rinnovarsi Break the Wall

Linea Records

È tempo di elettronica, techno e di rinnovarsi

Per rinnovarsi nel campo della musica, sopratutto quella elettronica, alle volte serve prendersi una lunga pausa. Noi lo abbiamo fatto, anzi forse siamo ancora in pausa. Tuttavia, alle volte capitano dei corti circuiti.

Arrivano degli eventi improvvisi che ti spingno nuovamente all’azione. Altre volte, accade che semplicemente prende il sopravvento la smania di ritornare sul pezzo, di mettersi in gioco, di tornare a ballare.

Oggi vogliamo trasmettervi attraverso questo nuovo episodio di Break the Wall quella irrefrenabile smania di tornare a ballare.

Quella voglia di riempire quello spazio che oggi è un vuoto cosmisco nelle nostre giornate, settimane, mesi; tornare a vivere una vita piena, fatta di incontri, di persone, di gioie, di errori, di notte, di notti, di musica, amicizia, passione e amore.

Come nelle puntate precedenti, siamo felici di farlo attraverso la visione – lucida e lungimirante – di un gruppo di giovani artisti e produttori che da qualche anno danno voce al progetto discografico “Linea Records. Quando si dice che non ci sono novità in giro, chapeau!

Linea è un etichetta discografica fluida guidata da Eliot K, Alessandro Cheli, Daniele Zerbi e Lo.Sai.

Nasce nel 2020 a cavallo fra Berlino, Pisa e Milano, con l’intenzione di promuovere nuovi artisti e sonorità nel mondo dell’elettronica underground.

Ciò che accomuna i producers di Linea Records è una propensione per un sound lisergico e tribale. In egual misura organico e glaciale, concepito per far tremare qualsiasi club.

LINEA RECORDS è quel territorio di confine dove mondi apparentemente distanti possono coesistere all’insegna del rito della danza.

Alessandro, Michele, Lorenzo, Daniele sono ragazzi molto dinamici. Sicuramente da tenere d’occhio negli anni a venire. In pochissimo tempo hanno saputo – nonostante la situazione generale – dar vita ad un progetto discografico molto interessante, e di sicuro, essendo solo all’inzio, non possono che fare sempre di più e di meglio!

Ciao ragazzi è un piacere ospitare per Break the Wall una realtà giovane e interessante nel campo della musica elettronica come la vostra. Ascoltando le vostre produzioni ci siamo ritrovati in un paesaggio sonoro molto vicino al nostro vissuto. A tratti popolato da diverse dimensioni, in alcuni casi anche molto distorte e allucinate, fredde e distanti, ci piace!

Quindi mentre mi spostavo in questo viaggio sonoro cresceva in me la curiosità e mi domandavo, chi sono Michele, Alessandro, Daniele e Lorenzo?
Michele: Sono co-fondatore di linea records e Master e mixing engineer basato a Berlino.

Strumentista prima che produttore, ho militato nelle band: Banda Randa, Don Macello e Bar Capolinea. Nel 2017 mi trasferisco a Berlino dove inizio i miei studi di sound engineering ottenendo una laurea nel 2019. Alla fine dei miei studi incomincia la mia collaborazione come mastering engineer per diverse etichette discografiche: Emotional voyage records, Sev records, Follow the groove, Italians weapons e tante altre ancora.

Tante sono anche le collaborazioni con diversi artisti indipendenti con base negli U.S.A. , Germania, Inghilterra e Italia, da Mosi, Orlando Voorn, Javonnte, Marc Brauner, Rico Casazza, Urbnmowgli, Moodrich, Nocui e tanti altri ancora.

Alessandro: Ho co-fondato Linea Records nel 2020 con Michele, dopo molti anni di produzione musicale autonoma ed indipendente. Di background sono un informatico con base a Pisa, e negli ultimi anni ho lavorato a progetti di ricerca su linguaggi di programmazione e compilatori.

Ho sempre prodotto musica elettronica nel tempo libero, da quando andavo alle scuole medie, e nel frattempo ho sempre distrutto, smontato e rimontato macchinette di ogni tipo, sistemi operativi e computer.

Il mio approccio con la tecnologia mi ha portato a spingermi verso tecniche sperimentali nella produzione sonora. Spesso mi affido alla programmazione per la generazione algoritmica di melodie e suoni. Con Linea Records ho rilasciato due singoli, che rappresentano un po’ le due facce della medaglia di quello che produco.

La prima, “Compression Field” è una traccia lowtempo sperimentale basata su campioni che ho registrato in giro, mescolato e riarrangiato senza limitarmi a dei canoni comuni su come strutturare una traccia. La seconda uscita, “Async”, è una traccia dub techno con molte linee classiche, pochi elementi minimali nei quali ho speso molto tempo per rifinirli nei dettagli. Con Linea Records continuerò questo percorso duale senza cambiare il mio pseudonimo: sto preparando alcune uscite techno classiche, da dancefloor. Nel frattempo ho pronto un album sperimentale, sulle linee del pop decostruito con melodie generate, spazi riverberati e sintetizzatori sperimentali.

Daniele: Sono un architetto milanese e cofondatore dello studio Fuzz Atelier. Faccio parte in qualità di artista e curatore della piattaforma di NFT Artano che si sviluppa sulla blockchain proof of stake di Cardano.

La mia ricerca artistica parte dalla tradizionale rappresentazione architettonica, proiettandola verso dimensioni astratte e psichedeliche. Attraverso la contaminazione di diverse tecniche di rappresentazione tra cui fotomontaggi, animazioni, video art e musica. Gestisco l’immagine visiva di Linea Records, e ho realizzato anche alcuni video per le nostre tracce, fra cui ‘8 mm retiff’ di Elliot K.

Lorenzo: Lo.Sai, all’anagrafe Lorenzo Saini. Sono un compositore, contrabbassista e sound designer di stanza a Milano.

Parallelamente agli studi di conservatorio ho suonato in numerosi progetti nati dalla scena underground della mia città natale: Livorno. Nel Settembre 2020 mi sono trasferito a Berlino. Durante questo periodo ho composto dei remix per le band Battles e Suuns. Ho pubblicato colonne sonore e sono entrato a far parte di Linea Records rilasciando il singolo Chemistry. Lo scorso Luglio ho partecipato alla residenza artistica Tagli sull’isola di Stromboli. Grazie a questa esperienza mi sono avvicinato al mondo dell’installation art, collaborando con Massimo Banzi di Arduino.

La diversità del vostro catalogo segue il filo conduttore delle percussioni. I suoni tribali, la ritualità della danza, ma qual’è la musica o quali sono gli artisti che più vi rappresentano?

Michele: Le influenza sono tante e diversissime. Partiamo dal rinnovarsi dagli inizi dove sicuramente Robert Hood ricopre un ruolo fondamentale.  Insieme a lui tanti altri artisti ricompriranno un ruolo importante nella mia crescita personale. Mark E, Floating Points, Function, Dj Skudge, Jeff Mills, Brian Eno, Chaos in the CBD, e tanti altri. Insieme a loro anche molte etichette discografiche: Rhythm section, Soundway records, Pampa records, Tresor e tante ancora. 

Alessandro: In particolare i soundscape di sintetizzatori modulari dell’elettronica sperimentale italiana: Caterina Barbieri, Alessandro Cortini, Lorenzo Senni. I produttori che più amo sono Aphex Twin, Andy Stott e Floating Points. Fra le mie influenze nel genere ci sono anche le prime produzioni di Oneohtrix Point Never, mu-ziq, Yves Tumor e un sacco di altri artisti sotto le label Warp e Ninja Tune.

Per quanto riguarda il mio lato techno, le mie influenze sono tantissime. Sono un grande fan soprattutto della techno olandese del filone di David Vunk e Im Kellar. Ma anche di dark techno più ‘hard’ a BPM elevati. Hanno un ruolo fondamentale nelle mie influenze anche artisti storici della detroit techno. Plastikman, Gerald Donald con i Drexciya e i Dopplereffetk e i ragazzi della Underground Resistance.

Come con l’ambient, adoro artisti che abusano dei sintetizzatori sperimentando nella techno.

Keepsakes, Planetary Assault Systems e Rene Wise, per non parlare del leggendario Villalobos.

Fuori dai generi delle mie produzioni, ma nelle quale se ne può sentire un’influenza fortissima ci sono anche gli artisti della label “Skull Disco”, origini della dubstep inglese, piena di percussioni tribali, ritmi psichedelici e bassi scolpiti: Shackleton, Appleblim, Peverelist e altri ancora.

Quando è iniziato questo amore?

Michele: Il mio amore con la musica elettronica nasce nel 2013 quando – insieme a un caro amico – passavamo i pomeriggi a casa sua dove era allestito un piccolissimo home studio.

Negli anni a seguire  prende piede un evento dove avrebbe suonato Robert Hood al palazzo dei congressi di Pisa. Partecipo all’evento e rimango sconvolto dall’impatto della serata. Ricordo ancora che tornando a casa ho proprio pensato “questo è quello che voglio fare io“. E da quel giorno è iniziata la mia curiosità verso la musica elettronica  sotto ogni punto di vista. 

Alessandro: Ho iniziato ad innamorarmi della musica elettronica da piccolo, ascoltando ‘Drukqs’ di Aphex Twin. Con il tempo ho iniziato ad ascoltarne sempre di più, soprattutto suoni più lenti, sperimentali. Alle scuole medie ho scaricato per la prima volta la demo di FL Studio. Da li ho iniziato a produrre ambient e vaporwave campionando vecchi dischi che recuperavo in giro ai mercatini.

Con il tempo ho fatto diverse pause, cambiato tanti generi musicali, hip-hop, trap, ambient, vaporwave, techno. Alla fine, anche se non ero soddisfatto delle mie produzioni, sono sempre tornato a produrre e a suonare in giro. Soprattutto, ad ascoltare tantissima musica. Sono quindi rimasto sempre innamorato dell’ambient e dell’IDM sperimentale, non smettendo mai di provare nuove frontiere fuori dai canoni comuni della musica.

Negli ultimi anni ho riscoperto il piacere della techno, l’energia che trasmette e come accomuna e sincronizza le persone sul dancefloor.

Ma soprattutto mi sono reso conto quanto mi piacesse produrre con sintetizzatori hardware. Collegarli fra di loro, sincronizzarli al ritmo di un kick robotico e lasciare andare gli arpeggiatori e le drum machines.

Giovanissimi, con già diverse produzioni alle spalle, bravi!, ma qual è il messaggio principale che volete lanciare con le vostre uscite? E quale il vostro obiettivo nei prossimi 5 anni?

Alessandro: Le nostre uscite sono orientate ad una sonorità curata nei dettagli. Come avrete notato, nel nostro primo anno di attività abbiamo più che altro fatto uscire solo singoli. Questo perché teniamo tantissimo alla qualità delle nostre produzioni, e non a fare uscire una marea di fuffa da far diventare virale sui social.

Il nostro obiettivo è di produrre qualcosa di curato nei minimi dettagli. Dalle patch dei sintetizzatori alle fasi di mix e mastering finale. Speriamo che le nostre tracce rimangano nella memoria di chi ci ascolta, e nelle chiavette dei DJ e nel cuore delle persone.

Il nostro piano è di continuare così. Spingere artisti che sanno quello che ascoltano e producono. Sonorità definite e scolpite. Sia musica ambientale, cupa, meditativa, sia banger aggressivi e distorti pronti ad armonizzare centinaia di persone in danze tribali.

Non importa che siano grandi nomi o nuovi volti nell’underground.

Le sonorità che ci colpiscono sono ben definite, e ci teniamo ad unire e raccogliere più persone che condividono questa passione ed una cura maniacale per i dettagli.

Ci concentreremo molto sull’organizzazione di eventi e showcase: la pandemia ha reso ballare una bestemmia, noi vogliamo tornare a colpire nello stomaco con enormi subwoofer e nella testa con sintetizzatori psichedelici.

Quali sono i prossimi dischi in uscita?

Michele: La prossima uscita prevista per linea records è un ep composto da 4 tracce scritto da Elliot K chiamato “You and me”,  che tocca sonorità molto particolari e contrastanti in un certo senso.

Le sonorità sono orientate intorno alla techno con sfumature che si potrebbero definire esoteriche, spirituali e in parte ipnotiche. È composto da alcuni campioni di canti gregoriani, sinfonie di Mozart, percussioni e canti popolari del sud America. Ma ci sono anche i ritmi africani in risposta alle strutture più classiche della techno.

Entriamo più nel vivo di Btw, cosa ne pensate della Club Culture lungo la linea di confine che unisce Milano a Berlino? Perché poi Milano e Berlino? Cosa rappresentano per voi?

Michele: Sicuramente a Milano ho trovato il mio primo vero confronto con la club culture. In quel di Macao quando ancora si trovava in viale Molise. Nel 2016 vivevo  anche io in Viale Molise ed il Macao stesso era praticamente il mio vicino di casa. Ho avuto modo di partecipare a tantissime loro serate e di conoscere tantissimi artisti e membri dello staff.  Nel corso degli anni, Macao è stato sicuramente un punto di riferimento e una realtà molto importante per la mia  crescita.

Una volta trasferito a Berlino invece sono entrato completamente in un altro mondo circondato da persone che collaborano con la club culture da ogni punto di vista.

Ho anche partecipato per qualche anno all’organizzazione di eventi con un collettivo indipendente “Sarasvati”, ed insieme a loro abbiamo organizzato diverse serate e festival sparsi per varie location di Berlino.

Si riscontra una certa serietà nella club culture berlinese. Si percepisce che  viene data  molta importanza e attenzione, sembra proprio un bisogno reale da parte dei cittadini.

I locali sono curati nei minimi dettagli e si percepisce l’enorme organizzazione e lavoro dietro alle serate.

Le scelte tra i vari club sono tantissime, quasi troppe. Solo col tempo si capisce quello quello che cerchi e desideri dalla musica elettronica e non solo.

Vi siete in qualche maniera definiti come amanti dell’underground, ma cosa rappresenta per voi questa parola? Cosa vuol dire essere un produttore di musica elettronica underground per voi?

Michele: Il concetto di Underground col tempo è andato un pò perso. Basta pensare alle origini e all’evoluzione della techno negli ultimi 30 anni. Siamo passati da una musica legata ai rave ed eventi più o meno legali, ad un qualcosa che oggi serve le corporate e i brand per farsi pubblicità.

La techno e gran parte della musica elettronica è stata strumentalizzata per creare una connessione tra brand e la loro rispettiva audience. Basta anche semplicemente guardare come Richie Hawtin ormai fa soundtrack per le pubblicità e per le sfilate di Prada.

Penso che nessuno si sarebbe mai immaginato un’evoluzione del genere.

In quanto perso il concetto di Underground, rimane difficile analizzarlo e capirlo a fondo. Paradossalmente ormai sentirsi “underground” non è per niente “underground”. Per noi il concetto di underground è un pochino diverso. La nostra etichetta nasce con solamente il nostro impegno di noi singoli senza nessun aiuto esterno ma soprattutto senza nessun tipo di finanziamento. E’ un progetto a costo zero sostenuto solamente dal nostro lavoro diviso equamente tra di noi. Ognuno è libero di portare ciò in cui riesce meglio e ciò che ritiene più necessario e giusto per l’etichetta. Non ci siamo mai affidati a manager, promotori, agenzie booking, finanziatori. Abbiamo col tempo sempre cercato di avere il pieno controllo sotto ogni aspetto dell’etichetta sia a livello artistico che a livello più funzionale. Questo per noi è essere “underground”, essere interamente indipendenti e dipendere solamente dalle proprie forze.

Quali sono le principali criticità che avete incontrato nel vostro giovane percorso?

Alessandro: Amiamo i Club, i festival e vedere migliaia di persone unite nel ballare insieme ritmi martellanti e digitali, come in una danza tribale. Ovviamente il nostro obiettivo era di far crescere la nostra neonata etichetta. Organizzando un certo tipo di eventi: lunghe nottate perché la gente potesse scatenarsi a ballare le nostre produzioni e le nostre selezioni musicali. La più grande criticità che abbiamo incontrato nel nostro percorso è stata ovviamente la pandemia.

Club chiusi, vuoti, il terrore di organizzare eventi musicali, di non essere autorizzati a tornare a suonare anche quando i contagi erano bassi e le piazze si riempivano di ragazzi che volevano uscire.

Il coprifuoco sanitario è stato un evento che mi ha anche distrutto personalmente. Ma non ci ha demoralizzati nel continuare a produrre e a mantenere viva la nostra etichetta. Prima del Covid e che nascesse Linea Records abbiamo fatto molte serate, indipendemente, in giro per l’italia e l’Europa.

Dopo poco più di un anno. Da quando abbiamo ufficialmente fondato la label, siamo riusciti ad iniziare a fare ballare le persone sotto il nome di Linea Records.

Linea Records @Caracol, Pisa

Provengo da una realtà ed una città primariamente universitaria, piena di giovani. Come accennavo sopra, la pandemia ha reso in Italia, la musica elettronica e il ballare una bestemmia, una pratica sconcia e pericolosa.

Da quando siamo tornati liberi di uscire e socializzare – qui a Pisa – le piazze si riempiono di chi ha voglia di socializzare e divertirsi, come è sempre stato.

Ballare insieme ci unisce, è nella natura dell’essere umano: da quando esiste la musica. Ci riuniamo intorno a tamburi e strumenti per danzare insieme, e ballare insieme ci trasporta nel qui ed ora, nell’’hic et nunc’.

Quando balliamo ci dimentichiamo del nostro passato, dei problemi, del dolore, della lista delle cose da fare per la prossima settimana. Siamo fatti così: il nostro corpo ne ha bisogno.

Qui, in una città composta per la metà di giovani universitari, il settore della musica elettronica è stato rovinato da terribili decisioni dell’amministrazione locale. Ogni mese esce qualche strana ordinanza comunale. Quasi sempre sono rivolte contro gli indecorosi giovani. Quei giovani che da anni sono ormai privati di spazi comuni per la socialità, indirizzati solo al produrre, produrre, produrre e produrre (e consumare ovviamente). Gli studenti si arrangiano, e portano tutte le sere tamburi e chitarre in piazza. Ma la musica elettronica?

A quanto pare, in questo luogo, è un bel nemico. Con la pandemia, la finestra di Overton si sposta e la musica elettronica e la techno sono diventate sempre di più fuori dall’accettabile. Per noi invece è un’arte, lo stesso concetto del millenario ritmo di un tamburo viene esteso e raffinato dalle possibilità che la tecnologia ci offre.

C’è chi si arrangia con enormi speaker bluetooth che porta in piazza, spingendo tutta la sera per compensare alla mancanza di spazi dedicati alla musica.

Le conseguenze di queste decisioni sono abbastanza negative per il settore. Mentre nel resto dell’Italia l’industria della vita notturna sta lentamente ripartendo. Qua sembra che all’amministrazione locale non desideri che chi lavora con la musica elettronica ed i locali torni a ripartire. Noi di Linea, cerchiamo invece di andare avanti nel nostro percorso, continuando a rilasciare musica e ricominciando ad organizzare eventi per fare ballare le persone

Cosa fareste voi per migliorare lo stato di salute del settore? per ripartire, per rinnovarsi? 

Alessandro: Spingerei per riportare la techno e la musica elettronica nella finestra della normalità. Cosa cambia se fanno chiudere anche le discoteche all’una di notte invece che alle 4? Il virus diventa più contagioso di notte?

Cosa cambia se migliaia di giovani si schiacciano, rattristati, in una piazza senza niente da fare, o invece si riuniscono a gruppi più piccoli, a ballare nel cortile di un locale la musica che gli piace?

Per migliorare lo stato di salute del settore, inviterei chi ha un po’ di spazio. Magari un piccolo locale, un garage, e poi un paio di casse, un impianto, un controller MIDI. Qualche luce e tanta voglia di ballare. Inviterei tutti ad organizzarsi, riunirsi e ascoltare la musica per tutta la notte. Ovviamente, nel rispetto della legge, prima che ne esca un’altra che dice che saltare a ritmo di musica è diventato illegale…

Con l’avvento degli streaming digitali, gli artisti e le label non guadagnano più molto dalla vendita di dischi. A parte quei pochi che incassano milioni di ascolti sulle piattaforme di streaming online.

Molti artisti si sono adattati a loro modo e tengono a rilasciare tantissima musica. Spesso poco curata e mirata per la maggior parte a fare qualche condivisione sui social media. Per noi non è così.

La nostra visione, come accennavo sopra, è leggermente diversa. Siamo una label internazionale sparsa per tutta Europa. Internet e i social media ci sono fondamentali.

Tuttavia il nostro obiettivo è continuare a rilasciare musica di qualità. Con costanza, senza esagerare. Per non finire poi a creare troppi contenuti, poco curati. Uno dei nostri obiettivi principali è continuare ad organizzare eventi finché le regole ‘anti-Covid’ ce lo permettono.

Penso che il settore abbia bisogno di più eventi underground. Ma soprattutto di spazi per permettere ai giovani di partecipare a questi eventi, mettendo sotto i riflettori gli artisti emergenti.

Grazie per averci dedicato il vostro tempo, speriamo di condividere prima o poi una bella serata assieme e magari una Consolle!

Links

Linea Records (sito web)


Dj Darius

Edited by Dj Darius, one of the founders of the PUM. Devoted to Art & Detroit Techno, enabling factors for sociality, culture, and community.

    JOIN OUR NEWSLETTER

    You’ll receive new inspiration and motivation, shared lessons, special contents, bonus releases, event updates, and exclusive offers. You can opt-out at any time.


    Break the Wall

    Gab.Gato

    Il punto fermo sta nella collettività

    Nello stendere questa nuova intervista ci siamo lasciati andare alla riflessione su cosa sia per noi la collettività, o l’importanza per noi dell’essere collettivo. Alcune parole, concise tra l’altro, di Gab Gato, un grafico, un illustratore, un’artista e produttore discografico – fondatore di “The Villains Inc. Records” – devoto al sound detroit, electro e techno, un nerd di strada, ci hanno smosso da dentro..

    Montale diceva che “il punto fermo è un tutto nientificato“, che richiama per noi il concetto di qualcosa che prima era forte, era un “tutto” appunto ma che poi “è stato”, o da solo si è indebolito, appunto, un tutto che oggi ha perso il senso.

    E se fosse andata proprio così? ciò che spingeva infondo le persone ha far parte di una scena musicale, culturale, etc. piuttosto che un’altra era proprio un senso di collettività. Senso che oggi è andato perduto. È noi siamo tutti sassolini in una cronologia di ricerche impazzite. Siamo schegge di una realtà sempre più virtuale e sempre meno attuata. Parte di un tutto nientificato.

    Come abbiamo fatto nelle puntate precedenti anche oggi – mantenendo il parallelismo di oggi con Eugenio Montale – siamo alla ricerca di un “mastice che tenga insieme questi quattro sassi”, di un collante che ci aiuti a ricomporre il senso di collettività perduto nella club culture, che sapete essere per noi un qualcosa di più ampio e trasversale che trascende il singolo club o quella che in Italia tutti conosciamo come “discoteca”.

    Oggi vi presentiamo quindi un altro importante e prezioso tassello. Ringraziamo Gab Gato per il suo tempo e la sua disponibilità e vi lasciamo a questo nuovo capitolo di Break the Wall!

    Benvenuto Gab! Rompiamo il ghiaccio con una domanda di rito. Quale musica elettronica ti rappresenta?

    Come artista prevalentemente il sound di Detroit, soprattutto Electro e Techno.

    Quando è iniziato questo tuo amore?

    E’ iniziato a metà degli anni ’80 quando andavo a ballare agli afroraduni, nelle discoteche venete e romagnole, mentre si facevano spazio l’Electro Oldschool e la prima Elettronica … e poi ho conosciuto Detroit.

    Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre?

    A Milano è stata varia e vivace fino alla fine dei ’90, poi il nulla per quasi 10 anni. Poi una nuova generazione ha dato nuova energia che è durata fino all’inizio della pandemia.

    Quali sono le principali criticità?

    Il sistema è la criticità, per dirla come nel film Paz durante l’assemblea del collettivo: ”la Felicità è sovversiva quando si collettivizza!”

    Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture?

    Premesso che il problema è culturale nel senso più ampio del termine, si può solo continuare a fare le cose con passione, mettendoci impegno e serietà e aggiungerei onestà, cercando di lavorare con la gente giusta.

    E quali sono i pro (e i contro)?

    Pro: E’ molto più facile, rispetto al passato, fare serate di qualità e con grande varietà di artisti internazionali e non. Contro: In Italia capita ancora di avere a che fare con organizzazioni poco trasparenti e professionali, anche a causa di una visione bigotta e distorta del frequentatore della ‘Discoteca’, generalmente un ragazzino o un drogato o comunque un losco individuo …

    Quali sono gli aspetti positivi del fare musica al giorno d’oggi?

    Solo il Networking.

    Quali sono le sensazioni che hai verso il tuo ultimo EP / album?

    La prossima uscita sarà un EP di remix fatti da artisti che stimo parecchio, quindi mi sento onorato e fiero di produrlo!

    Grazie Gab per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di condividere presto una consolle insieme!

    Links

    Facebook


    Dj Darius

    Edited by Dj Darius, one of the founders of the PUM. Devoted to Art & Detroit Techno, enabling factors for sociality, culture, and community.

      JOIN OUR NEWSLETTER

      You’ll receive new inspiration and motivation, shared lessons, special contents, bonus releases, event updates, and exclusive offers. You can opt-out at any time.


      Andrea Paolo Lisi Break the Wall

      Andrea Paolo Lisi

      Passioni allo stato puro

      Beh, ogni tanto dobbiamo anche rivolgere lo sguardo alla pancia per assecondarne le passioni. Per sviscerare frammenti di una cultura che si presenta come in continua evoluzione non possiamo dimenticarci del lato più fisico. Tuttavia, è difficile restare ancorati alle forti emozioni e non intraprendere voli per così dire “più mentali”.

      Oggi come funamboli ci sposteremo avanti e dietro, in bilico tra le passioni e le suggestioni di chi come Andrea Paolo Lisi ha vissuto diverse epoche della Club Culture, soprattutto a Roma.

      Andrea è da sempre un appassionato puro prestato al clubbing e allo studio della musica elettronica da una formazione di storico dell’arte (contemporanea). Membro dei collettivi Blue Room e Glucose per una decina d’anni sino al 2012 anche se il suo primo evento risale al ‘91 quando conobbe Andrea Benedetti con cui attualmente cura il podcast Audiodrome per lo spazio di approfondimento culturale Eretica dei Radicali. Mentre, con Andrea Benedetti abbiamo già avuto modo di parlare su Under-Blog per Factory Ask. Magari un confronto tra le prospettive dei due Andrea potrebbe essere interessante al termine di questa lettura.

      In ogni caso ringraziamo Andrea P. per il suo tempo e la sua disponbilità e vi lasciamo a questo nuovo capitolo di Break the Wall!

      Benvenuto! Rompiamo il ghiaccio con una domanda di rito. Quale musica elettronica ti rappresenta?

      Sicuramente sento congeniali gli umori del Synth-Pop primi anni ‘80 e la Techno Minimal, quella storica Mills-iana dal ‘93 a inizio 2000, non la M-nus per intenderci; amo anche la Deep Techno più recente e, in generale, purchè siano astratte, minimali e meno Happy Soul-full Ethno o melodiche, anche la Deep House, il Post-Dub, Bass e Elettronica Hi-Tech.

      Quando è iniziato questo tuo amore?

      Purtroppo (per l’anagrafe) ho visto Ultravox e Human League in concerto nei primi anni ‘80. E ricordo i miei 16 anni in vacanza, chiuso nella macchina di mia sorella che aveva un buon impianto, ad ascoltare Soft Cell, Gary Numan, New Order, Kraftwerk e Japan, insensibile ai 40° dell’abitacolo. E ci sono ovviamente rimasto sotto.

      Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre?

      Ci sono state epoche migliori. Credo che il ricambio generazionale non stia aiutando. I nuovi arrivati sono più interessati ad altri tipi di musica, più mainstream, oppure seguono stili di vita tipo birra e live, per esempio, o riunioni tra amici. Ci sono dei promoter che si danno da fare, sono pochi ma perseverano, quindi abbiamo comunque la possibilità di ascoltare quello che bolle in pentola. Però, ecco, forse a parte un paio di riferimenti storici e di crew collaudate, penso che la club culture ancora prima della pandemia fosse un po’ asfittica.

      Quali sono le principali criticità?

      Da sempre a Roma i problemi sono: la penuria di luoghi, non materiale intendo, di luoghi adatti ce ne sarebbero milioni, ma aperti ad una certa programmazione; la scarsa sensibilità dell’amministrazione; l’incapacità di fare sistema per cui la competizione, anche sleale, ha spesso aggiunto problemi a problemi. Qui sono stati i centri sociali protetti dalle amministrazioni di sinistra a permettere un vero e proprio fermento in passato, sino a 12 anni fa, circa. Per il resto, dalla prospettiva locale di clubbing propriamente detto non c’è rimasto molto, vuoi la crisi post 2008, vuoi l’involuzione politica, vuoi l’assenza di un determinato trascorso e quindi sensibilità da parte delle nuove generazioni, mettiamoci pure il cambiamento epocale tragicamente accelerato dalla pandemia.

      Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture?

      Dimenticare le mega adunate, i soldi facili, lo star system e tornare all’approccio underground e artigianale degli esordi. Bisogna ricostruire l’entusiasmo e il benessere di stare insieme e ascoltare buona musica ballando, e per farlo non basta essere bravi promoter e possedere un posto dove invitare qualcuno di noto a suonare. Bisogna avere un piano, un’idea di cosa si vuole trasmettere, costruirsi una scena e poi usare canali appropriati per far crescere il progetto, più a livello di senso e immagine che non di quantità indifferenziata di frequentatori. Da questo cambio di prospettiva possono arrivare anche le gratificazioni economiche che mancano all’evento in sé. Creare qualcosa più arty, di nicchia, identificabile e riconoscibile.

      E quali sono i pro (e i contro)?

      Che non è il caso di allentare la presa sullo stare insieme e ballare buona musica in un momento in cui rischiamo la deriva solipsistica delle persone, lo spaesamento per un futuro che si preannuncia molto duro. Mai come ora il ruolo sociale del clubbing deve essere mantenuto e curato nei suoi fondamenti positivi. Va pensato come contenitore di supporto e resistenza comunitaria evitando di fare gli errori del passato che, però, all’epoca ancora ce li potevamo permettere, oggi no.

      Grazie Andrea per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di ripartire presto e magari di vederci in qualche evento aperto ad uno dei cambiamenti tanti auspicati.

      Links

      Ascolta Audiodrome. Un progetto di Andrea Benedetti e Andrea Paolo Lisi che intende sondare le possibilità di una sintesi tra le musiche più significative della nostra epoca e i grandi temi sociali e culturali che l’hanno caratterizzata: la lotta per il riconoscimento civile, il paradigma tecnologico.


      Dj Darius

      Edited by Dj Darius, one of the founders of the PUM. Devoted to Art & Detroit Techno, enabling factors for sociality, culture, and community.

        JOIN OUR NEWSLETTER

        You’ll receive new inspiration and motivation, shared lessons, special contents, bonus releases, event updates, and exclusive offers. You can opt-out at any time.


        Kenobit Break the Wall

        Kenobit

        Break the Chip

        Per comprendere lo stato di salute della cultura club, quel coacervo di influenze, stili e visioni del mondo che stiamo ricostruendo intervista dopo intervista, non potevamo trascurare gli 8 bit, una delle più interessanti tendenze del momento.

        Se per gli amanti della musica 8 bit, già il titolo anticipa qualcosa. Per chi ci segue invece, potremmo dire che anche il recente pezzo sui risvolti artistici del videogame Cyber Punk 2077, oppure l’ultimo #BtW del 2020 con Pablito El Drito hanno una forte connessione con l’artista di oggi.

        Come in uno di quei giochi dove si uniscono i punti, con Fabio Bortolotti in arte Kenobit oggi portiamo in luce un passaggio importante, o meglio proviamo a risaltare una tendenza che osserviamo ormai da diversi anni.

        Un passaggio ormai visibile sia nella musica, che nel cinema e in altri comparti culturali.

        L’avanzare della creatività, delle innovazioni, ma sopratutto del suono associato ai videogames. Nel nostro caso con Kenobit, uno dei maggiori rappresentanti della chiptune e della cultura 8 bit in Italia, parliamo di Happy chipcore, techno & weird experimentations.

        Negli ultimi anni con il suo Gameboy si esibito in tutta Italia, in Europa e nel mondo, con spettacoli in Giappone, Sud Africa, Stati Uniti e Russia. Antonio Enrico Buonocore in un suo pezzo su milanocittastato.it lo descrive come un artista e un operatore culturale poliedrico.

        E’ stato redattore di diverse riviste di videogiochi di rilevo nazionale, compone musica ed è uno dei cofondatori e animatori di Kenobisboch Productions, una realtà che coniuga efficacemente cultura e videogiochi

        cit. Antonio Enrico Buonocore 13/01/2019
        Assisteremo forse in futuro alla rinascita dei club come delle macchine arcade a gettoni?

        Di sicuro la sua tendenza al DIY ci suggerisce, in una sorta di parallelismo con il movimento e la cultura punk, che oggi per fare musica non hai neanche bisogno di uno strumento. Passione, creatività, libertà e attitudine ad andare avanti inseguendo i propri demoni sono forse gli ingredienti principali. Ma c’è molto di più, a partire dall’idea del recupero creativo della tecnologia ormai obsolescente che trasforma l’arte del retrogaming in nuovi medium per comunicare ed esprimersi verso l’ampio pubblico con la musica.

        Come nel caso della musica concreta, dell’elettroacustica, del noise etc., quindi attorno a matrici di sperimentazione, o perlomeno alla cultura del DIY associata a tale campo, artisti fortemente radicati sul territorio danno vita e sviluppano vere e proprie scene underground.

        Fabio, una persona tanto eclettica quanto squisita, che ricordiamo con affetto quando è venuto a suonare qui a Pisa molti anni fa per il nostro PUM Factory Festival grazie agli amici di Radiocicletta è anche l’organizzatore di Milano Chiptune Underground, uno dei più grandi party lo-fi a livello italiano. In questi mesi di impossibilità di realizzare eventi dal vivo, è stato molto attivo online in streaming continuando a lottare per mantenere vivo questo spaccato di contro cultura contemporanea.

        Lo ringraziamo ancora infinitamente per averci dedicato il suo tempo e vi lasciamo di seguito alle sue parole per Break the Wall.

        Ciao Fabio, benvenuto! Ho letto che “Kenobit” è un raffinatissimo gioco di parole: (Obi Wan) Kenobi + Bit., nato in un pomeriggio del 2009 quando cercavi un nome d’arte la tua prima traccia realizzata con un Game Boy. In un intervista ho letto che sono stati “i tre minuti di onde quadre a 190 BPM più importanti”, e immagino che ti hanno letteralmente cambiato la vita. Tuttavia mi aspetto che qualcosa bolliva in pentola già da prima. Quindi da buon curioso, inizierei chiedendoti qual’è il tuo percorso?

        Sono Fabio Bortolotti, in arte Kenobit. Sono nato musicalmente come batterista punk e hardcore. Dopo un’adolescenza passata tra salette, concerti e autoproduzioni, mi sono imbattuto nella scena della micromusic e ho iniziato a suonare il mio Game Boy. Negli ultimi anni, oltre a suonare in giro per il mondo, ho organizzato concerti con arottenbit, con il quale ho dato vita a Milano Chiptune Underground e a Cyberspazi (progetto di musica e realtà virtuale che ha coinvolto anche Eyefish e Napo dei Uochi Toki).

        Quando e come sei entrato in contatto con questo nuovo mondo?

        È stata una felice serie di coincidenze. Avevo appena iniziato a sperimentare con i suoni a 8 bit, prima ancora di usare il Game Boy, con qualche VST su PC. Caricai uno dei primi esperimenti su 8bitcollective, un sito ormai defunto dove artistə da tutto il mondo caricavano i loro brani e commentavano quelli altrui. Nel giro di pochissimo fui riconosciuto come italiano da Arottenbit, già attivissimo con il Game Boy. Caso volle che il giorno dopo avesse un concerto in un piccolo ARCI dietro casa mia. Conobbi lui, Tonylight e Pablito el Drito, e soprattutto vidi per la prima volta l’impatto di un Game Boy dal vivo. Volevo fare quella roba anch’io. Dovevo farlo.

        Gli amici di quella sera furono vitali per muovere i primi passi. Pablito e Tony iniziarono a invitarmi a suonare ai concerti che organizzavano, mentre Arottenbit mi fece entrare nel circuito più esteso dell’underground, invitandomi sul palco con lui. Fu un aiuto prezioso, perché ai tempi non avevo abbastanza musica per reggere un set da solo e soprattutto perché mi mise addosso una grande voglia di scrivere musica. C’era la fotta, ecco.

        Quale musica elettronica ti rappresenta?

        Sinceramente non so cosa mi rappresenti, perché il grosso contenitore elettronico nel quale vengo normalmente inserito, la “chiptune”, è un termine vago, spesso privo di alcuni dei dettagli che più trovo importanti nella musica, a livello estetico e politico. Per questo, se proprio devo scegliere un nome, mi piace rifarmi alla “micromusic”, la corrente senza regole nata in seno a Micromusic.net, il sito che ha dato il via alla valanga a 8 bit che ha poi dato vita a svariate mode, più o meno underground. Il motto è: “Low tech music for high tech people.” Detto questo, amo fare musica con un Game Boy proprio perché è tangente a più mondi: capita di suonare in chiusura a una serata punk, a un rave, a una serata techno, a una serata chiptune. È bello vagabondare nell’underground.

        Quando è iniziato questo amore per la musica 8 bit?

        Il mio amore per le onde quadre nasce in tenerissima età, con Space Harrier e un Sega Master System. C’era qualcosa, in quelle note così ruvide, che ha lasciato un’impronta indelebile sul mio cervello. Non ho mai smesso di ascoltare la musica dei videogiochi, anche da sola, in purezza. C’è ovviamente un’enorme differenza tra la VGM e la mia musica, ma il colpo di fulmine arriva da lì.

        Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre?

        Prima della pandemia, Milano era una città molto fortunata. C’era un ecosistema molto sano di locali, arci e squat, per il quale c’era sempre qualcosa di interessante da vedere o sentire, anche durante la settimana. C’era sempre una scusa per svegliarsi con il mal di testa il giorno dopo, insomma. Mi auguro che alla fine del casino ripartirà e ritroverà i suoi ritmi, anche se sarà una battaglia in salita. Quello che so è che, come musicista, farò tutto il possibile per supportare gli spazi che fanno musica. Sono importanti non solo per la musica, ma anche per l’aggregazione. È ai concerti che ho trovato i miei simili.

        Quali sono le principali criticità?

        Milano è una città ricca di contraddizioni e ineguaglianze, e più ci si allontana dalla dimensione DIY, più i nodi vengono al pettine. C’è anche una dimensione parallela all’underground, fatta di locali costosissimi, quelli dove prenoti tavolo e boccia di champagne, dove la musica passa completamente in secondo piano e diventa un banale ingranaggio del guadagno. Detto questo, la criticità del momento è che i locali stanno chiudendo e che ripartire diventa ogni giorno più difficile. Spero che, quando sarà tutto finito, la gente muoverà il culo e non darà per scontata la musica dal vivo.

        Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture?

        Mi rendo conto che sono un disco rotto, ma l’etica dell’autoproduzione e del DIY sono l’antidoto a molti dei problemi che abbiamo. Andare agli eventi, supportare gli eventi, organizzare eventi. Conoscere persone che vanno agli eventi e organizzano altri eventi, incontrare persone che suonano, incontrare persone che vogliono iniziare a suonare, organizzare workshop, diffondere il sapere, darsi una mano. Erano cose che servivano prima e che in futuro serviranno ancora di più. Altrimenti lasceremo il mondo della notte solo a chi ha in banca i soldi di papà.

        Quali sono gli aspetti positivi del fare musica al giorno d’oggi?

        Oggi si possono fare delle cose incredibili con un budget molto ridotto. Nonostante ci sia un grande fetish per l’hardware, spesso con derive estreme, come quella dei modulari, qualunque ragazzinə può iniziare a produrre tracce con due spiccioli, o anche gratis. Inoltre, tra YouTube e tutorial online, molto del sapere che un tempo veniva tramandato oralmente è a portata di clic. Questa democratizzazione degli strumenti, per contro, rende più difficile farsi notare, ma penso sempre che un mondo con più musica è migliore di uno con meno musica.

        Quali sono le sensazioni che hai verso il tuo ultimo album?

        Ho fatto uscire un disco dedicato alle vecchie sigle, scritto a quattro mani con il mio socio Bisboch. Ne vado fiero, ma per il momento mi sembra un disco “incompiuto”. Tutti i pezzi che scrivo nascono con in mente i concerti dal vivo e, per ovvi motivi, di occasioni per suonarlo in mezzo alla gente ne ho avute poche. È andata così, me ne faccio una ragione. Mi fa strano, perché ho più voglia di scrivere il disco nuovo, cosa che sto facendo, che di suonare quello vecchio. Forse per voltare pagina? Dai, sì. Ce n’è bisogno.

        Cosa pensi che possa fare lo streaming per la musica e la cultura? Quale suggerimento daresti alle associazioni come la nostra che tentano di salvaguardare questi aspetti della vita, che al momento sono particolarmente messi a dura prova dall’emergenza COVID?

        Penso che lo streaming sia uno strumento molto potente e che, nonostante le apparenze, ci siano grandi occasioni e opportunità per chiunque voglia fare musica e cultura. Ho alcuni consigli sparsi:

        1) Non inseguire i numeri. Twitch e le piattaforme di streaming, per loro natura, tendono a mettere i numeri in primo piano, ma quando si fa cultura è più importante avere un pubblico fedele e attento che un numero di spettatori alto. La qualità premia. Lentamente, ma premia.

        2) Fare community: lo streaming ha enormi potenzialità, ma solo se affiancato a comunità che partecipano alla vita del canale e che la sostengono. Per avere un progetto autosufficiente, non servono decine di migliaia di fan (anche se aiutano): una community affiatata può fare miracoli.

        3) Non sempre i concerti funzionano. Sono felice e grato per tutti gli eventi online che ho visto (e che ho organizzato), ma non penso che siano la risposta, perché sono comunque una forma di esibizione alla quale manca una componente fondamentale. Abbiamo tutti voglia e bisogno di musica, ma penso che sia necessario sfruttare i pregi delle piattaforme in streaming. Credo che sia più potente una chiacchierata con un artista, abbinata magari a una piccola performance informale. Twitch permette di avere una dimensione intima e domestica che nessun palco può dare, quindi credo che eventi piccoli e informali possano essere il modo ideale per aspettare la riapertura delle gabbie. E per alimentare quella che, mi auguro, sarà un’esplosione di voglia di andare a sentire musica dal vivo.

        Grazie Fabio per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di ripartire presto e magari di ospitarti a Pisa per un bel Live!

        Links

        Bandcamp


        Dj Darius

        Edited by Dj Darius, one of the founders of the PUM. Devoted to Art & Detroit Techno, enabling factors for sociality, culture, and community.

          JOIN OUR NEWSLETTER

          You’ll receive new inspiration and motivation, shared lessons, special contents, bonus releases, event updates, and exclusive offers. You can opt-out at any time.


          pablito el drito Break the Wall

          Pablito el Drito

          Spingere la scena locale, incoraggiare la multidisciplinareità e includere le fasce sociali più deboli

          Oggi abbiamo avuto l’opportunità di conversare con un artista cresciuto nella scena Underground milanese. Signori e signore, diamo un caloroso benvenuto a Pablito El Drito su #BtW.

          Pablito El Drito “Low Tech Division” released in Creative Commons

          Come di rito, vi lasciamo al botta e risposta con Pablito e alle sue riflessioni, che costituiscono dei validi spunti per questo nuvo episodio di Break the Wall e la nostra ricerca a livello Europeo.

          Carissimo Pablito, benvenuto su Break the Wall! parlaci brevemente di te? Qual è il tuo percorso?

          Sono un dj e musicista elettronico, ma anche uno scrittore. Sono nato a metà degli anni settanta, e avevo vent’anni quando è esplosa la musica elettronica. Dapprima l’ho considerata con sospetto, per poi abbracciarla, dapprima come dj, poi anche in un discorso live.

          Quale musica elettronica ti rappresenta?

          Mi piacciono moltissime cose. Dai pionieri (Kraftwerk, Moroder, Wendy Carlos) agli innovatori (Aphex Twin, Orb, KLF in primis), la musica wave elettronica (Borghesia, Clock DVA, Front Line Assembly).

          Per quanto riguarda la techno, e i dj set che suono, amo la scena detroitiana e il suon electro, ma anche il suono di Roma e Francoforte. Mi piace anche la dance fatta bene (Prodigy, Propellerheads, Fatboy Slim, Daft Punk).

          Difficilmente ascolto cose nuove, resto legato a un discorso anni ottanta-novanta-duemila, lo stagno in cui sono cresciuto e in cui sguazzo.

          Quando è iniziato questo amore?

          A vent’anni, quando facevo il fonico in uno spazio sociale. Selezionavo musica alla fine dei concerti e mi sono appassionato prima al dub elettronico, poi alla ambient house e infine alla techno. Al tempo mi appassionava anche molto il suono alla Leftfield.

          Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre?

          Nei club vado principalmente a lavorare o in occasione di incontri più culturali. Diciamo che rispetto al pubblico sono quasi sempre dall’altra parte della barricata, in consolle.

          Ho una visione parziale, non da spettatore comune. Diciamo che preferisco la small room (magari posti da cento- duecento persone) che la big room (troppo dispersiva e che richiede troppi compromessi per essere riempita). Nei dj set amo fare cose lunghe anche 4-5 ore, in cui riesco a esprimermi al meglio.

          Quali sono le principali criticità?

          Le location negli anni sono diminuite di numero. Poi le principali sono in mano ad agenzie che monopolizzano l’offerta. I dj italiani della mia generazione lavorano e vivono quasi tutti all’estero per questo motivo. Non ci sono quasi più i resident, quando invece queste figure nel passato hanno dato carattere e connotazione alle scene.

          Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture?

          Variare la programmazione, spingendo anche le scene locali. Portare cultura, creando percorsi che siano anche multidisciplinari, che incrocino musica, danza, grafica, letteratura, video. Abbassare i prezzi che rendono i club inaccessibili alle fasce sociali più deboli. Creare percorsi di riduzione del danno.

          Quali sono le sensazioni che caratterizzano “Low Tech Division” il tuo ultimo album?

          È una raccolta di brani che ho suonato negli ultimi due anni in giro per l’Italia ma che, per una ragione o per l’altra non avevo pubblicato. È un lavoro scritto e suonato solo con un gameboy. Le tracce riprendono un certo tipo di suono a cavallo tra italo disco, electro, bass music e techno anche abbastanza dura.

          Grazie mille per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di sviluppare presto qualche progetto assieme e magari di ospitarti a Pisa per un bel Live, magari nell’ambito del nuovo format che suona come un gioco di parole Club Cultura presenta “La Cultura del Club”

          Links

          Soundcloud

          Mixcloud

          Bandcamp

          Resident Advisor profile


          Bio Info

          After having organized concerts, set up stages and worked as a sound technician in the underground scene in Milan in the early nineties, I started being interested in electronic music as a dj first (since 1996) and then as a live setter (since 2003).

          I worked in art galleries and festivals in Italy Germany and France: MiArt, Tacheles, Museo di Fotografia Contemporanea, 6b, le Cyclop, Fondazione Pistoletto, Milano Film Festival, Torino Synth Meeting, Teatro Out Off, MamBo, XNL, Attenzione Frequenze Anomale, By this river.

          I published 7 LP: BIT BUBBLES, BACKROOM INDUSTRY, SMOGVILLE, LITTLE COMPUTER DISCO, NERDCORE, KLEPTOCRACY, LOW TECH DIVISION.

          Lately I played with Cdatakill (US), V-Atak crew (FR), 8GB (AR), Hekate (UK), Otolab (IT), Bubblyfish (US), Anna Bolena (DE), B.S.K. (JP), Fire at work (IT), Drama Nui (DE), Zu (IT), Ovo (IT), Vessel (IT), D’Arcangelo (IT), Shitmat (UK),  Nemeton (US), Seppuku (US), Kleopatra J (UK), Luke Vibert (UK), Chistoph Fringeli (DE), Mat64 (IT), Aonami (JP), Freddy K (IT), Matt Green (UK), Dave Monolith (UK), Jiku55 (JP), DjBalli (IT), Francesco Zappalà (IT), Okapi (IT), Uochi toki (IT), Eell Shous (IT), Ben Pest (UK), The Squire Of Gothos (UK), NNNNNNNNNN (JP), Toriena (JP), Deda (ITA), DØGM (FR), Cymba (UK), Stu (CH) , Kodek (LI), Sour (IT), Boaconstructor (US), Dot.AY (AU). I’m founder of Rexistenz records (www.rexistenz.org). I write music reviews for MilanoX (www.milanox.eu) and Frequencies (www.frequencies.it). 


          Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.

            JOIN OUR NEWSLETTER

            You’ll receive new inspiration and motivation, shared lessons, special contents, bonus releases, event updates, and exclusive offers. You can opt-out at any time.


            Break the Wall

            NicoNote

            Ridisegnare la Club Culture a partire dal suono e
            dalla dimensione dell’ascolto

            In attesa di un piccolo e piacevole rialzo delle temperature, abbiamo pensato di scaldarvi con la personalità di un’artista trasversale, abituata a muoversi fluida tra teatro e clubbing, in lungo e largo per il globo.

            Conosciamo uno spaccato di Club Culture oggi con le impressioni e le riflessioni di Nicoletta Magalotti in arte “NicoNote”. Una persona molto disponibile e gentile, “Riminese D.O.C.”. Un’anima nobile e visionaria che abbiamo avuto l’onore e la possibilità di intervistare per la nostra rubrica “Break The Wall” grazie al grande lavoro di DJ Darius.

            Dal 2019 insieme a Pierfrancesco Pacoda ha creato un osservatorio sulla Club Culture in Italia dal titolo “Tenera è la Notte”, una persona quindi che è dentro molte delle questioni che ci piacerebbe mettere in luce con #BtW.

            Copyright NicoNote, ph. Chiara Maretti

            Diamo un caloroso benvenuto a Nicoletta e lasciamo al piacere della scoperta lo sviluppo delle argomentazioni e delle idee che nascono da questo nuovo confronto per Break the Wall.

            Carissima NicoNote, benvenuta su Break the Wall, parlaci brevemente di te? Qual è il tuo percorso?

            Mi chiamo Nicoletta Magalotti (1962) sono italo/austriaca con base nella felliniana Rimini.

            Sono un’ artista trasversale, agisco nei territori di musica, teatro, clubbing, installazioni, performance dedicandomi alle mie produzioni artistiche e a curatele.

            Nel 1996 ho creato la sigla NicoNote.

            Telegraficamente, il mio percorso va dalla new wave italiana con i Violet Eves al teatro di Romeo Castellucci passando per il Morphine nel Cocoricò, tour musicali e teatrali in Europa, Canada, Israele, Argentina, Brasile con discografia dal 1985 fino ad oggi con Chaos Variation V (Rizosfera/RoughTrade) del 2019, progetto tra filosofia ed elettronica.

            Viaggio liquida in generi, formati e campi di applicazione anche distanti. Mi interessa assecondare la mia unicità, favorire l’ibridazione, connettere mondi che non si parlano, mettere insieme il fuoco e la neve, creare emozioni.

            Quale musica elettronica ti rappresenta?

            Fuggo da ogni definizione.

            Rispondo con i primi due artisti a cui ho pensato mentre leggevo la domanda (ma potrei citarne altri 100), uno è l’universo di Robert Ashley con Private Parts, che è un disco che mi porto dietro dalla adolescenza. Fields recording, minimale, sovrapposizioni ambient, noise, concettuale e poetronica, e l’altro è Sun Ra direi opera Omnia. Sono una fan irriducibile del suo immaginario sonoro, visionario, futuro remoto ancestrale galattico. Ecco i miei fari da molte decadi.

            Quando è iniziato questo amore?

            Entrambi amori sonici gravidi di ispirazione visionaria. Li ho “incontrati” entrambi nell’adolescenza. Capitai a un concerto di Alvin Curran e nel banchetto del mech trovai il cofanetto della Lovely Music. Label di New York , 4 dischi con tracce da Blue Gene Tyranny a Maggi Payne e Robert Ashley appunto.

            Folgorazione.

            Da lì in poi apprezzai moltissimo Brian Eno con Music for airport e The Plateaux for mirror con Harold Budd, poi Laurie Anderson, e poi sempre perché N. Y. venne la scoperta John Cage, Berio…

            NicoNote

            Invece Sun Ra, mi incuriosì perché vidi i manifesti di un suo concerto per strada, si esibiva a Ravenna… e per fortuna cercai di ascoltare i dischi di quella figura così particolare.

            Era il 1978 circa, la rete era ancora solo una fantasia distopica. I dischi costavano parecchio, inoltre non era facile trovarli, sopratutto se così particolari, andavano ordinati e comunque senza la certezza di riceverli in tempi brevi.

            Per fortuna c’era il mio amico Konrad Wallinger che aveva tutti i dischi dell’universo.

            Un universo per me assai prezioso. Trascorrevo l’estate in Austria, a Ebensee dove ora c’è un centro culturale il KINO luogo di cinema e concerti, fondato proprio dalla mia balotta , beh Kornrad mi face ascoltare tutto e di più. E a ruota dopo Robert Ashley e Sun Ra … arrivarono i Can, i Gong e lentamente arriviamo agli 80 ai concerti di Siouxsie, Tuxedomoon, Clock Dva, Suicide… e tanto altro.

            Fascinazione del suono elettronico e della ricerca jazz futurtronika e poi amore per i suoni no wawe, concept, noise.

            Cosa ne pensi della Club Culture nella tua città e oltre? Quali sono le principali criticità?

            In questo momento in Riviera esistono episodi interessanti nell’area Ravennate con HanaBi e Bronson produzioni e anche con Club Adriatico. Ci sono anche alcune soirèè underground secret .

            Per quanto riguarda i locali mi sembra che ciò che esiste, sia legato a un pensiero stereotipato del club, non di ricerca dello spazio sonoro e della condivisione liquida.

            Criticità rimangono gli alti costi di gestione di eventi e strutture.

            Quindi la difficoltà di organizzare situazioni spontanee da un lato e dall’altro la necessità di agire in regola con le normative del lavoro, e della sicurezza.

            Ecco questo sarebbe un obiettivo importante da perseguire insieme all’ evoluzione artistica. Un settore il clubbing, la musica, lo spettacolo che è fonte di reddito per molti, ha anche un indotto interessante ma che non è regolamentato pienamente.

            Questo vuoto rischia di essere una arma a doppio taglio, soprattutto in momenti di crisi sistemica come questo.

            Personalmente rispetto al Clubbing oggi mi interessa osservare “da fuori” ed eventualmente fruirne o interagire come artista.

            Copyright DOC Live, NicoNote

            Nel 2019 insieme al giornalista Pierfrancesco Pacoda abbiamo creato un osservatorio sulla Club Culture in Italia dal titolo Tenera è la Notte dedicato a Dino D’Arcangelo e alla rubrica che teneva su La Repubblica, forse il primo giornalista ad occuparsi di clubbing in forma strutturata su un giornale mainstream.

            A lui è intitolato anche il Premio Dino D’Arcangelo, alla sua seconda edizione, la cui giuria è composta da Ernesto Assante (La Repubblica), Francesco Costantini (La Gazzetta del Mezzogiorno), Simona Faraone (Dj/producer), Nicoletta Magalotti (musicista), Pierfrancesco Pacoda (giornalista), Principe Maurice (performer), Pierluigi Pierucci (imprenditore), Claudio Coccoluto (dj), Damir Ivic (giornalista).

            In marzo 2020 è uscito un libro curato da me e Pierfrancesco Pacoda che raccoglie articoli di Dino D’Arcangelo – lo presenteremo ufficialmente a Milano durante la MMW a novembre 2020.

            Si tratta di una raccolta di articoli scritti da Dino d’Arcangelo per il quotidiano La Repubblica e per il supplemento Musica.

            Reportage, recensioni, presentazioni di avvenimenti che hanno raccontato per la prima volta il risvolto culturale dell’universo dei club italiani su un giornale non specializzato. Dalla scena rave romana alle discoteche della riviera romagnola, dai dj superstar ai remix underground: nel libro si avvicendano i protagonisti di quella ribellione sonora (e non soltanto) che solo molti anni dopo sarebbe diventata fenomeno di consumo.

            Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale Club Culture? E quali sono i pro (e i contro)?

            In questo momento di sospensione è proprio il momento di ridiseganre e riformulare nuove possibilità direi proprio a partire dal suono e
            dalla dimensione dell’ascolto come esperienza personale e multisensoriale.

            Mi interessano le vie di fuga, le propoagazioni che la club culture ha prodotto.

            Le installazioni, le performance, ripensare agli spazi. Il suono ci può trasportare in un universo ibrido in cui l’immaginazione trova connivenze ed espansioni, l’ascolto, nello spazio condiviso, nello spazio solitario. Si può danzare nella mente. Si può danzare sul posto. Non servono (non ci sono!) grandi spazi, eppure il suono apre a spazi infiniti. il mondo del club sta cambiando e si sta domandando verso cosa, e dove.

            Quali sono gli aspetti positivi del fare musica al giorno d’oggi?

            Oggi è evidente l’estrema facilità con cui poter produrre distribuire e creare, sia con l’utilizzo di software e programmi, e spargere in rete
            soprattutto per chi fa generi come me non commerciali.

            Anche dal vivo, a parte il momento covid, il ventaglio delle strutture che ospitano è molto vasta. Una maggiore attenzione e ascolti per tutti. Anche con mezzi minimi. Il comparto si e evoluto per certi versi.

            Quali sono le sensazioni che hai verso il tuo ultimo EP / album?

            Chaos variation, un Ep che ho realizzato su invito del collettivo Obsolete Capitalism e degli editori deleuziani Rizosfera di Reggio Emilia,
            già cospiratori e autori del Maffia club. Un progetto di sperimentazione totale. Sono moltoo soddisfatta.

            Il progetto è avvincente, e anche il dialogo con gli editori Rizosfera, collettivo assolutamente fuori dai sistemi del mercato ma con produzioni dalla qualità altissima, distribuiti da Rough Trade a Londra. Con Rizosfera continuiamo la collaborazione e a breve annuncerò Limbo Session – 1 , un album, una creazione improvvisativa in cui ho invitato a cocreare con me il producer Wang Inc. . Uscirà a fine 2020 inizio 2021.

            Il progetto artistico Chaos Variations appartiene alla «Trilogia del Caos» che Obsolete Capitalism propone a partire dall’album-libro Chaossive natura (2017) come prima stazione intensiva. Mi è stato chiesto di creare una VARIAZIONE , non un remix, a partire dagli elementi , dagli stems di due brani a mia. scelta. Molto intrigante.

            Condivido con voi le mie note di lavoro su questo EP:

            Side A – Axtral Requiem – Variazione da titolo di partenza: Afro Abstractions/Xamaycan Funeral March.

            Per Axtral Requiem ho lavorato sul frammento e l’accumulazione, casualità, sovrapposizione, accelerazione. Una Temporary Autonomous Zone in cui l’ascolto è esperienza transitiva, cambia e mi cambia a seconda del momento e del soggetto.

            Il brano è stato trattato come un paesaggio sonoro con veri e propri frames/quadri che si trasformano lentamente, o per cut, e si stabilizzano, evolvono, vivono.

            Ogni quadro vive di vita propria, evoca mondi differenti anche molto distanti uno dall’altro. Eppure parte di un unicum, parte dello stesso racconto.

            La voce è stata sintetizzata, processata, trattata. Il testo affiora, è un disegno vocale “nascosto” emerge lentamente da un presagio atavico, ancestrale, oscuro, noise.

            Mondo siderale e vulcanico, dalle viscere della terra o da un altrove lontanissimo, cupo, minimale. Ed ecco un Requiem, come inno a chiusura di un ciclo vitale. Contemporaneo ma con una astrazione tribale, dark scura. Una premonizione voodoo. Magia tribale e sintetica insieme, di provenienza dall’emisfero Australe, non meglio identificato. La Voce/ VOCI evocata/EVOCATE. Uno dei tanti elementi del paesaggio, la voce/parola emerge poi scompare, poi si duplica e come sample all’infinito replicata si confonde e diventa altro.

            Polarizzazione Poliritmica/Riesposizione vocale/ Poliritmie post techno influenze/Sound Poetry/Voice accumulation/Post Miles/

            Side B – Paysage mélodique avec Artaud Match vocale su una VARIAZIONE incrociata tra Deleuze/Bussotti /Artaud

            Per Paysage mélodique avec Artaud ho disegnato una scrittura vocale e una drammaturgia lavorando in sottrazione a partire da vari elementi: da un Paesaggio Sonoro che mi è stato affidato da Obsolete Capitalism, dalla partitura di Bussotti Five Piano Pieces for David Tudor 4, da Mille Plateaux di Deleuze e Guattari, e dal testo di Artaud Position de la Chair, che Bussotti riporta in esergo alla sua partitura.

            Un percorso drammaturgico a partire da una libera lettura degli elementi, ponendo uno spazio di osservazione e una distanza prospettica dai tre giganti Deleuze/Bussotti/Artaud, dalla loro inevitabile presenza, lavorando con un profondo rispetto eppure tenendoli lontani, astraendo la loro portata.

            Dando per scontato la loro forza/presenza, eppure non sottolineandola, ho cercato una chiave d’accesso e di attraversamento, con l’analisi, lo studio, l’ascolto, la traslazione degli elementi.

            Tutto ciò mi ha portata a focalizzare il mio nucleo drammaturgico, e la chiave è emersa.

            In essenza: Spazio/Voce in attesa e in fuga. Low-Fi. Noise. Una voce/parola in attesa e che fugge, una voce in fuga, chiave per il ritmo drammatico e per la mia rilettura e ricomposizione vocale. Ho lavorato sul frammento, sulla ripetizione, sull’evocazione, sulla scrittura vocale e scrittura del testo e infine ricomposizione melodica attraverso varie linee di astrazione e applicazione: la Chair, la Carne, è una esperienza, uno spazio. Uno spazio tra le Parole. Un’attesa, una sospensione. Una Fuga. Una voce che fugge. Voce che evoca spazio. Una voce che evoca voci. Voci differenti nello spazio sospeso.

            Voce processata, artificiale ma con assoluto equilibrio e rigore, sporca ma definita.

            Attenzione al ritmo e al silenzio della voce. Solo l’essenziale. Lavoro in sottrazione. Sottrazione di presenza. Low-fi. Noise. Astratta. Evocata. Non definita. Sprechgesang/Extended Vocal Techniques/Sound Poetry/Free Jazz Improvisation/Folk/Spoken/Contemporary Vocal Influence/Voice accumulation/Noise.

            Grazie mille per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di sviluppare presto qualche progetto assieme e magari di ospitarti a Pisa per un bel Live, magari nell’ambito del nuovo format che suona come un gioco di parole Club Cultura presenta “La Cultura del Club”

            Links

            Dj Set

            Djdmac interview

            Speciale Romeo Castellucci

            Bandcamp

            Soundwall intervista

            Notte Italiana

            Limbo Session Niconote ft White Raven

            Chaos Variation EP

            AXTRAL REQUIEM


            NicoNote Bio Info

            NicoNote è una voce, un universo. Progetto e alias artistico creato nel 1996 da Nicoletta Magalotti (1962) Italiana-austriaca con base nella felliniana Rimini; cantante, compositrice, performer, artista trasversale e non definibile, ha sviluppato una cifra unica nella sonorità e nei formati.

            Agisce in territori molteplici legati alla musica, al teatro, alle installazioni, al clubbing. Ha all’attivo dal 1985 ad oggi una intrigante discografia e tour musicali e teatrali  in Italia e tutta Europa, Canada, Argentina, Brasile.

            Gli anni 80
            • A metà degli anni 80 è stata la voce della band Violet Eves, protagonista della new wave italiana con l’etichetta indipendente IRA records di Firenze, insieme a Litfiba, Diaframma, Moda, Underground Life.
            • Negli anni 90 insieme al dj David Love Calò cura un privèe/installazione (all’interno della roboante disco Cocoricò) il Morphine, luogo di radicali sperimentazioni musicali e performative.
            • Nel suo particolare percorso trasversale è stata diretta più volte da registi quali Romeo Castellucci / Socìetas Raffaello Sanzio, Francesco Micheli, Patricia Allio, Maurizio Fiume, Fabrizio Arcuri e altri,  ha collaborato con musicisti di estrazione molto diverse, da Patrizio Fariselli degli Area a Mauro Pagani, dai producer house Mas Collective a Teresa De Sio, da Dj Rocca a Piero Pelù e Andrea Chimenti a Ghigo Renzulli, da Roberto Bartoli (Tommaso Lama, Steve Grossman) a Stefano Pilia (In Zaire, Afterhours) da Bartolomeo Sailer  (Wang Inc.) a Luca Bergia (Marlene Kuntz) e Davide Arneodo (Perdurabo, Marlene Kuntz), da Enrico Gabrielli (Calibro 35, PJ Harvey)  a Elisabeth Harnik (Joëlle Léandre, John Butcher) e altri.
            • Dal 1985 ad oggi ha prodotto e licenziato dischi con vari pseudonimi Violet Eves, Nicoletta Magalotti, AND, Dippy Site e svariati Featurings.
            Oggi…
            • A firma NicoNote gli album Alphabe Dream (Cinedelic 2013) prodotto con il compositore francese Mikael Plunian,  Emotional Cabaret  (DocLive 2017) prodotto insieme a Dani Marzi e Alfredo Nuti  e  Deja V. (Mat Factory 2018) un album “segreto”  interamente dedicato a riletture dei Violet Eves. In uscita a giugno 2019 una nuova release NicoNote & Obsolete Capitalism Sound System dal titolo Chaos Variation V (Rizosfera, Rough Trade).
            • Nel maggio 2019 insieme al giornalista Pierfrancesco Pacoda ha creato un osservatorio sulla Club Culture in Italia dal titolo Tenera è la Notte / Premio Dino D’Arcangelo. Conduce regolarmente masterclass di studio sulla Voce, in Italia e all’estero, recentemente insieme alla cantante Monica Benvenuti ha dato vita al progetto di formazione sulla vocalità contemporanea “Voci Possibili”  in collaborazione con Tempo Reale, Firenze.

            NicoNote si muove liquida in generi sonori e formati anche distanti, combina il canto con la dimensione performativa, l’improvvisazione radicale con il pop, creando un clima unico, un teatro vocale immateriale. www.niconote.net


            Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.

              JOIN OUR NEWSLETTER

              You’ll receive new inspiration and motivation, shared lessons, special contents, bonus releases, event updates, and exclusive offers. You can opt-out at any time.


              Patrizio Ferrari Break the Wall

              Patrizio Ferrari

              In cerca di uno spazio, per un maggiore dialogo fra la musica e le altre forme d’arte.

              Dopo il “Break” estivo, ripartiamo a bomba in questa estate settembrina con la nostra ricerca sullo stato della Club Culture per comprenderne gli sviluppi e poter contribuire a ritrovarne un significato.

              In Calendario abbiamo molte interviste che usciranno nelle prossime settimane. Alcune anticipazioni? Una su tutte, presto R&S tra le nostre pagine! Questo perché andremo sempre più affondo in lungo e largo nella ricerca che stiamo svolgendo, con contributi sempre più interessanti e preziosi. Tra questi, oggi, ci spostiamo tra gli addetti ai lavori con una bellissima mente “Patrizio Ferrari” che da anni in Italia si occupa di divulgazione musicale, dapprima con un programma radiofonico per poi divenire un blog curato e sempre aggiornato sullo stato dell’arte, sopratutto quella di nicchia.

              Patrizio Ferrari Break the Wall
              Copyright Nicchia Elettronica

              Diamo così il benvenuto a Patrizio di Nicchia Elettronica. È stato per noi un grande piacere chiedergli il suo parere sullo stato della Club Culture nel nostro paese, sviluppare una discussione per Break the Wall e avviare una forma di collaborazione che speriamo in futuro continui e possa dare frutti importanti. In fondo, cerchiamo di fare rete con tutte quelle realtà che come noi condividono una passione vitale. Come sappiamo del resto, c’è molto bisogno di unire le forze e cambiare lo stato delle cose.

              Date le premesse, Patrizio con la profondità culturale e la passione che lo contraddistinguono sviluppa alcuni concetti importanti che oggi abbiamo l’onore di sottolineare in queste pagine.

              Carissimo Patrizio, benvenuto su Break the Wall, parlaci brevemente di te? Oltre a scrivere fai musica, sei un Dj? Qual è il tuo percorso?

              Prima di tutto ci tengo a ringraziare tantissimo Daniele e tutta la redazione di Under-blog per avermi dato questa bellissima opportunità. Il mio amore per la musica è nato molto presto e sono sempre stato affascinato da tutte le sonorità collegate al mondo della “dance” nel senso più ampio possibile.

              Ho sempre amato ascoltare musica, prima in radio e poi pian piano su varie piattaforme digitali. Sento l’esigenza tenermi informato su nuove uscite, eventi e sull’evoluzione di tutto un mondo musicale che mi appassiona. Ho subìto da ragazzo il fascino del Dj, ma non ne ho mai fatto una professione; più che altro mi diverto ogni tanto a mettere dischi a serate fra amici.

              Sento l’esigenza tenermi informato su nuove uscite, eventi e sull’evoluzione di tutto un mondo musicale che mi appassiona

              In anni più recenti ho creato un blog, Nicchia Elettronica, su cui scrivo articoli, approfondimenti e qualche volta rilascio interviste sul mondo della musica elettronica. Ho iniziato da non molto a produrre musica mia e conto di pubblicare qualcosa nei prossimi mesi insieme a degli amici di Milano con cui abbiamo appena fondato un’etichetta.

              Quando e come inizia il tuo percorso con Nicchia Elettronica? Con quali sonorità ti senti più in empatia?

              Nicchia Elettronica è nato come programma radiofonico nel 2017. A quell’epoca studiavo a Padova e ho deciso di lanciarmi in questa nuova esperienza. Fondamentalmente mi occupavo di selezionare e parlare di nuove uscite legate al mondo della musica elettronica. È stata un’occasione molto preziosa perchè mi sono divertito e ho conosciuto molti artisti interessanti, sia di persona che addentrandomi in scene musicali di cui prima non ero a conoscenza.

              Dalla radio al blog in cerca di sonorità sempre nuove…

              Io sono attratto soprattutto da sonorità idm e downtempo, ma ascolto davvero più o meno qualsiasi cosa che possa rientrare nella definizione di “elettronica”. Quando conducevo il mio programma in radio ci tenevo molto a proporre una selezione il più vasta possibile di generi: dalla world music all’ambient, dalla drum’n’bass a cose più sperimentali.

              Con quali artisti hai legato di più nel tuo lavoro e quali pensi di aver messo in luce?

              Uno su tutti Indian Wells. Ho avuto il piacere di conoscerlo quando è venuto a Padova a suonare al Summer Student Festival (Je t’aime) e in seguito l’ho anche intervistato. È una persona molto disponibile oltre a essere un musicista che stimo moltissimo.

              Qualche mese fa ho intervistato Daniele Sciolla per il mio blog l’uscita del suo ultimo Ep “Synth Carnival” e anche lui è stato super gentile e disponibile.

              Sempre sul blog, prima dell’estate è uscita un’intervista che ho fatto ad Arturo Camerlengo, un produttore campano molto interessante che sta muovendo i primi passi e ha pubblicato il suo primo Ep “Genesi”  di cui ho fatto una review. Un altro gruppo con cui ci sono stati dei bei contatti  fin dall’esperienza in radio sono i WRONG MÆSS, una band milanese che fa un’elettronica molto figa e che fa parte dell’etichetta La Sabbia.

              Anche Sideshape Recordings è un’etichetta che ho scoperto con grande piacere: loro sono di Torino e hanno una proposta musicale molto varia e di qualità.

              Ad oggi cosa ti ha motivato e influenzato maggiormente nello sviluppare il tuo blog?

              Ero in cerca di un mio spazio dove poter dare forma alla mia passione. Per me ascoltare musica è un’esigenza e ho sempre amato far ascoltare gli artisti che mi piacciono a parenti e amici. Iniziare con la radio è stata una bella scommessa e, nel mio piccolo, l’obiettivo era di far arrivare certa musica (di “nicchia”) a quelle persone che solitamente non la ascolterebbero.

              Patrizio Ferrari Break the Wall
              Copyright Patrizio Ferrari
              L’obiettivo è di far arrivare certa musica (di “nicchia”) a quelle persone che solitamente non la ascolterebbero

              Lo scopo del blog è di promuovere generi e artisti che sono, a mio parere, ingiustamente poco considerati, soprattutto in Italia. Purtroppo da noi viene dato poco spazio (nelle radio, negli eventi, nell’informazione ecc.) ad artisti che hanno talento e passione e questo perchè prevalgono spesso delle logiche commerciali che escludono la qualità dai radar. Non mi illudo di cambiare le cose, ma mi dà soddisfazione sapere di essere parte di un movimento più grande che lavora per dare più visibilità e riconoscimento a una determinata scena musicale.

              Cosa è per te la Club Culture? Un disco che la rappresenta?

              Premetto che non sono un assiduo frequentatore dei club, mi ritengo più un ascoltatore da cuffia. Ovviamente non disdegno andare a ballare e quando posso vado a serate e festival, soprattutto se c’è qualche artista che mi interessa. Penso che il club e i festival esercitino un vero e proprio richiamo per tante persone che li frequentano perché lì hanno la possibilità di evadere, ballare, viaggiare con la mente ed entrare in contatto con persone che condividono la loro stessa passione.

              Poi c’è tutta una dimensione che si svolge fuori dal club: il mondo dell’ascolto domestico, del collezionismo di dischi, dell’informazione specializzata e via dicendo.

              Si chiama cultura proprio perchè presenta diverse sfaccettature e non è assolutamente ascrivibile al solo “andare in discoteca”.

              Come disco rappresentativo scelgo un classico: “Man With The Red Face” di Mark Knight e Funkagenda.

              Secondo te era più facile comunicare e vivere di musica e giornalismo in passato?

              Oggi la comunicazione in campo musicale è sicuramente più fluida e veloce rispetto al passato. Penso che se 10 o 20 anni fa ti volevi informare su certe scene musicali dovevi per forza fare riferimento a certe riviste specializzate oppure c’era roba che circolava quasi esclusivamente sui blog, appunto.

              Oggi il bombardamento di informazioni non risparmia neppure il settore musicale e questo non necessariamente è un male.

              Sul vivere di musica, dipende. Se sei uno che fa un certo musica in Italia, fai una fatica pazzesca. Nel campo del giornalismo immagino che il discorso sia simile: l’informazione su un certo tipo di musica esiste, ma è una piccola parte se paragonata ai generi più mainstream. Per cui o finisci per scrivere di ogni genere di musica, anche quella che non ti piace, oppure sai di doverti ritagliare spazio all’interno di un segmento piccolo in cui ci sono tanti appassionati, quindi puoi fare più fatica.

              Le persone comprano meno musica nei supporti tradizionali alcuni dei quali come i CD stanno per sparire, ma sopratutto frequentano sempre meno i club, molti chiudono anche in paesi ‘avanti’ come la Germania, cosa potremmo fare qui? Cosa manca? Cosa andrebbe cambiato?

              Viviamo nell’era del digitale e oggi è troppo più facile e conveniente divulgare e reperire musica in formato digitale. Un po’ dispiace perché personalmente sono cresciuto collezionando cd, però è così. Per quanto riguarda i club questo non è sicuramente un periodo facile. l’emergenza sanitaria ha dato un brutto colpo a questo mondo che già non se la passava benissimo.

              Penso che prima di tutto serva un certo tipo di sostegno da parte delle amministrazioni locali. Purtroppo in Italia sono ancora troppe le persone che hanno in testa l’equazione sbagliata per cui club e discoteca uguale droga e perdizione. Bisogna lavorare per passare un messaggio diverso e secondo me ci sono delle tendenze già avviate in questo senso.

              Bisogna lavorare per passare un messaggio diverso e secondo me ci sono delle tendenze già avviate in questo senso

              Vivendo a Milano negli ultimi anni ho potuto assistere alla nascita di realtà che oltre a una proposta musicale elevata offrono tutta una serie di attività, come workshop, corsi e laboratori che fino a qualche anno fa non venivano associati ai club. In questo modo si avvicinano le persone a questo mondo e il ritorno in termini di opinione pubblica è sicuramente grande. D’altra parte penso sia giusto che il club voglia mantenere una propria dimensione ristretta, intima e in qualche modo chiusa perchè anche questo fa parte del suo fascino.

              Quale è la Club cultura che vorresti? 

              Da un lato mi piacerebbe vedere un dialogo sempre maggiore fra la musica e altre forme d’arte perché penso che anche questo sia un modo di avvicinare più persone a questo mondo. Poi vorrei vedere più artisti minori riempire i locali, anziché i soliti grandi nomi stra conosciuti. Sono convinto che in Italia ci siano tantissimi artisti di valore che però non sono abbastanza valorizzati e per paura (reale) di non riempire il locale si va a pescare da altri bacini che hanno maggiore visibilità. Serve un po’ di coraggio nelle scelte, almeno all’inizio.

              Come vivi il rapporto con l’elettronica più orientata ai club? Quali sono 5 dischi a cui non potresti rinunciare in un Dj-set?

              Tantissima della musica che ascolto è club oriented. La cassa in 4 oggi ha molti detrattori, in parte giustamente, ma per me che ci sono cresciuto rimane imprescindibile. È vero che oggi molta musica è troppo imitativa, soprattutto la techno mainstream a volte sembra fatta con lo stampino e la trovo noiosissima, però c’è anche chi fa techno o roba dritta riuscendo a sperimentare in maniera creativa e reinventandosi. Poi ovviamente è giusto non focalizzarsi solo su certe sonorità, ma essere aperti all’ascolto di generi diversi perché così si mantiene aperta la porta della creatività e non ci si chiude musicalmente e mentalmente. Questi sono cinque dischi che mi prendono sempre molto bene sia ascoltati che suonati:

              1. Bicep – Glue
              2. Nathan Fake – You Are Here (Four Tet Remix)
              3. Dominik Eulberg – Sansula (Max Cooper Remix)
              4. Floating Points – Nuits Sonores
              5. Indian Wells – Closer
              Cosa bolle in pentola nel prossimo futuro?

              Al momento sto lavorando a un progetto che abbiamo ideato insieme a un amico: si tratta di un evento musicale incentrato sulla sostenibilità. Spero che sentirete parlare di noi! Con altri amici abbiamo fondato un’etichetta che si chiama Gravitone e abbiamo in mente di far uscire un Ep a breve per iniziare a farci conoscere. Nel frattempo continuo a curare il mio blog e a farlo crescere; ho un paio di interviste in programma che dovrebbero uscire nelle prossime settimane.

              Grazie mille per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di sviluppare presto qualche progetto assieme e magari di incontrarci a tra Milano e Pisa per realizzarlo!

              Links

              Nicchia Elettronica

              Esce oggi ‘Black Trees’ di Indian Wells


              Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.

                JOIN OUR NEWSLETTER

                You’ll receive new inspiration and motivation, shared lessons, special contents, bonus releases, event updates, and exclusive offers. You can opt-out at any time.


                Om Unit Break the Wall

                Om Unit

                Building on more inclusivity, social and cultural parity with an open critique with the ‘business’ aspect of this culture

                We started in January with the idea of research on the status of the Club Culture. Our aim is at understanding its developments to find its current meaning. We are in the first step of a mixed qualitative-quantitative approach, collecting many interviews between musicians, organizers, producers, DJs, professionals, and enthusiasts around the globe. Researching to grasp ideas, opinions, discussions, and all information that we can further employ for a cross-analysis with other literature/media discussions.

                An ambitious project that faced with humility, intellectual honesty, and method, could ultimately give so much to those who base their life on music. Tracing of new trends as well as policy indications, and operative solutions, these are our ultimate goals, to redesign together a new club culture.

                We are in the first step of a mixed qualitative-quantitative approach, collecting many interviews…

                Under this umbrella, the great “Andrea Mi” with the cultural depth and passion that distinguished him, the last January took our challenge and in his interview mentioned one of the last EP – ‘Submerged‘ – of his friend and “fundamental” English producer, Om Unit.

                Six months have passed so far. We have gone very far with Break the Wall, but perhaps, it might be the case to close the first balance of this adventure. So, we present today a really nice interview that Jim Cole aka Om Unit released for us a few days ago.

                om unit
                Om Unit, © KōLAB Studios

                “As if driven by a sort of cosmic connection”. The same feeling that sometimes binds ideas, passion with a pure dedication for music. We close the semester with the reflections of a DJ, a Musician, and a Producer who offers us a clear synthesis on our topic.

                His songs are dense, deep, beautiful. With styles and schools that have structured the history of Club Culture in recent decades. From jungle to techno, from bass music to house rhythms.

                Andrea Mi, Break the Wall 24 January 2020

                For several years, Om Unit has been making a fundamental contribution to electronic music. Distinguishing itself by a pure approach, through a label, the Cosmic Bridge, many releases, and extraordinary innovative capacity.

                Let’s dive now into this fruitful conversation through the Om Unit spaceship!

                Dear Jim,
                thank you so much for participating, it’s a real pleasure for us to have your contribution. Even if we are witnessing hard times. We think that it is important exactly now to increase our voices and efforts. Building new networks, placing both “Art and human relations” at the core of our communities. Using the Mad Mike Banks metaphor, this time calls for supporting that invisible and necessary sea of water that defines the resistance of underground.
                What do you think about it? What’s your recent experience during lock-down? was there anything in your direct experience that moved in this direction?

                You’re welcome! I love that you mention Mad Mike because, at the moment, he is working with other musicians in Detroit to build a School for kids right now. That is about as real as it gets!

                I’ve been watching how DJ culture has been suffering and how DJ’s have responded with great interest. There has certainly been a broad range of fast adaptation in some sense with things like streaming/distanced parties. But I think this crisis has shown us that it’s a good time to really take a look at what we are all doing with it all. For example, I used to hear people complain about the capitalist side of things, and I was thinking that they were being a little alarmist. But I have recently really had time to think about the whole landscape in music and take stock of what is really important, which has been very positive and refreshing.

                Issues are now on the table like inclusivity and social and cultural parity and there is some further open critique with the ‘business’ aspect of this culture too which are all very necessary at the moment.

                In terms of having this ‘Covid break’ time to really look my own path, I can say I have been able to be really honest about my musical direction and writing choices in the studio. I’m now finding my feet in new and interesting sounds that feel more authentic whilst moving towards more of an eclectic format as DJ and Producer again. I have a new radio starting and some exciting new releases coming too which reflect a more authentic vibe for me personally, some new studio techniques are being explored and I’m working on new collaborations too which I’m excited to share with people.

                In our previous reviews, we discussed a lot about the devastating impact that the COVID crisis delivered on the whole sector of culture (at least for a very weak system like the Italian one).
                What about your direct experience as an artist and a label manager in a more advanced system like the English one? Did you find a cushion to land on, do they (politics) offer support for the sector?

                There has been support from the UK government only for the big concert venues, which was actually a very large amount of money, but sadly there is nothing for the small clubs. This conservative government don’t value the arts as much as they should, so we have to fight as usual for our own way of life. There was some fairly decent help for small businesses though, and some help for self-employed people like myself. Lucky for me I work part-time as a teacher. Some of my friends are not so lucky and will have to change their lives to make it work.

                It’s really sad because dancing to music is one of the most therapeutic things we can do with our body, and the powers here do not recognise the value of maintaining a place to do this for when the pandemic is over. Major venues were already under pressure here because of the ruthless nature of development and city planning that also does not value cultural spaces. The future of nightclubs looks really bleak at the moment and more needs to be done in the UK to help to save them.

                The message we have perceived through your latest releases is certainly positive, to move on. We refer to “As We Continue” that you launched under the pseudonym of Phillip D Kick, and that hymn to the joy for the rave culture that is Joyspark.
                What’s your feeling with your last Phillip D Kick release?

                The ‘Phil Stuff’ as I call it is almost like someone else – a different person. I try to respect the footwork and jungle roots at the same time and it’s more a ‘just for fun’ thing where I get to be free and just make Tracks that ‘bump’. I get too serious about music sometimes so I think this allows me to just be free and make more club stuff. This new record is pretty laid back in some sense though, but I think I was always more into the smoother side of jungle and certainly the jazzier side of footwork anyway.

                What are the positive things of making music nowadays?

                I mean, the world is going crazy right? So we might as well all just make good honest art.

                Despite the positive Bandcamp-Only self-release, what do you think about the role of platforms during this crisis?

                I feel that technology has always been a key part of the art world, and social media and online music platforms are no different. There is a positive in the sense that access to music has never been so broad for everyone, but similar to Netflix, when you have a big choice, it’s like where to go? Algorithms are now there to choose for you. A lot of modern-day social media platforms use behavioural modification techniques on their users via algorithmic manipulation (I recommend the recent work of Jaron Lanier in this regard).

                This as we know has created a rise in populist thinking and monoculture. I myself love the access to music that for example the combination of discogs and bandcamp has given me but I can’t really connect with Spotify or Apple Music that well. Perhaps it is because my interest is in more niche music and collecting records, but I find it hard to navigate an infinite choice and I don’t want to have to feed an algorithm to ‘tune’ it to my taste, that feels like handing over my free-will to a machine.

                A producer of your experience has certainly lived through all the steps of digitization. This accordingly has had different impacts on the progress of various sectors.
                Do you think that COVID has exacerbated or attenuated them?
                We refer, for example, to the increasingly evident trend by people to shift their social life and behavior towards digital
                For those who make electronic music like you, technology represented the promise in a certain sense of a better future. Do you think this promise has been accomplished?
                We refer to the fact that we observed that the initial movements and the waves are all slowly declined to make room for the market and consumption. Or that today it is increasingly difficult to imagine a utopia or a future as it could have happened in the 80’s/90’s … –
                What is the future that awaits us?

                Well, I think the idea of the ‘tech utopia’ is just boring. Again, I have to draw upon Jaron Lanier’s viewpoint that the so-called ‘singularity’ as imagined by Ray Kurzweil is as absurd as ‘The Rapture’. We have evolved as creatures who have a natural inbuilt appreciation of music in a real space. Now whether the idea of full-scale club culture is at risk we cannot say but the rise in illegal parties this year certainly dictates that there is something missing already for people. The authorities would do well to think about how to maintain safe and meaningful dance spaces going forward, even it means a kind of ‘furlough’ for clubs in terms of rent for starters.

                The future relies on this kind of assistance, and without it we have no real certainty of anything really. I think the dream of the 80’s and 90’s happened in the 80’s and 90’s. I think today’s dream is really about returning to a safer dancefloor not just in terms of the pandemic but in terms of attitudes of the people in clubs as well as attitudes of the industry itself. It’s up to us within the culture to choose how it looks, and make those changes, but the physical infrastructures themselves need to be protected.

                A curiosity, when the love for your “cosmic sound” started?

                I always had an interest in ambient and spaced out music, even when I was a kid. I think growing up in the 80’s played a big part in that somehow. I always loved how 80’s pop music had these weird reverbs. When I was very young I loved the abstract sounds that pop artists like peter Gabriel or Steely Dan would use in the mix, even as a kid I remember hearing stuff like ELO and wondering how they got those mad effects.

                I think that’s why I love dub reggae and dub techno so much too nowadays, the use of space and strange FX. I had a brief time playing those kind of ‘Balearic chuggers’ as well as a DJ which for me felt pretty cosmic. I also wanted to inject some kind of ‘spiritual energy’ into my hip-hop work as ‘2tall’ back in the early 2000’s which kind-of came through with the ‘beautiful mindz’ LP. I think hearing the psychedelic work of early flying lotus and that whole scene out in LA in the mid-2000’s also really turned me on to the idea of using more ‘out-there’ studio techniques and kinda put me onto the idea of making instrumental music that had basslines and weight that wasn’t just ‘club’ orientated.

                Using more ‘out-there’ studio techniques …

                Artists like J Dilla, Dabrye and Ras G all had some of that cosmic stuff going amongst their work too, using these really interesting ways of layering and chopping sounds. It’s a kind of continuum in a lot of music I think that is always there amongst the layers. Recently I’ve heard a lot of cosmic ambient music that is also quite sample based which has that same feeling too, people like broshuda or UON for example, or even the more beatsy stuff like seekersinternational (whom I’ve made a mini LP with which drops soon)

                What do you think about club culture? What the situation in your city and beyond?

                I mean right now it’s asleep, maybe for the better? I think there will be some positive changes if the venues can stay open for long enough. In Bristol, we have some issues with closure or imminent closure, but there’s some small ventures such as High Rise sound system throwing parties to seated crowds. Really, it’s all still on hold, so as I said it’s a good time to pause and think. With regards to DJ and Music Culture in general, there’s work to do in terms of bringing more attention towards doing things in a more consciously progressive manner when we do return to the dancefloor.

                What are the main criticalities? What we can do to improve it?

                Here’s 3 out of many..

                1. Reach out to more people of colour, women, queer, trans, non-binary and other marginalised people if you have a platform and share it with them wherever possible.
                2. Use your platforms to speak up about things that need changing within the culture you are involved in.
                3. Promote the music you truly love only, and it will feed you forever. It might not always pay the bills but it will bring more happiness, and that happiness will have more positive affect on the culture around you, it’s a ripple effect in that way.
                Thank you so much for your availability and effort! We hope to have one of your shows in our leaning tower city of Pisa in the next future!

                Can’t wait to be back!


                Links:

                Om Unit Bandcamp

                Om Unit Discogs

                Cosmic Bridge Records

                Soundwall interviews


                Ripensare tutto a partire da una maggiore inclusione, parità sociale e culturale e con un occhio critico verso gli aspetti “imprenditoriali” di questa cultura

                Siamo partiti a gennaio con l’idea di avviare una ricerca sullo stato della Club Culture per comprenderne gli sviluppi e poter contribuire a ritrovarne un significato. In questa prima fase di lavoro stiamo raccogliendo molte interviste tra musicisti, organizzatori, produttori, Djs, addetti ai lavori e appassionati da tutto il mondo allo scopo di sedimentare idee e concetti sui quali poi effettuare un’analisi incrociata con altra letteratura e discussioni da altri media che affrontano il tema.

                Un progetto ambizioso che affrontato con umiltà, onestà intellettuale e metodo, alla fine potrebbe dare così tanto a coloro che basano la propria vita sulla musica. Tracciare nuove tendenze, indicazioni politiche e soluzioni operative, questi sono i nostri obiettivi finali, per ridisegnare insieme una nuova club culture.

                Siamo così nella prima fase di un approccio misto qualitativo-quantitativo, stiamo raccogliendo molte interviste …

                Sotto questo ombrello, il grande “Andrea Mi” con la profondità culturale e la passione che lo hanno contraddistinto, lo scorso gennaio ha accolto la nostra sfida e nella sua intervista ha citato uno degli ultimi EP – ‘Submerged‘ – del suo amico e “fondamentale” produttore inglese Om Unit.

                Da allora, sono passati sei mesi. Siamo andati molto lontano con Break the Wall, e potrebbe essere il caso di chiudere un primo bilancio di questa avventura. Quindi, presentiamo oggi una bella intervista che Jim Cole aka Om Unit ci ha rilasciato pochi giorni fa.

                “Come spinti da una sorta di connessione cosmica”. Una forza che lega idee e passione con una dedizione pura per la musica, chiudiamo il semestre con le riflessioni di un DJ, un Musicista e un Producer – Om Unit – che più di altri riesce ad offrire una chiara sintesi sul nostro argomento.

                Le sue canzoni sono dense, profonde, bellissime di stili e scuole che hanno strutturato la storia della Club Culture negli ultimi decenni: dalla jungle alla techno, dalla bass music ai ritmi house.

                Andrea Mi, Break the Wall 24 January 2020

                Da diversi anni Om Unit dà un contributo fondamentale alla musica elettronica. Distinguendosi con un approccio puro, attraverso un’etichetta, la Cosmic Bridge, molte pubblicazioni e una straordinaria capacità innovativa.

                Immergiamoci ora in questa ricca conversazione attraverso l’astronave Om Unit!

                Carissimo Jim,
                grazie mille per la tua partecipazione, è un vero piacere per noi avere poter ricevere il tuo contributo. Stiamo assistendo a tempi difficili. Pensiamo che sia importante proprio ora aumentare le nostre voci e i nostri sforzi. Costruire nuove reti, ponendo “Arte e relazioni umane” al centro delle nostre comunità. Usando la metafora di Mad Mike Banks, questo tempo ci chiede di sostenere quel mare d’acqua invisibile e necessario che definisce la resistenza del’Underground.
                Cosa ne pensi? Qual è stata la tua esperienza durante il lock-down? nella tua diretta esperienza c’è stato qualcosa che si è mosso in questa direzione?

                Prego! Mi piace che tu abbia menzionato Mad Mike perché, al momento, sta lavorando con altri musicisti a Detroit per costruire una scuola per bambini. Questo è tanto reale quanto si sta realizzando!

                Ho vissuto la sofferenza della nostra cultura ma anche come i DJs hanno risposto con grande interesse. C’è stata sicuramente una vasta gamma di adattamenti rapidi, in un certo senso, con cose come lo streaming/feste a distanza. Ma penso che questa crisi ci abbia mostrato che è un buon momento per dare un’occhiata a come e cosa stavamo facendo tutti. Ad esempio, sentivo le persone lamentarsi del lato capitalista delle cose e pensavo che fossero un po ‘allarmiste. Ma recentemente ho davvero avuto il tempo di pensare all’intero panorama della musica e fare il punto su ciò che è veramente importante, il che è stato molto positivo e rinfrescante.

                Questioni come l’inclusività e la parità sociale e culturale sono ora sul tavolo e ci sono anche altre critiche aperte con l’aspetto “business” di questa cultura che sono tutte molto necessarie al momento.

                Questa pausa dovuta al Covid mi ha permesso di guardare a fondo la mia strada, posso dire che mi ha permesso di guardare con onestà alla mia direzione musicale e alle mie future scelte compositive in studio. Ed ora mi sto ritrovando in queste scelte con suoni nuovi e interessanti che sembrano più autentici, mentre in parallelo mi muovo verso un formato più eclettico come DJ e produttore. Ho un nuovo show radio che sta per iniziare e alcune nuove ed entusiasmanti uscite in arrivo che riflettono un’atmosfera più autentica per me personalmente, alcune nuove tecniche di studio sono in fase di esplorazione e sto anche lavorando a nuove collaborazioni che sono entusiasta di condividere con le persone.

                Nei precedenti numeri di #BtW abbiamo discusso molto dell’impatto devastante che la crisi dovuta al COVID ha prodotto sull’intero settore della cultura (almeno per un sistema molto debole come quello italiano).
                Qual’è stata la tua esperienza diretta come artista e label manager in un sistema più avanzato come quello inglese? Hai trovato un cuscino su cui atterrare, offerto (dalla politica) a supporto al settore?

                Il sostegno del governo britannico c’è stato, ma solo per i grandi con una somma di denaro molto elevata, che purtroppo è arrivata ai piccoli club. Questo governo conservatore non apprezza le arti quanto dovrebbero, nulla di nuovo, dobbiamo combattere come al solito per il nostro modo di vivere. Tuttavia, c’era un aiuto abbastanza decente per le piccole imprese e un aiuto per i lavoratori autonomi come me. Fortunatamente per me che lavoro part-time come insegnante. Alcuni dei miei amici non sono così fortunati e dovranno cambiare le loro vite per ripartire.

                È davvero triste perché ballare con la musica è una delle cose più terapeutiche che possiamo fare con il nostro corpo, e i poteri qui non riconoscono il valore di mantenere un posto dove farlo quando la pandemia sarà finita. I luoghi principali erano già sotto pressione qui a causa della natura spietata dello sviluppo e della pianificazione urbana che non tiene conto degli spazi culturali. Il futuro dei locali notturni sembra davvero desolante al momento e nel Regno Unito è necessario fare di più per aiutarli a salvarli.

                Il messaggio che abbiamo percepito attraverso le tue ultime uscite è sicuramente positivo, un inno per andare avanti. Ci riferiamo a As We Continue che hai lanciato con lo pseudonimo di Phillip D Kick, e quell’inno alla gioia per la cultura rave che è Joyspark.
                Qual è la tua sensazione con la tua ultima uscita di Phillip D Kick?

                Il “Phil Stuff” come lo chiamo io, è quasi come un altro, una persona diversa. Cerco di rispettare le radici footwork e jungle ma allo stesso tempo è più una cosa “solo per divertimento”, in cui posso essere libero e creare tracce che colmano uno spazio. A volte prendo troppo sul serio la musica, quindi penso che questo mi permetta di essere libero e di fare più cose da club. Questo nuovo disco è piuttosto rilassato in un certo senso, ma penso di essere sempre stato più interessato al lato più morbido della jungle e sicuramente al lato più jazz della footwork.

                Quali sono gli aspetti positivi del fare musica al giorno d’oggi?

                Voglio dire, il mondo sta impazzendo, giusto? Quindi potremmo fare solo della buona arte, quantomeno onesta.

                Nonostante positiva politica di Bandcamp di sostegno all’autoproduzione, cosa ne pensi del ruolo delle piattaforme durante questa crisi?

                Sento che la tecnologia è sempre stata una parte fondamentale del mondo dell’arte e che i social media e le piattaforme di musica online non sono diversi. C’è un aspetto positivo nel senso che l’accesso alla musica non è mai stato così vasto per tutti, ma simile a Netflix, quando hai una grande scelta, è come “dove andare”? Adesso gli algoritmi possono sostituire la scelta per te. Molte moderne piattaforme di social media utilizzano tecniche di modifica comportamentale sui propri utenti tramite manipolazione algoritmica (raccomando il recente lavoro di Jaron Lanier al riguardo).

                Questo, come sappiamo, ha creato un aumento del pensiero populista e della monocultura. Io stesso amo l’accesso alla musica che, ad esempio, la combinazione di discogs e bandcamp mi ha dato, ma non riesco a connettermi così bene con Spotify o Apple Music. Forse è perché il mio interesse è per la musica più di nicchia e per il collezionismo di dischi, ma trovo difficile navigare in una scelta infinita e non voglio dover alimentare un algoritmo per “sintonizzarlo” secondo i miei gusti, è come se cedessi il mio libero arbitrio ad una macchina.

                Un produttore della tua esperienza ha sicuramente vissuto tutte le fasi della digitalizzazione. Come sappiamo, questa ha avuto impatti diversi sul;’evoluzione dei vari settori.
                Pensi che COVID abbia esacerbato o attenuato queste dinamiche?
                Ci riferiamo, ad esempio, alla tendenza sempre più evidente delle persone di spostare la propria vita sociale e il proprio comportamento nel digitale
                Per coloro che producono musica elettronica come te, la tecnologia ha rappresentato la promessa in un certo senso di un futuro migliore. Pensi che questa promessa sia stata mantenuta?
                – Ci riferiamo al fatto che abbiamo osservato il lento declino dei movimenti iniziali per fare spazio al mercato e ai consumi. Oppure al fatto che oggi è sempre più difficile immaginare un’utopia o un futuro come poteva accadere negli anni ’80/’90 …
                Quale futuro ci aspetta?

                Bene, penso che l’idea “dell’utopia tecnologica” sia solo noiosa. Ancora una volta, devo attingere al punto di vista di Jaron Lanier secondo cui la cosiddetta “singolarità” immaginata da Ray Kurzweil è assurda quanto “The Rapture”. Ci siamo evoluti come creature che hanno un naturale apprezzamento innato della musica in uno spazio reale. Ora se l’idea di una club culture su vasta scala sia a rischio non lo possiamo dire, ma l’aumento delle feste illegali quest’anno indica certamente che manca già qualcosa per le persone. Le autorità farebbero bene a pensare a come mantenere in futuro spazi di danza sicuri e significativi, anche se ciò significa una sorta di “furlough” in termini di affitto per chi aveva cominciato da poco.

                Il futuro si basa su questo tipo di assistenza e senza di essa non abbiamo alcuna reale certezza di nulla. Penso che il sogno degli anni ’80 e ’90 sia accaduto negli anni ’80 e ’90. Penso che il sogno di oggi sia davvero quello di tornare a una pista da ballo più sicura non solo in termini di pandemia, ma in termini di atteggiamenti delle persone nei club e di atteggiamenti dell’industria stessa. Spetta a noi, all’interno della cultura scegliere l’aspetto e apportare tali modifiche, ma le infrastrutture fisiche stesse devono essere protette.

                Una curiosità, quando è iniziato l’amore per il tuo “suono cosmico”?

                Ho sempre avuto un interesse per la musica ambient e spaziale, anche quando ero bambino. Penso che crescere negli anni ’80 abbia giocato un ruolo importante in questo, in qualche modo. Ho sempre amato il modo in cui la musica pop degli anni ’80 aveva questi strani riverberi. Quando ero molto giovane amavo i suoni astratti che artisti pop come Peter Gabriel o Steely Dan usavano nel mix; anche da bambino ricordo di aver sentito cose come ELO e mi chiedevo come facessero a ottenere quegli effetti folli.

                Penso che sia per questo che adoro il dub reggae e il dub techno anche oggi, l’uso dello spazio e strani FX. Per un periodo di tempo ho suonato anche quel tipo di “Balearic chuggers” di un DJ che per me sembrava piuttosto cosmico. Volevo anche iniettare una sorta di “energia spirituale” nel mio lavoro hip-hop come “2tall” all’inizio degli anni 2000, che è arrivato con l’LP “beautiful mindz“. Penso mi abbia influenzato anche ascoltare i primi lavori psichedelici di flying lotus, così come l’intera scena a Los Angeles a metà degli anni 2000 mi abbia fatto venire l’idea di usare più tecniche di studio che sono “là fuori”, alla portata, e mi ha fatto venire l’idea di fare musica strumentale con bassi e profondità non solo orientata al “club”.

                usare più tecniche di studio che sono “là fuori”, alla portata

                Artisti come J Dilla, Dabrye e Ras G hanno avuto anche alcune di quelle cose cosmiche che si inserivano nel loro lavoro, usando questi modi davvero interessanti di stratificare e tagliare i suoni. È una sorta di continuum in molta musica, penso che sia sempre presente tra gli strati. Di recente ho ascoltato molta musica ambientale cosmica che si basa abbastanza sui campioni e che ha anche lo stesso feeling, persone come broshuda o UON per esempio, o anche le cose più eccitanti come seekersinternational (con cui ho realizzato un mini LP che uscirà presto)

                Cosa ne pensi della club culture? Qual è la situazione nella tua città e oltre?

                Voglio dire in questo momento sta dormendo, forse per il meglio? Penso che ci saranno alcuni cambiamenti positivi se le sedi potranno rimanere aperte abbastanza a lungo. A Bristol abbiamo alcuni problemi con la chiusura o la chiusura imminente, ma ci sono alcune piccole iniziative come il sistema audio High Rise che organizza feste a folle sedute. Davvero, è ancora tutto in attesa, quindi come ho detto è un buon momento per fare una pausa e pensare. Per quanto riguarda i DJ e la cultura musicale in generale, c’è del lavoro da fare in termini di portare maggiore attenzione nel fare le cose in modo più consapevolmente progressivo quando torneremo sulla pista da ballo.

                Quali sono le principali criticità? Cosa possiamo fare per migliorarlo?

                Eccone 3 su molte …

                1. Coinvolgere più persone black, donne, queer, trans, non binarie e altre persone emarginate se hai una piattaforma e condividere con loro ovunque possibile.
                2. Usa le tue piattaforme per parlare di cose che devono cambiare all’interno della cultura in cui sei coinvolto.
                3. Promuovi solo la musica che ami veramente e ti nutrirà per sempre. Potrebbe non sempre pagare le bollette, ma porterà più felicità, e quella felicità avrà un effetto più positivo sulla cultura che ti circonda, è un effetto a catena in quel modo.
                Grazie mille per la tua disponibilità e impegno! Speriamo di poterti riavere presto a Pisa con uno dei tuoi show!

                Non vedo l’ora di tornare!


                Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

                  ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER

                  Riceverai contenuti extra, aggiornamenti su eventi, informazioni su artisti e sulle prossime release


                  Giosuè Impellizzeri Break the Wall

                  Giosuè Impellizzeri

                  Nessun spazio all’improvvisazione, ma più lavoro di squadra e scambio di competenze per scrivere una nuova pagina.

                  Possiamo davvero – tutti insieme – pensare di scrivere una nuova pagina per la Club Culture nel nostro paese. Anche se non esiste una ricetta specifica da cui partire, abbiamo dalla nostra le conoscenze e l’esperienza di diverse persone dotate di grande spessore umano, artistico e culturale.

                  Giosuè Impellizzeri è sicuramente tra queste. Per gli artisti o i lavoratori culturali figure come quella di Giosuè rappresentano delle guide fondamentali, così come per gli appassionati che cercano nutrimento costante per placare l’insaziabile sete di conoscenza. Prendendo in prestito due versi a me cari di Eugenio Montale, il suo “scrivere” è come il “mastice che tiene insieme questi quattro sassi“. Uno di quelli che ha attraversato due decadi di storia musicale scrivendo tantissimo su riviste cartacee specializzate e svariate webzine. Ma non solo, ha prodotto musica su etichette italiane e internazionali, ha curato festival e realizzato una serie di set mixati per vari network radiofonici.

                  Suo il libro Gigolography. The International DeeJay Gigolo Records History Book su una delle figure chiavi per la Club Culture, Dj Hell, uscito per CRAC Edizioni, così come altri lavori sulla musica elettronica raccolti nella collana Decadance e realizzati assieme a Luca Giampetruzzi.

                  Gigolography. The International DeeJay Gigolo Records History Book

                  È un grande onore per noi poterci confrontare con lui tra queste pagine e attraverso le diverse domande di #BtW giungere assieme ad una nuova consapevolezza, muovendo un ulteriore passo avanti nel tentativo di contribuire a riscrivere una nuova pagina di CC! (qui il precedente numero).

                  Chi sei?

                  Mi occupo di musica elettronica e DJ culture da oltre vent’anni. Nel 1996 ho iniziato a scrivere con una vecchia Olivetti le prime recensioni che inviavo speranzosamente via fax alle redazioni di vari giornali. Nel corso del tempo mi sono dedicato anche alla composizione, alla radio, alla discografia e alla scrittura di libri, con una particolare predilezione per l’archivistica e le storicizzazioni, probabilmente derivata dagli studi universitari. In sostanza mi considero un appassionato desideroso di approfondire le conoscenze, in modo quasi scientifico, sulle cose per cui nutro interesse tra cui, ovviamente, la musica.

                  Quale musica elettronica ti rappresenta?

                  Difficile dirlo, è come chiedermi di estrarre dalla collezione il disco preferito. Essere nemico della monotematicità inoltre non mi aiuta a dare una risposta secca. Direi comunque da “Autobahn” dei Kraftwerk in giù, considerando il gruppo tedesco tra i principali “motori” di gran parte di ciò che è avvenuto all’elettronica dopo essersi smarcata dalla posizione più strettamente accademica delle decadi precedenti.

                  Kraftwerk – We are the Robots
                  Quando è iniziato questo amore?

                  Credo intorno al 1988, ma inconsapevolmente. A livello intenzionale invece indicherei il 1992, quando iniziai a comprare dischi (usati) per cimentarmi in mixaggi domestici. Raccattavo, per poche migliaia di lire, materiale di scarto di altri aspiranti DJ del mio paese, ben felici di sbarazzarsi di dischi che non avrebbero più potuto usare durante le feste casalinghe che si organizzavano negli anni delle scuole medie. Tra quelli trovai “Move Your Feet To The Rhythm Of The Beat” del compianto Hithouse, uscito nel 1989.

                  Lo ascoltavo decine di volte cercando di capire come si potesse “assemblare” una musica simile che mettevo agli antipodi di ciò che invece stavo apprendendo studiando il pianoforte, sin dal 1986. Un effetto ancora più dirompente lo provai attraverso la copertina di quel disco che, in una sorta di maxi tavola fumettistica, lasciava scorgere l’interno di uno studio di registrazione allestito in casa. Quelle “diavolerie” piene di pulsanti, leve e cursori alimentarono la mia curiosità per un mondo arcano e letteralmente tutto da scoprire.

                  Cosa ne pensi della cultura in Italia legata alla musica e in particolare alla scena che segui?

                  Dipende da cosa si intende per “cultura”. È sufficiente snocciolare la paternità di campionamenti seppur già svelati su WhoSampled? Identificare l’anno di uscita di un disco con un occhio fisso su Discogs? Fare un sunto o un copiaincolla di un capoverso di Wikipedia per descrivere un artista o un particolare periodo stilistico? Può forse ritenersi un divulgatore culturale chi scopiazza, per giunta male, libri ed articoli o realizza interviste compiacenti a personaggi famosi di turno col fine di accattivarsene le simpatie? Eppure c’è più di qualcuno, includendo persino chi si considera un appassionato, che di fronte a tutto ciò si mostra entusiasta, perché evidentemente considera “culturali” questo tipo di contenuti.

                  “È sufficiente snocciolare la paternità di campionamenti seppur già svelati su WhoSampled?”

                  Personalmente ritengo che la cultura musicale affondi le radici nella ricerca (autentica, non derivata dall’incrocio di una manciata di clic su Google), nella conoscenza (che per fortuna non è downloadabile ma frutto di esperienza accumulata in anni) e nell’imparzialità e capacità di analizzare criticamente anche più scenari stilistici senza spocchiose contrapposizioni da sterili battaglie ideologiche. La cultura musicale, per me, resta tale a prescindere dal campo di applicazione, che si parli dei Drexciya o dei 2 Unlimited, piuttosto che di Jesse Saunders o degli Oppenheimer Analysis, o degli Ace Of Base o Jimi Tenor. L’importante è muoversi col giusto intento, spirito, competenza e consapevolezza.

                  “..che si parli dei Drexciya o dei 2 Unlimited, piuttosto che di Jesse Saunders o degli Oppenheimer Analysis, o degli Ace Of Base o Jimi Tenor. L’importante è muoversi col giusto intento, spirito, competenza e consapevolezza”

                  A malincuore però giungo all’amara conclusione che la deculturalizzazione abbia avuto la meglio in Italia, ma con uno “storico” come il nostro era utopico sperare nel contrario. Nei decenni passati i media tradizionali (stampa, radio e tv) non hanno di certo aiutato, tolte poche eccezioni, a far emergere aspetti culturali legati al nightclubbing e alla musica correlata, puntando piuttosto a lucrare nel momento propizio per poi abbandonare il “giocattolo” una volta rotto e riprenderlo quando faceva più comodo. In assenza di un modello genuinamente ed autenticamente culturale che fungesse da traino, nell’immaginario collettivo si è insinuata una lunga serie di luoghi comuni che sarà arduo, o forse impossibile, estirpare.

                  “il grande pubblico e gli ambienti generalisti hanno iniziato a riconoscere ai disc jockey il ruolo di professionisti proprio quando di professionismo se ne lamenta la mancanza.”

                  Dalla house intesa come stile messo in piedi da non musicisti incapaci e costretti a ripiegare su campionamenti di brani altrui, alla techno, ossessionante martellio privo di senso, dalla discoteca, girone infernale e teatro di dissolutezza, ai DJ, più vicini ad un hobby dopolavorista che ad una professione vera e propria. Paradossalmente il grande pubblico e gli ambienti generalisti hanno iniziato a riconoscere ai disc jockey il ruolo di professionisti proprio quando di professionismo se ne lamenta la mancanza. In un quadro simile di cultura ne vedo davvero poca e se è vero che si raccoglie ciò che si semina, appare evidente che il campo sia stato seminato male o per niente.

                  Quali sono le principali criticità?

                  La musica in Italia è marginalmente considerata una forma culturale, figurarsi quella elettronica e prevalentemente utilizzata nelle discoteche. È un settore scarsamente riconosciuto anche dalle istituzioni, come del resto avviene a tutte quelle attività creativo/artistiche o intellettuali. È quindi facile intuire la ragione per cui sia così diffuso un pressappochismo allarmante e disarmante. Che dire poi di quegli addetti ai lavori (o presunti tali) che continuano ad alimentare plateali inesattezze o incongruenze storiche con nozionismo spicciolo? E i tanti magazine completamente disinteressati a finalità educative, didattiche e formative? Si può pensare di combattere l’ignoranza ed essere presi sul serio pubblicando un articolo che descrive la Love Parade come «evento organizzato per festeggiare la caduta del Muro di Berlino»?

                  L’Arte, così come il lavoro culturale di chi fa musica, la suona oppure la mixa sono considerati aspetti marginali in Italia; scarsamente riconosciuti dalle istituzioni emerge il bisogno di scrivere e di parlarne.

                  Persino in discoteca le cose sembrano complicarsi perché pare essersi sensibilmente assottigliato il numero di locali in cui poter avanzare proposte diverse dalla prevedibilità del mainstream, e ciò è avvenuto perché molti art director hanno smarrito la progettualità ma soprattutto la visione di un intrattenimento “illuminato”, lasciandosi conquistare da obiettivi economicamente più vantaggiosi.

                  Nel frattempo la club culture, un tempo vista di traverso dai benpensanti e conservatori, è stata cannibalizzata dal pop ed è diventata un grosso affare dato in pasto alla cultura di massa. La club music si è quindi affrancata ed emancipata uscendo dal circolo esclusivo delle discoteche mentre una parte di DJ non viene più annessa ai personaggi di serie b anzi, recentemente alcuni particolarmente noti, strapagati e brandizzati sono stati definiti le “rock star del nuovo millennio”.

                  “La club culture è stata cannibalizzata dal pop ed è diventata un grosso affare dato in pasto alla cultura di massa.”

                  Per certi versi però il “Dio DJ” che profetizzarono i Faithless nel 1998 è finito col diventare una parodia di ciò che era in origine. Consacrarsi a livello generalista ha voluto dire rinunciare all’autenticità perché, è bene rammentarlo, il divismo da stadio e il DJing non avevano molti punti in comune. Come scrissi già nel 2016, avremmo potuto parlare di rivoluzione se il DJing avesse scardinato la spettacolarizzazione delle rock band ma sembra invece che ne abbia semplicemente preso il posto.

                  Quella che molti indicano trionfalmente come rivoluzione insomma, assomiglia più ad uno scambio di ruoli che ha acuito ulteriormente il livello di criticità culturale. Che fine farà il disc jockey quando la grande industria dell’intrattenimento, che ora lo ha eletto come archetipo del trascinatore di folle, si stancherà e sarà in cerca di una nuova figura da mitizzare? L’idolo di milioni di giovani rischierà di essere declassato a banale pigiatasti mandando in fumo la credibilità di quella che nacque come virtuosa espressione artistica?

                  Cosa possiamo fare per migliorare l’attuale stato delle cose e scrivere una nuova pagina?

                  A dispetto del distanziamento sociale imposto dalla pandemia che viviamo da qualche mese, credo sarebbe fruttuoso l’assembramento (non fisico ovviamente!) ossia fare squadra e sistema allineando chi è mosso dagli stessi intenti e soprattutto dalla medesima passione, perché in Italia esiste eccome uno zoccolo duro di autentici appassionati preparatissimi in materia, sebbene spesso sottovalutati e sottostimati.

                  La speranza non manca, serve coordinamento ed esperienza per scrivere una nuova pagina!

                  Questa prospettiva però, pur auspicata da tempo immemore, continua a non trovare facile applicazione nel nostro Paese dove si preferisce coltivare il proprio orticello e non dividerlo con altri per creare realtà più solide. Il resto lo fa (purtroppo) l’invidia, che mi pare un male particolarmente radicato nel settore, ed una competizione malsana che mira a soddisfare solo interessi e tornaconti personali.

                  Quali sono i pro (e i contro) delle eventuali operazioni da fare per migliorare la situazione?

                  Mi piace vedere solo i pro dietro un propositivo lavoro di squadra. Unire le forze, mettendo quindi a disposizione del team le proprie competenze, potrebbe equivalere a perfezionare ogni aspetto dell’operato. Poi lo scambio vicendevole di opinioni è costruttivo, un sano confronto aiuta a maturare e a superare i propri limiti.

                  Quali sono gli aspetti positivi del lavorare nell’ambito della musica al giorno d’oggi?

                  Anche in questo caso dipende dall’approccio che si riserva alla musica e al mondo che gravita intorno ad essa. C’è chi cerca successo e popolarità, chi donne, chi denaro, chi appagamento per sfamare il proprio ego. Io nulla di tutto ciò ma di aspetti positivi ne potrei elencare tanti come il rapportarsi con persone provenienti da ogni parte del globo, allargare i propri orizzonti ma soprattutto scoprire senza sosta cose nuove. Ad alimentare da sempre la mia attenzione e il mio interesse per ciò che faccio è esattamente il piacere per la scoperta e la musica, come tutte le espressioni artistiche, resta una fonte inesauribile di meravigliose scoperte.


                  Links:

                  Decadance il blog realizzato dallo stesso Giosuè.

                  “Gigolography. The International DeeJay Gigolo Records History Book” e recensione del libro su ondarock

                  Pagine Autore di Giosuè su DJMAGITALIA, Soundwall


                  Edited by Daniele V. One of the founders of the PUM – Pisa Underground Movement. Devoted to electronic music and its cultural background. I started writing to accomplish the need to tell what’s going on and track change about our activities, and I found new energies and interests.)

                    ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER

                    Riceverai contenuti extra, aggiornamenti su eventi, informazioni su artisti e sulle prossime release


                    Populous - Europe-pic-by-Ilenia-Tesoro-scaled.jpg Break the Wall

                    Populous

                    A metà fra mente e corpo

                    Intervista a Populous

                    Quale sarà il destino post-pandemia per la cultura e in particolare per tutti gli operatori e lavoratori culturali, di certo non lo possiamo ancora intravedere. Tuttavia, riprendendo le parole di Tim Exile in una sua recente intervista uscita su Medium, sappiamo con certezza che nel 2019, il 96% dei diritti musicali sono stati incassati dal solo 4% dei top musicisti.

                    Se e vero che la pandemia ha dato un durissimo colpo a tutto il settore, è altrettanto vero che “l’industria della musica” prima di questo colpo non lavorava comunque per i milioni di musicisti indipendenti e appassionati che, nonostante tutto continuano a fiorire intorno a noi.

                    “Un’arte diversa, più giusta e più resistente sta nascendo intorno a noi. Si concentra sulla creazione di comunità piuttosto che di soli contenuti e il blocco globale accelererà i suoi progressi”.

                    Allora con questo “ritrovato” slancio non vediamo l’ora di lasciare quello che si potrebbe chiamare un dark past per un migliore e speriamo più luminoso futuro. Su questa linea e in questa direzione, ci muoviamo in questa nuova puntata di Break The Wall con un ospite davvero speciale che ringraziamo di cuore per la sua disponibilità e grande sensibilità.

                    Populous è un artista di grandissimo spessore per la scena elettronica italiana e internazionale che si muove sui confini del noto e del sottobosco sin dal 2003, quando esordì con i primi pezzi per l’etichetta di Berlino Morr Music. Lo ringraziamo infinitamente per questo suo prezioso contributo nella ricerca di portare nuova conoscenza nella Cultura Club.

                    Prima di cominciare vi ricordiamo qui il precedente numero di #BtW. Buon Viaggio!

                    Cosa è per te la Club Culture?

                    Penso sia qualcosa esattamente a metà fra mente e corpo. La cultura da club non è solo andare a ballare, è andare a ballare sapendo dove e come farlo. Ma sopratutto sapendo COSA andare a ballare.

                    Un disco che la rappresenta?

                    Un disco, anzi forse meglio un nome, che mi catapultato in quella dimensione è stato “Leftism” dei Leftfield.

                    Letfield - cultura
                    Foto Dj MAg
                    Quale è la Club Culture che vorresti? 

                    Non c’è una cultura che vorrei, non una in particolare almeno. Non mi interessa spingere una scena più di un’altra. Ho i miei dj preferiti, i miei festival di riferimento, i media che consulto più spesso. Questo non vuol dire che non segua anche altro. Sono sempre curioso di sapere cosa succede negli altri dancefloor, cosa balla la gente quando suona tizio o perché vada a ballare su quell’isola o in quel club sotterraneo. L’importante è che ci sia sempre coscienza, stile, ricerca. 

                    Populous - cultura
                    Populous by Joana Ferreira
                    Parlaci dei tuoi ultimi lavori: quali sonorità, quali ritmi stai tirando fuori dal tuo cappello magico?

                    Ho passato anni ad ascoltare quella che qualcuno definirebbe “moderna world music”. Sono davvero contento e orgoglioso di questo percorso. Sento di aver raggiunto una sorta di diploma, in cui ho prima studiato, poi testato e infine interiorizzato ritmi non europei. Ora quei ritmi sono parte di me. Ma non ho più voglia ne stimoli nel volerlo mostrare per forza. Non ti verrò più a sbattere in faccia che sto facendo cumbia e dembow, lo faccio e basta perché ormai non me ne rendo più nemmeno conto. Forse il nuovo disco è solo un po’ più dancefloor degli altri. O forse no. Non sono bravo a capire certe cose.

                    Nicola Napoli - cultura
                    Fonte Rumoremag: Artwork di Nicola Napoli del nuovo album di Populous, in uscita il 22 maggio per Wonderwheel Recordings e La Tempesta International
                    Cultura e Arte sono tra le più colpite dalle necessarie attuali misure emergenziali a causa della loro profonda necessità di relazioni sociali, di eventi in-presenza, di partecipazione. Succede però che, in maniera forse inaspettata, si è messo in moto un meccanismo spontaneo in cui si sta diffondendo sempre di più una produzione e una fruizione artistica e culturale online sia a livello quantitativo (un’esplosione di performance, dj- e live-set, ecc.), che qualitativo (il mezzo – telecamere, tecnologie di comunicazione a distanza alla portata di tutti – che dà vita a oggetti culturali nuovi e mai visti). Una produzione e una fruizione dal basso, orizzontale e diffusa. Cosa ne pensi? Sta nascendo un nuovo underground?

                    Questa roba stravolgerà tutto. Ovvio che toccherà anche la cultura. Sta modificando equilibri umani, facendo mutare amicizie, relazioni, rapporti lavorativi, tutto. Anche la cultura verrà cambiata. Non ho ancora avuto modo di fermarmi a riflettere, ma è esattamente in situazioni come queste che l’underground (ri)nasce, si rafforza e resta impresso nella mente delle persone. 

                    Cosa pensi che ne resterà a emergenza finita (oppure è troppo presto per parlarne)?

                    Quando prima dicevo che non avevo ancora avuto modo di pensare era proprio a questo che mi riferivo. La gente imparerà qualcosa da tutto questo? Capirà che c’era qualcosa di profondamente sbagliato nel nostro comportamento? Alcuni si. Ma altri, con quella sensibilità di merda che si ritrovano, ci metteranno un paio di settimane a rimuovere tutto e ricominciare a comportarsi da coglioni. Se questa cosa può in qualche modo essere stimolo per migliorare certi aspetti malati e insostenibili della scena club, ben venga.

                    Martina Loiola - cultura
                    Pink by Martina Loiola

                    Links:

                    W sta per Women” insghts sul nuovo album di Populous su Rumoremag

                    Il nuovo ritmo di Populous, intervista sul penultimo lavoro dell’artista “Azulejos” (soundwall)


                    Rozza - cultura

                    Edited by Domenica Carella. Domenica in arte Rozz Ella è una DJ impegnata e appassionata di musica elettronica. Il suo percorso artisitico nasce nella sua città di nascita (Taranto) e si sviluppa a Pisa, nei centri sociali e non solo, legali e non. Da ultimo la vediamo sulle frequenze della bass music con Neanderthal della crew di Space Vandals e come resident per il format ClubCultura al Caracol Pisa. In passato ha collaborato con la redazione di AutAut.

                      ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER

                      Riceverai contenuti extra, aggiornamenti su eventi, informazioni su artisti e sulle prossime release