mimmo Falcone - MoBlack Records Break the Wall

      MOBLACK

      Ricerca, passione e innovazione i possibili ingredienti di Mimmo Falcone (MoBlack) per una nuova CC

      Quinto episodio con #Btw, questa volta con un ospite speciale. Mimmo Falcone producer e manager dell’etichetta Afro-House MoBlack.

      Ci spostiamo almeno a “livello di ritmiche”, a sud e continuiamo il nostro lento cammino per riscoprire o meglio riformulare, un senso comune in quello che abbiamo definito attraverso questa rubrica un vero e proprio “state of mind”.

      Lo facciamo – come abbiamo diverse volte anticipato in #Btw – attraverso nuove angolature, e oggi abbiamo l’onore di riflettere sul tema con uno degli addetti ai lavori, con qualcuno che ogni giorno partendo da questi interrogativi cerca di dare un senso comune alla sua produzione musicale.

      “I am an African, not because I was born in Africa, but because Africa is born in me.” Kwame Nkrumah

      In 2 righe, che cos’è per te la Club Culture?

      Passione e ricerca musicale. Un posto dove si va soprattutto per la buona musica, per ballare, stare insieme e divertirci. Un posto che fa tendenza, che anticipa le mode musicali e non le segue.

      Un disco che secondo te la rappresenta?

      Non ci puo’ essere un solo disco che rappresenti tutta la club culture, la club culture e’ rappresentata da tutta la buona musica, da tutta quella musica innovativa e ricercata a volte anche sperimentale ma che lascia un segno nei tempi.

      Le persone frequentano sempre meno i club. Molti chiudono, anche in paesi “avanti” come la Germania.. Che cosa potremmo fare qui a #Btw? Cosa manca? Che cosa andrebbe cambiato?

      Mancano le idee, suonano sempre gli stessi, manca il rispetto per il clubber e la voglia di creare qualcosa di nuovo. Le discoteche italiane sono vecchie, alcune cadono a pezzi, non sono ben frequentate, troppo episodi funesti, dalle innumerevoli risse o al famigerato spray al peperoncino.

      In #Btw ci domandiamo spesso: Qual’è la Club Culture che vorresti?

      1. Continuita’: dare un appuntamento settimanale, dove i clubbers possono sentirsi protagonisti diretti dell’evoluzione musicale della serata e far parte della “storia”

      2. Club: il punto di riferimento. Senza una fissa dimora le atmosfere non si creano, si perdono e il pubblico ha bisogno di sentirsi sempre a casa.

      3. Ricerca: la ricerca musicale, proporre sempre qualcosa di nuovo, sconosciuto a molti e fresco (che non sia il solito nome sulle riviste di settore), porta quell’appeal in più’ e quella importanza di proposta che solo in pochi possono detenere.

      Breve Bio e alcuni preziosi link:

      MoBlack è un dj / produttore ed etichetta discografica. È in gran parte responsabile dell’hype che il genere Afro House sta avendo in tutto il mondo. I più grandi sostenitori di MoBlack: Black Coffee, Ame x Dixon, Solomun, Osunlade e ME, Rampa e Pete Tong solo per citarne alcuni. MoBlack (vero nome Mimmo Falcone) ha iniziato a danzare molto presto, più anni di esperienza nelle radio locali FM e 10 anni di esperienza nella in Africa (Ghana) hanno completato il suo enorme e unico background musicale. Dal suo arrivo in Africa nel 2003, ha suonato e condiviso la sua fede nel suono con artisti locali. Il progetto MoBlack è stato concepito in Ghana nel 2012. In Twi, la lingua principale parlata in Ghana, Mo significa “Ben fatto / Congratulazioni”. L’idea alla base era quella di dare voce allo straordinario talento che si concentrava sulla House Music dall’Africa. La prima uscita di MoBlack Records nel dicembre 2013 ha spianato la strada a un incredibile catalogo con tracce costantemente tracciate e riconosciute dalla House Community nel suo insieme con il raggiungimento del suo obiettivo: supportare artisti locali nell’industria club internazionale.

      MoBlack web site

      MoBlack su Beatport e Traxsource


      Edited by Roberta Ada Cherrycola

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        Marco Dragoni Break the Wall

        Marco Dragoni

        Una riflessione aperta tra invecchiamento del club e le nuove scene

        6a puntata di Break the Wall, questa volta con un caro amico: Marco Dragoni, classe 1977, membro fondatore della crew Casseurs Foundation con cui organizzava la storica HipHop Convention “Panico Totale”.

        Dj e ricercatore musicale dalla metà degli anni 90, organizzatore di eventi legati alla street cultur; musicalmente nasce come selecter di rap e reggae, partecipa attivamente al progetto drum’n’bass di Nu Combo agli inizi dei 2000, per poi tornare a sonorità più black nelle serate organizzate dal collettivo Black Friday assieme agli amici Herrera e Padella per citarne alcuni. Nel 2005 crea Sanantonio42, negozio di street wear, skateboards, graffiti e dischi, ma soprattutto un punto di riferimento per tutta la scena locale che attualmente gestisce con il socio Dj Pzzo.

        In 2 righe, che cos’è per te la Club Culture?

        Drago: – “Posso dire che la CC non è solo quello che si trova dentro un club durante un party, però dentro a un club vorrei trovare un buon impianto audio prima di un bel bancone del bar. Ho troppo rispetto per la musica soprattutto per le sensazioni che mi da.

        Un disco che secondo te la rappresenta?

        Sono troppi i dischi che rappresentano questa cultura. Faccio fatica a dire anche un solo genere che mi piace, per me è fondamentale avere un approccio di ricerca, per questo quando mi chiedono cosa preferisco vado in crisi. Però mi fido sempre di chi ne sa più di me, cerco di seguire i loro consigli e così facendo espando le mie conoscenze.

        Le persone frequentano sempre meno i club. Molti chiudono, anche in paesi “avanti” come la Germania.. Che cosa potremmo fare qui? Cosa manca? E che cosa andrebbe cambiato?

        I club cambiano a seconda dei mutamenti sociali, se la maggior parte chiudono bisogna capire che qualcosa sta cambiando e analizzare se il cambiamento ha contribuito a portare situazioni positive. Un’ analisi corretta sarebbe quella di capire che tutto cambia molto velocemente. Il festival concentra in poco tempo quello che il club ti dava in un intera stagione, ma bisogna vedere quanto il fruitore assorba in un periodo così breve. Per me la discoteca ha una funzione sociale non solo economica. Quindi siamo tutti responsabili di quello che succede nel bene e nel male.

        Qual’è la Club Culture che vorresti?
        Marco Dragoni e Matteo Pizzo per Sanantonio42

        Quello che vorrei io non è detto che piaccia agli altri, ma si deve trovare un compromesso. Per esempio non mi piace che si generalizzi, ci sono scene che non mi entusiasmano musicalmente ma che mi hanno colpito per come hanno distrutto certi cliché. Mi viene da pensare alla Trap che considero la più popolare in questo momento, ha causato una rottura generazionale che non si verificava da tempo, soprattutto ha messo in discussione certi punti fermi tra i miei coetanei, non giovanissimi ma sempre giovani, che hanno iniziato a criticare il genere come è accaduto ai tempi del punk e della techno. Ha accelerato un invecchiamento che dovrebbe farci riflettere.”

        Di seguito un bel mixtape che il Drago ha fatto per il canale mixcloud di Club Cultura con un sacco di sonorità da paesi diversi, ritimi che spaziano dalla bossanova alla nu-disco, passando per la disco e il funk!


        Links:

        About Marco through SANATONIO42


        Edited by Roberta Ada Cherrycola

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          Art novels and stories

          L’ARGONAUTA 6-14 Marzo 2020

          L’argonauta: diario cosmico di viaggio

          “L’impresa”
          Marzo 6

          Anno 2020, nel paese imperversa un nuovo nemico in combutta con Re Pelia che vuole mantenere il suo dominio incontrastato. La Tessaglia appare vuota e desolata, nella città di Iolco, gli umani sono costretti a rifugiarsi nelle loro abitazioni. La “società del benessere” così definita sin dai tempi di Re Aristo è in ginocchio. Tuttavia grazie al Dio della tecnologia Syncro cha ha creato diversi dispositivi per gli umani, questi rappresentano una possibile via di uscita. Dentro alle mura delle proprie abitazioni, grazie a queste apparecchiature che consentono la comunicazione a distanza, uomini e donne di cultura si organizzano per formare la resistenza.

          «Da te sia l’inizio, Febo, a che io ricordi le gesta
          degli eroi antichi che attraverso le bocche del Ponto
          e le rupi Cianee, eseguendo i comandi di Pelia,
          guidarono al vello d’oro Argo, la solida nave.»

          Marzo 7

          Uno di loro, un certo Giasone, rientrando alla sua abitazione trova una vecchia in difficoltà che aiuta con coraggio ad attraversare il fiume Anauro. Il gesto non rimane inosservato al Re Pelia, che temendo l’avverarsi di un’antica profezia decide di sbarazzarsi del giovano e di tutti coloro che avrebbero potuto instillare il seme del pensiero critico. Pelia affida così a Giasone un’impresa ritenuta impossibile: raggiungere la Colchide e conquistare il Vello d’oro, un manufatto d’oro, un manto dagli incredibili poteri magici che potrebbe portare al paese la tanta sospirata pace e aiutare a sconfiggere il nuovo nemico.

          Vello d'oro
          Copyright: EMANUELA GIACCO, Il Vello d’Oro 2015, acrylic on canvas, 50x50cm
          Marzo 8

          Giasone abbraccia l’avventura, con messanger inizia a formare una squadra dove riunisce tutti i più validi compagni e compagne d’avventura, e fa preparare dall’esperto armatore una grandiosa nave “l’Argo”. Purtroppo tra i prescelti, Pelia imbarca – di nascosto – anche il figlio Acasto con l’intento di sabotare l’impresa.

          Masomenos
          Copyright: Masomenos “M7TH ” – VIRTUAL INSTALLATION –

          Tri i primi nomi che spiccano nella lista delle donne e uomini di cultura scelti da Giasone troviamo “Masomenos” una collaborazione tra Joan Costes, graphic designer e DJ, e Adrien de Maublanc, produttore e tecnico del suono. Due maestri nell’audiovisivo che usano per produrre il loro universo spontaneo, spensierato, psichedelico, senza limiti.

          Marzo 9

          La mattina della partenza, Giasone viene convocato dagli dèi sul monte Olimpo. Zeus assicura gli eroi che il loro viaggio sarà da questi benedetto e che grazie alla dea Era potranno ricevere tre aiuti. Era fornirà in caso di bisogno tre semplici risposte. Allora Giasone decide subito di porre una prima domanda. Quale destinazione dare a questo viaggio? Era li indirizza nella Colchide, la terra oltre i confini del mondo.

          Subito dopo Argo la barca della compagnia salpa per l’avventura. Incertezza, paura, speranza, sono tutti i sentimenti che accompagnano questo momento. Il mare è sereno, l’orizzonte senza limiti. Giasone ha subito stabilito i diversi ruoli su Argo con l’intento di far collaborare tutti verso il successo dell’impresa. Coordinamento ed esperienza le due armi a disposizione di Giasone per portare a termine quest’avventura.

          Nave Argo al tramonto
          Marzo 10

          I primi giorni scorrono veloci, il fresco odore del legno al mattino e i venti dolci e favorevoli, permettono a ciascuno di svolgere al massimo i propri compiti e di essere d’aiuto ai propri compagni. Tra le donne e gli uomini di cultura dell’equipaggio, Cairn e DEVICE, due giovanissimi mozzi reclutati da Giasone tra le fila del Pisa Underground Movement (una famiglia di artisti indipendenti), dopo aver tirato a lucido il ponte e gli altri ambienti della nave hanno dedicato po’ del loro tempo a completare un diario sonoro sul dipinto del pittore americano “I nottambuli” (Nighthawks) di Edward Hopper (1942). Questo diario potrà essere usato a bordo per distrarre i marinai dai canti delle sirene.

          Il suono esce fuori come offuscato. Al centro della composizione l’attenzione si sposta all’interno del bar dove sta avvenendo una conversazione, per poi di nuovo spostarsi sul vuoto silenzio della strada. Il piano esprime un senso di rassegnazione, mentre pochi effetti (gestiti con SLOO, un sintetizzatore per Reaktor 6 sviluppato da Time Exhile anche lui tra i presenti sull’Argo) rinforzano il senso complessivo di nostalgia.

          Marzo 11

          Dopo un paio di giorni di navigazione gli argonauti sono costretti a fermarsi per un primo rifornimento sull’isola del Bronzo. Tutto appare deserto, i pochissimi abitanti presenti, in fila indiana davanti ai pochi supermercati aperti. In questi momenti ci rendiamo effettivamente conto di quanto sia fragile tutto il meccanismo sociale, che in ultima analisi ci induce a trovare sicurezza nell’immagine del “frigorifero pieno”.

          Che danno ci farà un sistema che ci stordisce di bisogni artificiali per farci dimenticare i bisogni reali? Come si possono misurare le mutilazioni dell’anima umana? (Eduardo Galeano)

          L’estrema fiducia del gruppo e la noncuranza degli dei durante la perlustrazione dell’isola causa il risveglio del gigante bronzeo Talo. Nello scontro la compagnia perde il marinaio semplice ARTF (Almost Ready to Fly).

          Talo gigante di bronzo
          Τάλως, Tálōs

          La sua scomparsa spinge Ercole a disertare la missione per continuare da solo le ricerche del giovane amico.

          Marzo 12

          A quasi una settimana dall’inizio della loro storia il gruppo appare oggi indebolito. Le condizioni fisiche e morali dopo lo scontro sono precipitate ai minimi termini.

          Giasone decide allora di richiedere nuovamente l’intervento di Era e la dea gli indica di mettersi alla ricerca del vecchio Sorrycat, un veggente punito dagli dèi con la cecità per aver osato sfidare le sacre danze tribali con ritmiche moderne e sinth eletrizzanti.

          Marzo 13

          Il morale della compagnia sta piano piano risalendo così come stanno guarendo le ferite causate dallo scontro con Talo.

          Durante le notti su Argo la compagnia decide di avviare un canale streaming “CCTv” attraverso il quale aiutare chi intrappolato nelle proprie abitazioni in Tessaglia vuole seguire le avventure degli eroi.

          Marzo 14

          La compagnia giunge sull’isola dove dimora il vecchio SorryCat. Il vecchio produttore di House Tribe Records accoglie con entusiasmo così tanti uomini e donne di cultura, ma per indirizzare nuovamente le ricerche del vello d’oro chiede agli argonauti di liberarlo dalla TRAP, un mostro commerciale che si prende gioco di lui e degli ascoltatori con frasi scontate ma di forte effetto, ritmiche poverissime che si reggono soltanto su qualche fx ben posizionato.

          Argo Mappa
          Copyright memoriadise

          A story by Daniele V.


          Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.

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            Simone Lalli Break the Wall

            Simone Lalli

            Elettronica e tecnologie digitali nella musica contemporanea. 

            Quarta puntata per Break the Wall. La nuova rubrica di UnderBloG che vuole ricostruire una matrice di senso comune per comprendere il suono di oggi. Ma non solo, anche le sue le sue evoluzioni, riportando al centro del rapporto tra arte e collettività quell’idea di movimento e di cultura, che sono fondamentali per ricostruire una nuova Club Culture (CC).

            Oggi abbiamo il piacere di presentarvi un nostro amico di vecchia data – Simone Lalli aka Autobam, che dopo l’ultimo lavoro Slave Labor EP ha dato vita in questi giorni alla sua ultima formidabile creatura Marefermo.

            Che sia Simone o Autobam o entrambi lo scopriremo durante l’intervista, di sicuro per noi è un enorme piacere trattandosi di un artista di grandissimo spessore, capacità, umiltà e umanità, tutte virtù molto rare da trovare nella stessa persona.

            Copyright Simone Lalli

            Se vi siete persi il precedente numero di BTW, stiamo cercando volta per volta di allargare il raggio di gravitazione dei concetti che trattiamo. Ogni volta con il prezioso e fondamentale contributo degli ospiti che intervistiamo. Quindi non è solo una questione di scala o di distanza geografica. Bensì è fondamentale – nel nostro esperimento – il rapporto dialettico tra la qualità degli spunti, che si sviluppano grazie ai diversi ospiti, e la naturale imprevedibilità insita nelle loro risposte. 

            Buon Viaggio!

            Chi è Simone Lalli e chi è Autobam?

            Parto al contrario, inizio da Autobam e poi arrivo a Simone Lalli.

            Autobam è stato un progetto che ha iniziato a prendere corpo nei primi anni 2000. All’inizio in modo molto rudimentale e poi piano piano in modo sempre più strutturato. E’ stato un modo per iniziare a sperimentare con la musica elettronica, anche se a dirla tutta agli inizi non era neanche propriamente elettronica, non sapevo assolutamente dove volevo andare.

            All’epoca la mia strumentazione era un 4 tracce a nastro, un sintetizzatore Korg-DW6000 e una drum machine Roland 505. A queste poi aggiungevo parti di basso, chitarra e rumori vari.

            Adesso considero Autobam un progetto finito.

            Il punto è che mi fa fatica identificare un nome completamente con uno stile musicale, è molto utile per orientare la musica nel mercato ma in fondo la vedo come una forzatura, quindi da adesso in poi preferisco pubblicare semplicemente con il mio nome di nascita e concentrarmi di volta in volta sul lavoro che voglio fare.

            Cosa è per te la musica elettronica?

            Per me prima di tutto è un modo molto comodo di fare musica, mi piace molto la dimensione solitaria, la possibilità di sperimentare nuove soluzioni e differenti approcci, di diversificare i lavori anche in modo radicale.

            Inoltre a livello sonoro ti da la capacita di usare uno spettro di frequenze molto più esteso di altri generi. In pratica puoi scendere molto più in basso e più in alto.

            Il problema dell’elettronica semmai è che se da un lato ti da molta libertà espressiva, paradossalmente dall’altro ti costringe ad incanalare le produzioni in un genere bene definito.

            Questo perché ovviamente il pubblico da qualche parte si deve aggrappare, ma per come la vedo io non è sempre una cosa positiva.

            Come vedi la Club Culture in Toscana e dintorni?

            Purtroppo penso di essere la persona meno adatta a rispondere a questa domanda.

            In questo senso sono proprio fuori dal mondo.

            La verità è che non sono mai stato un gran frequentatore di club o dei contesti più “dance”.

            In generale però quello che ho visto in questi ultimi anni è che via via l’attenzione delle persone si è sempre più concentrata sul contesto piuttosto che sulla proposta musicale ed artistica.

            Diciamo che la musica è diventata il “contorno” e non il “piatto principale”, almeno questa è la mia sensazione, spero comunque di sbagliarmi.

            Il tuo nuovo Ep punta molto sulla potenza sonora…parlacene
            Copyright Simone Lalli, Marefermo

            Non so se sia potente o meno.. Marefermo per me è un album in bianco e nero, il vocabolario sonoro è molto ridotto in una certa fascia di suoni. Ad esempio non ho usato volutamente ne virtual instruments ne plugin esterni.

            Mon tanto per purismo (non sono un purista e non mi interessa) ma solo per avere un campo limitato di possibilità.

            Marefermo per me è una sorta di nuovo inizio e quindi volevo fare le cose in modo più semplice e diretto possibile, tra l’altro per la prima volta tutte le tracce dell’album hanno lo stesso identico Bpm.

            Ogni volta che avviavo una nuova sessione sapevo già a che velocità sarebbe stata la traccia.

            Anche questo è stato un elemento utile per semplificare molto il flusso di lavoro.

            Inoltre è stato anche pensato per avere poi dal vivo una certa coerenza con la traccia finita e prodotta, una cosa che nel mondo dell’elettronica ha sempre un equilibrio molto difficile.


            Links:

            Marefermo EP Bandcamp

            Autobam Bandcamp

            Discogs

            Altre interviste

            Rockit

            Flipboard


            Breve Bio
            Copyright Simone Lalli

            Dopo le produzioni a nome di Autobam, Simone Lalli lascia definitivamente il suo moniker ed inizia a firmare le produzioni semplicemente
            con il suo nome di nascita.

            Vicino alla musica elettronica di matrice “intelligente” comunemente detta “IDM” cerca comunque di tracciare una propria traiettoria sonora fuori dagli schemi di genere di quel vastissimo universo sonoro che è la musica elettronica contemporanea.

            Marefermo EP è la sua ultima fatica e allo stesso tempo il suo nuovo debutto.


            Rozza - cultura

            Edited by Domenica Carella. Domenica in arte Rozz Ella è una DJ impegnata e appassionata di musica elettronica. Il suo percorso artisitico nasce nella sua città di nascita (Taranto) e si sviluppa a Pisa, nei centri sociali e non solo, legali e non. Da ultimo la vediamo sulle frequenze della bass music con Neanderthal della crew di Space Vandals e come resident per il format ClubCultura al Caracol Pisa. In passato ha collaborato con la redazione di AutAut.

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              Break the Wall

              Ehua

              “Ehua: vorrei una CC più inclusiva, sia in termini di musica che di line up”

              Terzo e fondamentale appuntamento con Break the Wall, la nuova rubrica di UndeRbloG che vuole contribuire a ricostruire una matrice di senso comune per comprendere il suono di oggi e le sue evoluzioni, riportando al centro del rapporto tra arte e collettività quell’idea di movimento e di cultura, fondamentali per ricostruire una nuova Club Culture (CC).

              Con molto piacere oggi vi presentiamo le idee e lo spirito di una giovane amica, Ehua alias Celine Angbeletchy, compagna di vecchia data per il PUM (Pisa Underground Movement) e autrice su questo blog di M.A.D. (music, art, dance in underground urban environments) che ringraziamo per il suo fondamentale contributo.

              Una tra le più interessanti artiste della scena musicale Londinese (Femme Culture, Nervous Horizon), Ehua è produttrice e DJ, anima curiosa dalla mente aperta, ossessionata dalla musica. Ma la musica è solo una delle forme creative attraverso le quali lei esprime il suo talento creativo. Da sempre molto vicina al mondo delle arti, compone anche colonne sonore per performance artistiche e co-gestisce GRIOT, un magazine online e una piattaforma creativa che celebra le arti dall’Africa.

              Ehua, Boiler Room
              Copyright Boiler room

              Se vi siete persi il precedente numero di BTW, stiamo cercando volta per volta di allargare il raggio di gravitazione dei concetti che trattiamo, ogni volta con il prezioso e fondamentale contributo degli ospiti che intervistiamo. Quindi non è solo una questione di scala o di distanza geografica, fondamentale – nel nostro esperimento – è il rapporto dialettico tra la qualità degli spunti che si sviluppano grazie ai diversi ospiti e la naturale imprevedibilità insita nelle loro risposte alle nostre domande (che lasciano ampio spazio agli intervistati per toccare a fondo i temi che gli stanno più a cuore). Buon Viaggio!

              Ehua
              Copyright Ehua
              “Ehua: vorrei una CC più inclusiva, sia in termini di musica che di line up”
              1. In due righe cosa e’ per te la cc?

              La cc è un universo molto complesso in continuo divenire, non è qualcosa di monolitico e universale, ma un fenomeno locale e globale che sta assumendo nuove declinazioni e includendo sonorità non esclusivamente eurocentriche. In generale, la cc è quel movimento che si crea quando nuove sonorità maturate all’interno di determinati contesti sociali arrivano sulla dance floor e vengono incorporati nella vita delle persone e nella cultura di un luogo o di una società.

              2. Un disco che la rappresenta?
              Ehua Nervous Horizon
              Copyright Nervous Horizon

              Come ho detto, essendo la cc in costante divenire e soggetta a fenomeni culturali locali, trovo davvero difficile indicare un solo disco che la rappresenti nella sua totalità. Quindi direi che per quanto riguarda la cc di Londra—città in cui vivo e che ha una scena club estremamente sfaccettata—le ultime VA compilation di etichette come Nervous Horizon e Hyperdub [rispettivamente NH Vol. 3 e Hyperswim] sono un ottimo mosaico di stili, generi e avanguardie molto presenti nella cc Iondinese in questo periodo. Ma allo stesso tempo, l’universo gqom ha avuto un fortissimo impatto in UK, e DJ come Sicaria Sound, Sherelle, Lcy e FAUZIA hanno contribuito al ritorno di sonorità tra i 140 e 160 bpm, quindi è impossibile indicare un singolo disco.

              3. Le persone frequentano sempre meno i club, molti chiudono anche in paesi ‘avanti’ come la germania, cosa potremmo fare qui? Cosa manca? Cosa andrebbe cambiato?

              La cc è in declino da ormai molti anni e mentre i club chiudono ovunque, i festival sono sempre piu popolari. Anche Berlino ha iniziato a subire i primi colpi perché le logiche di mercato prevalgono sempre, e lo stesso vale per Londra. L’Italia è un paese molto chiuso in termini di evoluzione della musica club e delle culture ad essa legate, anche il mondo underground è veramente poco inclusivo, quindi credo che la prima cosa da fare sia proprio quella di aprirsi di lasciare entrare ritmi, sonorità, culture.

              4. Quale è la cc che vorresti?

              Sicuramente vorrei una cc più inclusiva, sia in termini di generi musicali, ma anche in termini di line up. Vorrei che l’inclusività fosse messa al centro insieme al talento per dare spazio a narrazioni sonore alternative per una cc ricca, all’avanguardia e non autoreferenziale.

              Ehua

              “Io metto una lente / davanti al mio cuore / per farlo vedere alla gente.” cit. Aldo Palazzeschi


              Links:

              Diplozoon EP

              (Femme Culture)

              by Ehua

              Ehua BandCamp


              Short Bio

              Ehua è una produttrice e DJ italiana con base a Londra. Il suo EP di debutto, Diplozoon, è uscito a novembre 2018 sull’etichetta londinese Femme Culture. L’uscita ha seguito New Moon—un singolo caratterizzato da “una struttura percussiva, con un twist atmosferico, brevi vocals che si riverberano accompagnati da synth lussureggianti e ondulati” (DJ Mag)—e Tiger, brano parte della Compilation di Femme Culture x UNWomen HeForShe.

              Tra le sue ultime uscite figurano il remix di Retina di Joe Turner per Future Bounce, Ruby, pezzo uscito ad Ottobre su Or.VA1 di Orphan. Records (NY), e Meteora, traccia parte delle terza compilation dell’etichetta londinese Nervous Horizon, NH V/A VOL.3.

              La musica è solo una delle forme creative attraverso le quali Ehua esprime il suo talento creativo. Da sempre molto vicina al mondo delle arti, compone anche colonne sonore per performance artistiche e co-gestisce GRIOT, un magazine online e una piattaforma creativa che celebra le arti dall’Africa, dalla diaspora africana e dal mondo.

              Altre interviste:

              Diplozoon EP

              Premiere Ehua – Meteora


              Rozza - cultura

              Edited by Domenica Carella. Domenica in arte RozzElla è una DJ impegnata e appassionata di musica elettronica. Il suo percorso artisitico nasce nella sua città di nascita (Taranto) e si sviluppa a Pisa, nei centri sociali e non solo, legali e non. Da ultimo la vediamo sulle frequenze della bass music con Neanderthal della crew di Space Vandals e come resident per il format ClubCultura al Caracol Pisa. In passato ha collaborato con la redazione di AutAut.

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